Bersani: oggi Pdl e Lega, domani il M5S

Il Sole 24 Ore: “Il ‘modello Cipro’ spaventa i mercati. Isola nel caos dopo il varo del piano: una tantum fino al 40 per cento sui conti oltre 100 mila euro. Timori europei su intese stile Nicosia. Voci di declassamento dell’Italia: sale lo spread”.

 

Il Corriere della Sera: “Conti e carte, addio ai segreti. Al Fisco tutti i movimenti bancari per la verifica con i redditi”. E poi: “Le voci su Moody’s e il possibile taglio del rating italiano fanno cadere le Borse”. In alto, le consultazioni: “Bersani dice no ad Alfano vicepremier: ‘Confronto, non scambi, sul Quirinale’”. A fondo pagina: “La lettera dei due marò ai politici. Alla vigilia della riunone delle Camere: restate uniti, inutile cercare ora le colpe”.

 

La Repubblica: “Bersani: non tratto con Berlusconi. Respinta l’offerta su Alfano vicepremier. E il Cavaliere diserta le consultazioni”. “Grillo minaccia i suoi: ‘Ditemi chi è pronto a votare la fiducia’. Al Senato nuovo gruppo di Micciché: ‘In aiuto al Pd e Silvio ce lo chiede’”. A centro pagina: “Paura Moody’s, trema la Borsa. Voci di un declassamento dell’Italia. Il Fisco vara l’anagrafe dei conti correnti”. In prima anche la notizia della condanna in appello per Dell’Utri: “’Va arrestato subito, c’è pericolo di fuga’”.

 

Il Giornale: “L’ultimo agguato: ‘Arrestate Dell’Utri’. Confermata in appello la condanna a sette anni per concorso mafioso. I pm di Palermo non vogliono aspettare la Cassazione e mostrano le manette”. A centro pagina: “Il Pdl lancia Alfano, il Pd dice solo di no”. “Bersani tenta lo scambio fiducia-Quirinale. E per Palazzo Chigi Grillo ha un supernome”.

 

Il Fatto quotidiano: “Dell’Utri, 7 anni per mafia. ‘Arrestatelo, può fuggire’”. Acentro pagina: “’Premier scelto da M5S’. Secondo il quotidiano sarebbe questa “l’offerta estrema di Bersani”.

 

Libero: “Bersani, ma sei matto? Il segretario Pd continua a perder tempo e incontra Cai, WWF e don Ciotti. Chiede responsabilità al Pdl ma non vuole accordi. La verità è che non sa che fare. E il Paese non regge i suoi bluff”.

 

La Stampa: “Bersani: ‘Serve un miracolo’. Berlusconi: lui premier, Alfano vice. No del leader Pd: e sul Quirinale nessuno scambio. I Cinque Stelle sono divisi: Grillo pronto a scendere a Roma per fermare i dissidenti”. A centro pagina: “L’UE salva Cipro ma affonda le Borse. Timori di prelievi forzosi sui conti anche in altri Paesi, voci su un declassamento dell’Italia”.

 

L’Unità: “Bersani: governo senza Pdl. ‘Per cambiare serve una linea coerente’. Ma in Parlamento e sulle riforme intese possibili”.

 

Il Foglio: “Perché Bersani osserva con sospetto la strana coppia Renzi-Napolitano”.

 

Consultazioni

 

Il Fatto parla di una “pulce” che sarebbe arrivata alle orecchie dei capigruppo del Movimento 5 Stelle Crimi e Lombardi, che domani incontreranno Bersani per le consultazioni (incontro che peraltro sarà trasmesso in diretta su internet). Dal Pd sarebbe venuta l’offerta affinché siano i grillini ad indicare il nome del premier. Anche se lo stesso quotidiano riferisce della smentita arrivata immediatamente dalla sede Pd: il premier incaricato è il segretario.

Libero descrive un Pd “ancora ai piedi di Grillo” che ora invoca la “non sfiducia”: di chiamarla con il suo nome, ovvero non sfiducia, non ha il coraggio, scrive Libero, sottolineando che Bersani si è trincerato dietro un “artificio verbale”, quello del “non impedimento”.

 

Ieri si è tenuta peraltro quella che Il Sole 24 Ore definisce una “direzione lampo” del Pd, senza Renzi e D’Alema: meno di un’ora. Assente Renzi, che ha comunque voluto ribadire la sua lealtà (“faccio gli auguri a Pierluigi perché possa formare il governo di cui il Paese ha bisogno”), assente anche Massimo D’Alema, impegnato a Parigi come presidente della Fondazione europea dei progressisti. Nessuna traccia di Veltroni. Chiosa il quotidiano: “Tutti gli scettici del tentativo bersaniano di un governo di minoranza si sono tenuti a distanza”. La direzione ha fotografato il congelamento della situazione interna al Pd, “pronta ad esplodere giovedì se il tentativo di Bersani dovesse fallire”.

Sul Corriere della Sera: “Una fronda nel Pd prepara il piano B”. Maria Teresa Meli lo indica come un “governo a bassa intensità politica”, un governissimo di otto o nove mesi, con un programma preciso e delimitato: riforma elettorale, riforma del finanziamento pubblico dei partiti, riduzione dell’Imu per determinate fasce di cittadini, legge di stabilità. Lo voterebbero Pd, Pdl, Scelta civica e chiunque altro sia interessato da questo ennesimo tentativo di far uscire dalle secche la politica italiana. Questo governo dovrebbe prendere il via nel caso di fallimento del tentativo di Bersani, scenario tutt’altro che improbabile: l’unica carta che potrebbe infatti consentirgli di mettere in piedi un suo esecutivo è quella di un accordo segreto stipulato con un gruppo di grillini che fanno capo alla associazione “Agenda rossa” di Salvatore Borsellino, che hanno già votato per Grasso in dissenso con il movimento 5 Stelle, e con quelli vicini a Libertà e Giustizia di Zagrebelsky. L’alternativa, ha detto più volte Bersani, sono le urne, ma si sa che personaggi come Veltroni sono favorevoli a un cosiddetto governo del Presidente. E neanche ex PPI come Letta, Franceschini e Fioroni sono favorevoli al ritorno alle urne. Quanto a Renzi, ha sempre detto: “Se il Capo dello Stato ci proponesse un governo istituzionale che faccia poche cose utili, come potrebbe il Pd dirgli di no?”. Secondo il Corriere, renziani e veltroniani ragionerebbero di un governo del Presidente: nell’alleanza ci sarebbero Monti, Berlusconi e Maroni. Nelle consultazioni di oggi con Alfano e Maroni Bersani invocherà l’appoggio al suo governo in cambio di un dialogo sulle riforme “in tempi certi” e anche sulla elezione del nuovo Capo dello Stato offrirà un “coinvolgimento molto largo”. La promessa è che il successore di Napolitano non sarà una figura di parte, ma di garanzia.

 

Anche Il Foglio descrive i due fronti che si sono creati all’interno del Pd: “Da una parte si trova Bersani, dall’altra il partito di Napolitano”. Dice Roberto Reggi, braccio destro di Renzi alle primarie, che nel Pd ci sono “due partiti”, uno in caso di fallimento di Bersani vuole le elezioni, l’altro semplicemente no. La linea di Napolitano coincide con quella di Renzi, poiché entrambi considerano l’ipotesi “elezioni subito” una sciagura che il Paese non può permettersi.

 

Su La Stampa, in riferimento alla difficile missione di Bersani: “La solitudine del leader e i tanti malumori sopiti”. Il Pd viene descritto come una pentola a pressione pronta a scoppiare, ancor più se Napolitano vorrà ancora un governo. La direzione di ieri, che pareva esser diventata la sede madre di ogni decisione, il luogo in cui il Pd avrebbe dovuto dire “o Bersani o morte”, ha trasmesso quella stessa sensazione di solitudine: un solo intervento, meno di un’ora in tutto.

Sui quotidiani anche la proposta rilanciata da Berlusconi: Bersani premier, Alfano vicepremier. “Bersani sbaglia se pensa ad un nostro appoggio solo per fare le riforme”, avrebbe detto Berlusconi.

 

Su Libero: “Il Cav muove Alfano per puntare al Colle”. Alfano vice è, secondo il quotidiano, un modo per capire le intenzioni del Pd rispetto al vero obiettivo, quello di un nome condiviso al Quirinale, per evitare uno scenario che viene descritto “da guerra civile”, ovvero quello che prevede un Presidente “grillino”. Su Il Fatto si scrive che il Pdl continua a puntare sulla grande coalizione perché in cambio vuole al Quirinale un uomo di garanzia che il quotidiano definisce “un re travicello”.

 

Cipro

 

Alle tre di notte di lunedì l’eurogruppo ha trovato un accordo sulla radicale ristrutturazione del settore bancario cipriota. E per Il Sole l’operazione prevede perdite per correntisti e obbligazionisti: il pacchetto – scrive il quotidiano – è un nuovo esempio di come i governi, oberati da un debito eccessivo, stanno facendo pagare i costi della crisi sul settore privato. L’intesa poggia su due pilastri: prestiti per dieci miliardi, e intervento sulle banche. La Laiki bank sarà trasformata in una bad bank, con il trasferimento dei depositi fino a 100 mila euro alla Bank of Cyprus. La Laiki sarà quindi chiusa. Gli azionisti e gli obbligazionisti assumeranno le perdite dell’azienda di credito, insieme ai depositanti con conti superiori ai 100 mila euro. La ristrutturazione, come evidenzia La Stampa, colpisce i titolari più facoltosi dei depositi, tra cui molti russi. I depositi oltre 100 mila euro dei correntisti della Bank of Cyprus subiranno un prelievo di circa il 30 per cento, come ha detto un portavoce del governo. Soddisfatta la Cancelliera tedesca Merkel, che ha sottolineato come con questo accordo le banche devono assumersi la propria responsabilità. E Cipro può contare sulla solidarietà della Ue. Il commissario Barnier ha definito “valida” l’intesa ed ha precisato che le misure eccezionali per Cipro dureranno solo alcuni giorni. Tensione invece sul fronte russo, con il premier Medvedev che ha parlato di “saccheggio” a Cipro.

Le banche rimarranno chiuse fino a domani.

Il Sole scrive che due grandi istituti – Bank of Cyprus e Laiki – riapriranno forse giovedì. E pochi erano fino a ieri i dettagli sulle misure straordinarie di restrizione sulle transazioni bancarie per evitare fughe di capitali dall’isola. Il vicedirettore generale della Confindustria cipriota Christofidies, dice: “Non conosciamo i dettagli del piano. Ma se dovessero essere colpite le transazioni commerciali, soprattutto quelle internazionali, sarebbe molto grave per la nostra economia. Da dodici giorni le nostre transazioni sono paralizzate”. Alcuni non escludono che queste restrizioni possano durare settimane o mesi, con il graduale isolamento dell’economia di Cipro dal resto d’Europa. E si chiede come faranno le imprese cipriote a pagare i fornitori esteri, o come faranno a pagare i salari le aziende che avevano conti correnti sulla Laiki bank. Sullo stesso quotidiano, con un richiamo in prima, un intervento di Carlo De Benedetti: “Dare il messaggio che in Europa i depositi non sono sicuri significa giocare con il fuoco”.

 

Dell’Utri

 

Ieri la corte di Appello di Palermo ha confermato la condanna a sette anni di carcere per Marcello Dell’Utri, per concorso in associazione mafiosa. Ma il sostituto procuratore generale Patronaggio ne ha chiesto, dopo la sentenza, l’arresto, indicando il pericolo di fuga dell’imputato. La Corte ha quindi confermato la pronuncia del 2010. Manca il verdetto della Cassazione che dovrebbe arrivare, come sottolinea il Corriere, entro la metà del 2014 per non far scattare la prescrizione. Avendo Dell’Utri perduto l’immunità in quanto non più parlamentare, per l’accusa sussiste il pericolo di fuga. La Corte d’Appello ha quindi dichiarato il cofondatore di Forza Italia colluso con Cosa Nostra fino al 1992. La pena inflitta è quella chiesta dal Pm che, nella sua requisitoria, aveva spiegato che l’ex senatore “forte delle sue amicizie tra gli uomini d’onore, fin dai primi anni 70 ha permesso a Cosa Nostra di contattare Silvio Berlusconi, di metterlo sotto protezione, di condizionare la sua attività imprenditoriale”.

La Stampa ricorda che un anno fa la Cassazione aveva annullato con rinvio la condanna a sette anni, chiedendo alla Corte di Appello di Palermo – quella che ieri ha deciso – di rivalutare il periodo compreso tra il 1978 e il 1992, perché, secondo la Cassazione, Dell’Utri era colpevole per i fatti avvenuti fino al 1978, mentre per quel che era accaduto dopo il 1992 era necessario verificare se vi fossero elementi per ritenere gli imputati vicini a cosa nostra nei 14 anni rimasti “scoperti”. La decisione di ieri ha invece confermato che gli elementi per condannare ci fossero tutti. La Cassazione, come ricorda Il Fatto, aveva statuito che l’ex senatore dopo il 1992 non c’entrava nulla con Cosa Nostra. La sentenza di ieri stabilisce che Dell’Utri fino al 1992 è colpevole di aver intessuto “relazioni pericolose” con i boss.

La Repubblica ricorda che la nuova sentenza sancisce nuovamente l’assunto acccusatorio secondo il quale, dal suo approdo a Pubblitalia e fino al 1992 Dell’Utri fece da mediatore tra gli interessi di Cosa Nostra e quelli di Berlusconi. Lo stesso Dell’Utri viene intervistato dal quotidiano. Naturalmente si dice deluso: “Forse mi ero illuso, ma è chiaro che questo romanzo criminale che i giudici hanno voluto scrivere sulla mia vita e che continua a fare audience non poteva finire qui”, “ripeto da venti anni che io a Milano non ho portato la mafia ma tutt’al pù un signore perbene che si chiamava Vittorio Mangano e che si occupava di cani e di cavalli e di niente altro. Dell’Utri spiega in che senso continua a difenirlo un eroe: “E’ il mio eroe, nel senso che mi risulta si sia rifiutato di accusarmi, nonostante questo avrebbe risolto i suoi problemi giudiziari, e quindi per me è un eroe”. Presto Dell’Utri dovrà tornare davanti a giudici di Palermo: “Già, la trattativa stato-mafia, un’altra farsa con la quale vogliono ritirarmi dentro alla questione delle stragi”.

 

Internazionale

 

La Corte Suprema di Washington esaminerà oggi il caso “Hollingsworth contro Perry”, per stabilire se la differenza tra le nozze gay e quelle eterosessuali violi la parità di diritti tra i cittadini garantita dalla Costituzione. Spiega La Stampa che Dennin Hollingsworth è leader del gruppo “Protect marriage”, che nel 2008 vinse in California il referendum sulla Proposition 8, facendo adottare un emendamento costituzionale contro le nozze gay, decretando l’annullamento di circa 18mila matrimoni omosessuali. Kris Perry è invece la lesbica di San Francisco che, insieme alla partner Sandy Stier ed una coppia gay di Los Angeles ha presentato istanza di incostituzionalità contro la ‘Proposition 8’, affermando che viola la parità tra i cittadini. Sostiene la tesi di Hollingsworth contro le nozze gay la Conferenza episcopale degli Usa insieme a 20 dei 38 Stati americani che proibiscono per legge il matrimonio omosessuale. A favore di Kris Perry l’amministrazione Obama, che parteciperà all’udienza con l’avvocato dello Stato, e i giganti dell’industria come Apple, Alcoa, Verizon, Xerox, oltre a 130 volti del firmamento conservatore guidati dall’attore Clint Eastwood.

La Corte Suprema si occuperà anche domani di questo tema, poiché dovrà pronunciarsi sulla costituzionalità del “defense of marriage act”, la legge federale che impedisce al governo di riconoscere le nozze gay anche negli Stati in cui sono legali. Le sentenze sono attese entro la fine di giugno, ed avranno un impatto politico, poiché il Presidente è divenuto un dichiarato sostenitore della parità di diritti tra gay ed etero. Un sondaggio di Washington Post e Abc dice che il sostegno alle nozze gay è del 58 per cento, il più alto di sempre, anche se la destra cristiana contesta questi dati.

Un altro articolo del q uotidiano scrive che Karl Rove, eminenza grigia di George W Bush, ha sottolineato che il candidato repubblicano alla Casa Bianca nel 2016 sarà apertamente favorevole all’unione tra omosessuali. Nel 2004 Rove, nel pieno della campagna presidenziale che vedeva Bush contrapposto a Kerry, si adoperò affinchè 11 Stati chiavi votassero emendamenti contro i matrimoni gay. Questa giravolta, secondo La Stampa, dimostra quanto sia grave la crisi politico-elettorale dei Rep e quanto profondo sia il tentativo in corso per superarla.

 

Su La Repubblica ci si occupa del viaggio del nuovo leader cinese Xi Jinping in Africa: è il suo esordio all’estero e la prima tappa è la Tanzania. Secondo La Repubblica la Cina invia un messaggio diretto al mondo: la Cina punta sull’Africa per superare l’economia Usa entro il 2016 assicurandosi le materie prime e le esportazioni. Nel 2000 l’interscambio Cina Africa era di 6 miliardi di dollari. Nel 2012 ha superato i 200 miliardi. La Cina si è impegnata a prestarne 20 fino al 2015. In un decennio Pechino ha concesso 67 miliardi di crediti all’Africa sub saharina, rispetto ai 55 erogati dalla Banca Mondiale. La Cina importa dall’Africa il 30 per cento del suo petrolio. Costruisce strade, ferrovie, porti, aeroporti, città, distretti industriali, fino a pianificare sette “zone economiche speciali”, dall’Algeria alle Mauritius.

 

Anche su Il Corriere: “Xi Jinping alla campagna d’Africa”. Secondo il quotidiano però l’idillio del continente con Pechino sarebbe già finito, poiché molti Paesi cominciano a mostrare insofferenza con il “neocolonialismo orientale”. Se i governi africani avevano accolto i cinesi con entusiasmo, perché a differenza degli occidentali in cambio degli investimenti non ponevano condizioni politiche, questa disinvoltura dei fratelli cinesi pare non basti più. Tra l’altro in alcuni Paesi si è creato risentimento per le condizioni di lavoro imposte dai manager cinesi nelle miniere (orario lungo, paga bassa, sicurezza nulla). Dopo la tappa in Tanzania il leader cinese è partito per Durban per il vertice Brics: Brasile, Russia, Cina, India, Sudafrica, economie ‘emergenti’ che hanno quasi iul 42 per cento della popolazione terrestre e un quarto del Pil globale. In discussione al vertice c’è la costituzione di una banca di sviluppo comune dotata di 50 miliardi di dollari, con il compito di finanziare infrastrutture senza dover passare per la Banca Mondiale.

 

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