Renzi: il Pd come i Democratici Usa

La Repubblica: “Così cambierà il Jobs Act. Accordo nel Pd”, “L’articolo 18 resta per i licenziamenti disciplinari. Ncd non accetta le modifiche, Civati va in trincea”.
La foto nella parte alta della pagina è dedicata alle tensioni nel quartiere Tor Sapienza di Roma: “Roma, vince il fronte anti-immigrati, via i profughi dalla periferia in fiamme”. “Il buio e l’odio” è il titolo del commento di Francesco Merlo che si occupa di questo tema.
Della situazione di Forza Italia e dei suoi rapporti con il governo Renzi scrive Stefano Folli: “L’Anschluss dolce di Berlusconi” (nel Partito della Nazione).
In prima anche il richiamo all’intervista del quotidiano ad Andrew Balls, capo degli investimenti di Pimco, il più grande fondo al mondo (gestisce circa 2 mila miliardi di bond a reddito fisso), che dice: “Puntiamo sull’Italia”.
La colonna a destra richiama l’inserto R2 della cultura, con un intervento di Jonathan Coe: “Io scrittore, servo padrone dei miei personaggi”.
La Stampa apre con un colloquio con il presidente del Consiglio: “’Jobs Act, pronti alla fiducia’”, “Colloquio con Renzi: modifiche solo per ridurre le forme di lavoro precario”.
A centro pagina, le foto della manifestazione ieri davanti al centro accoglienza nel quartiere Tor Sapienza della Capitale: “Roma, la rivolta delle periferie italiane”, “Abitanti esasperati da centri di accoglienza e campi Rom. Dopo le proteste evacuati 45 rifugiati”.
Sotto la testata, il tecnico itali8ano liberato in Libia, dopo esser stato ostaggio degli islamisti per 4 mesi: “Vallisa liberato dopo le torture”. Ha subito anche finte esecuzioni e secondo fonti locali sarebbe stato pagato un riscatto di un milione di euro.
E la sentenza d’appello del processo Ruby bis: “Ruby bis, sconto sulle condanne”, “resta il favoreggiamento della prostituzione ma Fede, Minetti e Mora ignoravano la minore età”.
Ancora sotto la testata: “Ebook, Amazon cede sui prezzi”, “Intesa con Hachette”, “L’editore francese manterrà il diritto di stabilire a quanto vendere i libri in formato digitale”.
In prima anche il richiamo al faccia a faccia che si terrà oggi a Torino al Teatro Carignano tra Andrea Ichino e Umberto Eco: “Processo al liceo classico, ultima trincea dell’umanesimo”, “a giudizio l’istituzione scolastica più longeva e discussa”. Andrea Ichino nelle vesti di pm, Umberto Eco in quelle di difensore.
Il commento in apertura a sinistra è firmato da Roberto Toscano e si occupa del vertice Apec: “Così Pechino spiazza la Russia”.

Il Sole 24 Ore: “Jobs Act, modifiche sull’articolo 18. Nella delega il riferimento al testo della Direzione Pd: reintegro anche in alcuni casi di licenziamenti disciplinari”. “Intesa nel Pd ma i centristi vanno all’attacco”. “Renzi: partita chiusa”.
A centro pagina: “Bce: ripresa lenta, fare le riforme”. “Bankitalia: rischi in aumento per la stabilità finanziaria”. “Al via il G20 in Australia. ‘Pronti a sostenere ogni strumento per sostenere la crescita’”.

Il Giornale: “Renzi fa retromarcia sull’articolo 18. E ora Alfano è nei guai”. ”
Il titolo più grande: “Il piano segreto per l’emergenza: conti bloccati e prelievo forzoso”. “Un’interpellanza dell’europarlamento rivela l’esistenza di un documento riservato: in caso di crisi, per salvare banche e Stati la Bce metterà le mani sui nostri risparmi”.
A centro pagina: “Da mangiapreti a neocattolico. Pannella folgorato da Gesù e Papa Bergoglio”. Il quotidiano parla di una presunta “svolta religiosa” del leader radicale.
E poi: “Il Califfo: l’Islam conquisterà i campi rom”. “Al Baghdadi si rifà vivo con un audiomessaggio e minaccia l’Italia e i cristiani”.

Il Fatto apre con i fatti di Tor Sapienza: “Lo Stato s’arrende ai fascisti”, “Dopo le violente proteste aizzate da Casa Pound e Lega Nord, il Comune di Roma sgombera il centro per rifugiati di Tor Sapienza. Il Viminale lancia l’allarme: “Così si rischia di far esplodere altri focolai’. Intanto stampa e tv regalano passerelle a Salvini & C. Nessun monito dai vertici delle istituzioni”.
L’editoriale del direttore Antonio Padellaro si occupa di quella che viene definita la “caccia allo straniero” nelle borgate romane. Il titolo: “Chi fa finta di non vedere”. E l’editoriale è illustrato da una foto di Napolitano.
A centro pagina, il Jobs Act: “Renzi, gli accordicchi per tirare a campare”, “Contentino alla sinistra Pd sull’art. 18 e l’Ncd si ribella”, “Possibile il reintegro per i licenziamenti ‘disciplinari’, ma sarà il governo nel decreto a decidere in quali casi. Sena contare il Vietnam del Senato”.
L’editoriale di Marco Travaglio in prima (“Sali & Tabacci”), striglia “i giornaloni” per le cronache e i titoli dedicati al vertice di maggioranza e al colloquio tra Renzi e Berlusconi (“anziché chiamare l’ambulanza, i giornaloni lambiccano fumose formule politichesi per nascondere la realtà manicomiale”).
In taglio basso, una foto del presidente della Commissione Ue Jean Claude Juncker: “Bombe, ricatti e Licio Gelli: com’è nero il passato di Mr. Europa”. Di Stefano Feltri.

Il titolo più grande del Corriere della Sera è per una intervista al Segretario generale della Nato Stoltenberg: “‘Difenderemo l’Ucraina’. La Nato risponde alla Russia”. Stoltemberg parla delle operazioni Nato, “quintuplicate dal Baltico al Mar Nero”.
In alto le notizie sugli scontri alla periferia della Capitale: “Roma: tensione a Tor Sapienza. Migranti trasferiti dopo gli scontri. ‘Minori a rischio'”. Il commento di Goffredo Buccini: “La scelta di arrendersi”.
A centro pagina il “patto” nel Pd sul Jobs Act: “Ma Ncd: serve un vertice”.
L’editoriale, firmato da Michele Ainis, è titolato “retroscritto di una intesa”. “Riforme e partiti personali”.

Renzi

In un colloquio con La Stampa Matteo Renzi risponde alle sollecitazioni di Federico Geremicca su tutti i temi caldi: dalla data delle dimissioni di Napolitano al Jobs Act, da Forza Italia al rapporto con gli alleati del Ncd. Sul capo dello Stato: dice di sperare che sia lui ad inaugurare Expo perché -dice- “abbiamo fatto di tutto, come governo, per salvarlo e, con la nomina di Cantone, arrestare i fenomeni di corruzione. E’ un appuntamento importantissimo per l’Italia e Napolitano sarebbe, se mi si passa il termine, il migliore testimonial”. Ma Expo inizia a maggio, si fa notare. Renzi: “Io continuo a sperare che il Presidente resti ancora a lungo lì dov’è”. Il quotidiano riferisce poi che l’altro giorno il presidente del Consiglio ha chiamato Romano Prodi. Poi, più avanti, l’intervista vira sulla minaccia della minoranza Pd di non votare il Jobs Act. Renzi risponde: “Orfini e Speranza (rispettivamente presidente Pd e capogruppo alla Camera, ndr.) mi hann chiesto di dare un segnale distensivo, di disponibilità, e io l’ho dato: in commissione si lavorerà sul cosiddetto disboscamento, cioè sulla riduzione delle troppe forme di lavoro a tempo precario. A me preme che la legge sia in vigore dal 1 gennaio: motivo per il quale -è bene saperlo- se si giocasse ad allungare i tempi, metteremo la fiducia sul testo che uscirà dalla commissione”. E sull’ipotesi che la minoranza possa non votare o votare contro il Jobs Act: “Sono sempre gli stessi, una decina, molto divisi, anzi ulteriormente divisi al loro interno..Io vorrei tenere tutti dentro, naturalmente, e se per questo serve non votare in Direzione perché altrimenti vanno sotto o fare piccole modifiche al Jobs Act, volentieri” (l’ultima direzione non si è conclusa con il voto su un documento finale, ndr.), “il punto centrale è che la sinistra italiana diventa democratica all’americana, e questo per me ha un valore storico”. Il presidente di Confindustria dice che ci troviamo in una situazione “di quelle tipiche che portano a votare”, è così? “E’ in gioco -dice il presidente del Consiglio- un’idea di fondo alla quale io credo molto: e cioè che si vota ogni cinque anni. Detto questo, è faticoso”, è come andare in salita in bicicletta con un rapporto sbagliato, “ed è proprio per questo che dobbiamo varare la nuova legge elettorale”, in modo che, eletto così il nuovo Parlamento, “io o chiunque altro ci sarà, potrà governare con più libertà e responsabilità”. Poi si ricorda l’espressione “botta in testa” che, dice Renzi, qualcuno “vorrebbe che io dessi a Berlusconi, a proposito di legge elettorale e magari non solo. Ma onestamente non ne vedo la ragione, perché ormai l’accordo c’è”.
Sul Corriere Aldo Cazzullo offre una lunga intervista Carlo de Benedetti. Il titolo è su Renzi, “energico e spregiudicato, mi ricorda il Fanfani degli anni 50”, ma nella intervista si parla di molto altro. De Benedetti dice che è “una favola” la storia della sua tessera numero al Pd (“non ho mai avuto tessere”). Critica affettuosamente i rilievi di Scalfari al premier (Scalfari, “lo dico scherzando, vorrebbe vedere Reichlin primo ministro”), nega di essere “un finanziere” e dice di sé di essere “un imprenditore che ha sempre capito la leva della finanza”, racconta di come perse l’occasione di investire nella Apple – su cui lo aveva consigliato da Elserino Piol, non si rimprovera niente, neppure il fallimento di Olivetti o le tangenti (“Sono stato l’unico ad andare da Di Pietro a dire ‘mi assumo le mie responsabilità'”).

Jobs Act

Il Sole intervista il ministro Poletti: sulla richiesta del Ncd di “riaprire la trattativa” dopo l’accordo raggiunto nel Pd sull’articolo 18 – nella legge delega si inserirà il contenuto della famosa direzione Pd che prevedeva la possibilità di mantenere il reintegro per alcuni licenziamenti disciplinari – dice: “Penso che i malumori del Ncd possano rientrare, non sono accettabili aut aut da parte di nessuno”, ricorda che l’accordo di ieri si basa sulle “dichiarazioni fatte dal sottoscritto, depositate in Senato quando venne posta la fiducia”, ovvero “che per le nuove assunzioni con i contratti a tutele crescenti in caso di licenziamenti economici non è più prevista la reintegra, che resta confermata per i licenziamenti discriminatori e per quelli disciplinari, se rappresentano dei casi particolarmente gravi che saranno specificati e puntualmente definiti nel decreto di attuazione”. Inoltre il Jobs Act verrà cambiato anche sui controlli a distanza (Poletti: “si definisce che riguardano gli impianti tecnologici e gli strumenti di lavoro, non le persone”).
Il quotidiano chiede anche dove si troveranno le risorse per estendere gli ammortizatori sociali, visto che con la legge di Stabilità ci sono le stesse risorse usate l’anno scoso (quasi tutte le la cassa integrazione). Poletti spiega che ci sono anche 1,4 miliardi del “fondo occupazione”.
Il Giornale si sofferma sull’Ncd e scrive di un “giovedì disastroso” per il partito di Alfano, per le modifiche annunciate alla Delega Lavoro. I parlamentari “fanno come i francesi con Bartali, o come le formiche nel loro piccolo: si inc…ano”, e puntano “sulle contraddizioni interne al Pd e non sulla loro attuale marginalizzazione nelle scelte che contano”.
Sul Corriere Maria Teresa Meli si sofferma sulla situazione nel Pd: “Gli ‘irriducibili’ all’angolo, ma un pezzo potrebbe staccarsi”. “I Democratici spaccati tra maggioranza e tre fronti di opposizione”. Secondo il quotidiano brinderebbero all’accordo Damiano ed Epifani, non ne sarebbe soddisfatto Cuperlo, mentre Fassina avrebbe detto che prima vuole leggere gli emendamenti e poi deciderà.
Sul Sole Fabrizio Forquet firma l’editoriale (“Nè stop nè retromarce”) e scrie che “mettere d’accordo Maurizio Sacconi, da una parte, e Cesare Damiano, dall’altra, su un tema ostico come l’articolo 18 è impresa difficile anche per un tessitore abile come Matteo Renzi”, ma che “non è il momento perciò di stop o di inciampi”: con la riforma Fornero si è finito per fare “regole che hanno penalizzato e non favorito la creazione di posti di lavoro. Rifare lo stesso errore sarebbe un delitto”. Ma “è presto per dire se l’accordo interno al Pd configuri appunto un passo indietro” perché “la materia si presta a molte sfumature e a molte interpretazioni”. Sulla formulazione dell’emendamento del governo le “rassicurazioni” arrivate ieri da Renzi e da Filippo Taddei “fanno ben sperare”.

Legge elettorale, Forza Italia

Su La Repubblica Stefano Folli descrive “l’Anschluss dolce di Berlusconi”: “ormai è chiaro che Berlusconi è avviluppato fino in fondo nella rete di Renzi e non se ne lamenta. Il ‘via libera’ sostanziale sulla legge elettorale è la fine di un’epoca. L’argomento auto-consolatorio (‘così potrò contare al tavolo del Quirinale’) nasconde una realtà più amara. Berlusconi è stato annesso non al Pd, ma al renziano Partito della Nazione”.
Sullo stesso quotidiano Carmelo Lopapa spiega “l’ultima ‘rivoluzione’ di Forza Italia”, “per la prima volta da quando è sceso in politica il Cavaliere è pronto a ceder pezzi di sovranità sul suo partito. Nel braccio di ferro con Fitto, l’ex Governatore pugliese ottiene il coordinamento e un terzo degli incarichi direttivi”.
Sul Corriere: “L’Italicum risveglia la rabbia della base FI. Sul web lo sfogo dei militanti contrari a ‘fare comunella’ con Renzi o con “il traditore Alfano’. Nel partito crescono i mal di pancia, non solo tra i fittiani. Molti eletti pronti al Vietnam parlamentare”. Una iniziativa convocata per il 27 da Fitto a Roma può diventare il “No patto del Nazareno day”.
Su Il Giornale: “Berlusconi tiene il punto: saremo responsabili”. Fitto avrebbe “via libera” a fare “convegni su convegni” per criticare il premier, ma sull’economia, e Berlusconi “lascia fare, anzi benedice” ma “si ritaglia un ruolo di ‘responsabile’ sulle riforme”.
Su La Repubblica attenzione per la legge elettorale: “’Col nuovo Italicum più di metà nominati’, cresce il fronte del no ai capilista pigliatutto”, “in alcune simulazioni 6 deputati su 10 scelti dai partiti. Il renziano Ceccanti: saranno meno. I bersaniani chiedono un taglio dei ‘garantiti’”.

Tor Sapienza

Le prime tre pagine de La Repubblica sono dedicate all’emergenza nel quartiere Tor Sapienza di Roma: “Bottiglie contro i profughi, nuovi scontri a Tor Sapienza, via allo sgombero del Centro”, “Roma, dopo le proteste trasferiti i minori. E oggi arriva Borghezio. Il Pd a Marino: si occupi delle periferie. Inchiesta sugli assalti”. Il “racconto” è firmato da Francesco Merlo: “’Basta con i neri, sono tutte bestiacce’. Così il ghetto trasforma la rabbia in razzismo”. Il “retroscena” di Carlo Bonini: “I malumori della polizia: ‘Una resa alla piazza’. Poi il compromesso: ‘Spostiamo solo i ragazzi’”. Il quotidiano intervista poi il presidente della Commissione straordinaria diritti umani del Senato, Luigi Manconi (senatore Pd)”, che parla di “voglia di capro espiatorio” e sottolinea che “l’errore è della politica”.
Anche su Il Fatto, grande attenzione per questo tema, cui vengono dedicate le pagine 2 e 3: “Tor Sapienza, si sgombera. Ma lo stupro è un mistero”, “Portati via dal centro di accoglienza 43 minorenni. La ragazza che aveva acceso la miccia (‘Un nero voleva violentarmi’) ci ripensa: ‘Era rumeno’”. Alla pagina seguente: “La piazza dei fascioleghisti. Roma s’arrende ai violenti”, “Ieri Giorgia Meloni, oggi Borghezio, fra qualche giorno Matteo Salvini. Casa Pound in presidio fisso. Viminale in allarme: ‘Lo Stato si è piegato’”.
Su La Stampa la tensione nelle periferie romane occupa due intere pagine: “A Tor Sapienza vanno via i profughi ma restano le proteste”. Il “retroscena” è firmato da Francesca Paci: “Guerra tra poveri. I cento focolai d’Italia”, “Da Prato a Padova dilagano le contestazioni contro il degrado”. Il quotidiano intervista il sociologo Marzio Barbagli: “Si parla solo di sbarchi. Nessuno affronta il problema integrazione”.
Il Giornale: “Trasferiti gli immigrati di Tor Sapienza. ‘Vincono’ gli abitanti del quartiere romano: il centro di accoglienza sarà liberato per ragioni di ordine pubblico”. “Battaglia tra poveri. Nei giorni scorsi nella capitale disordini e feriti nell’assalto a un edificio”.
Sul Corriere il commento è firmato da Goffredo Buccini, che scrive di una “ritirata repentina che assomiglia a una fuga”: “Si tratterebbe insomma di dare una ripulita alle stanze e alle scale (l’edificio è gigantesco) per poi riaprire. Tutti sappiamo che non è così. E che la precipitosa decisione presa da Ignazio Marino ha, come comprensibile ragione, il desiderio di evitare altre giornate terribili alla strada, al quartiere, a Roma”. E, “se tirando quattro bombe carta al grido di ‘viva il duce!’ il risultato è questo, perché mai la scena non dovrebbe replicarsi nella ventina di analoghe situazioni di crisi sparse per la periferia romana”.

Internazionale

Il Corriere offre una intervista al segretario generale Nato Jens Stoltenberg, che dice che sarebbero tanti “anche adesso” i “carri armati, mezzi blindati, cannoni, batterie contraeree, autocarri. Senza insegne”, che “vanno e vengono, avanti e indietro, dalla Russia all’Ucraina Orientale e lungo il confine. Ce lo confermano da terra anche gli osservatori dell’Ocse e i reporter locali: questo è un notevole concentramento militare”. “Chiediamo alla Russia di rispettare il confine ucraino, di ritirarsi dall’Ucraina Orientale e di non appoggiare i separatisti, perché questo minaccia il cessate il fuoco e mina ogni soluzione politica: sembra un bis dell’operazione Crimea”. “Detto questo, la Nato sostiene e sosterrà la piena integrità e sovranità dell’Ucraina, confermate anche dall’accordo di Minsk”. E se “La Russia ha triplicato le sue azioni militari rispetto a un anno fa”, “noi abbiamo quintuplicato le nostre operazioni e attività di controllo, sempre rispetto al 2013” tanto che oggi il gruppo di azione rapida Nato “è al livello più alto dai tempi della Guerra fredda, in grado di intervenire ovunque con breve preavviso”.
Il Foglio: “Perché Putin non vuole andare a Kiev (c’entra anche il vino moldavo). Dove si legge che “traa gli obiettivi del presidente russo non c’è però quello di “prendere Kiev in due settimane”, come disse a settembre. Potrebbe farlo se volesse, ma per ora il suo interesse è quello di evitare l’ingresso dell’Ucraina nella sfera di influenza europea, nonostante il risultato delle elezioni a Kiev, e dunque mantenere l’oriente ucraino instabile”, e che Mosca sta usando la stessa strategia “anche in Moldavia”, dove pure “c’è una regione che per etnia e ideologia si sente russa, la Gagauzia, e un governo centrale che vorrebbe portare il paese nell’area di prosperità europea”. Proprio in Gaguzia ci sono i vigneti, e in febbraio “si è tenuto un referendum per decidere il futuro della regione. I cittadini si sono espressi a gran maggioranza per legami più stretti con Mosca, e ora i leader locali minacciano la seccesione. Il 30 novembre ci saranno le elezioni in Moldavia, e le forze europeiste sono in vantaggio nei sondaggi. Ma la strategia della destabilizzazione di Putin agisce sul lungo periodo, e dopo la Transnistria, che a marzo ha chiesto l’annessione alla Russia, la minuscola Moldavia potrebbe perdere un altro pezzetto”.
Sul Sole e sul Corriere la cronaca delle dichiarazioni del Presidente Obama sulla Siria, di cui ieri parlavano i giornali ameriani: “Obama ci ripensa: meglio una Siria senza Assad”. E sul Corriere: “Cacciare Assad, la Casa Bianca ci ripensa ancora”, vista la “pressione degli alleati locali”, a partire da Arabia Saudita e Turchia, che chiederebbero al Presidente Usa di ribadire l’obiettivo finale dell’azione in Siria, ovvero la rimozione di Assad.
Su La Repubblica, alle pagine degli Esteri, l’allarme Isis: “Al Baghdadi è ancora vivo e minaccia l’Occidente: ‘La jihad arriverà a Roma’”, “Diffuso un audio del capo dell’Is che, secondo alcune fonti, era rimasto coinvolto in un raid Usa”. Il retroscena è firmato da Fabio Scuto, corrispondente da Gerusalemme: “Una federazione del terrore: ora il califfo vuole l’Egitto”, “Battaglia navale al largo, soldati attaccati nel Sinai. E’ la strategia militare nel Paese di Al Sisi”. Il quotidiano, in un piccolo riquadro, parla anche di un “cambio di strategia” contro l’Isis che il presidente Usa avrebbe chiesto di mettere a punto ai suoi consiglieri: indebolire l’Isis non è possibile senza una transizione politica in Siria, questa la convinzione cui sarebbe giunto Obama. E quindi ci sarebbe una precondizione, che è quella della rimozione del presidente Assad.
Su La Stampa: “Riecco Al Baghdadi: ‘Guerra ovunque’”, “Diffuso un messaggio audio attribuito al leader islamista dopo le voci sulla sua morte in un raid Usa”. Il “caso” raccontato dal corrispondente da Gerusalemme Maurizio Molinari: “L’Isis supera Al Qaeda anche nel conto in banca. Sono i terroristi più ricchi”, “Forbes: da petrolio e tasse due miliardi di dollari. Hamas è secondo grazie a tunnel e fondi umanitari”.
Il Corriere racconta anche del viaggio di Obama in Birmania, dove vedrà Aung San Suu Kyi, “ma l’icona della libertà è sbiadita”, “adorata nel suo collegio elettorale” ma “in Parlamento si è limitata finora ad invocare il rispetto della legge senza scontrarsi apertamente con il governo” e “non ha difeso la minoranza musulmana Rohingya”, perseguitata dalla maggioranza buddista.
Su La Repubblica : “Obama in Birmania: ‘Voto libero nel 2015’”, “Il capo della Casa Bianca incontra il presidente Thein Sein e Aung San Suu Kyi. Sul tavolo i diritti delle minoranze. ‘Il processo democratico è in atto, ma ancora non è compiuto. Le elezioni dovranno essere trasparenti ed inclusive’”.

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