Sgalambro, il filosofo che non vuole sorridere

Stando alle pose più in voga, sorridere è una caduta di stile, la socievolezza non è cool, per non parlare del pensiero positivo, da ebeti irresponsabili. Invece, per diventare menti eccelse, primo requisito è essere infelici. Ma non basta essere infelici normali. Ecco la graduatoria dell’infelicità: «C’è l’infelice che possiamo definire astratto. Egli è infelice e basta. C’è il più infelice, che odia se stesso. Infine c’è l’infelice assoluto, che odia immediatamente se stesso e mediatamente l’altro. Costui è il misantropo».

Messo in chiaro questo, chi voglia andarsi a leggere immediatamente, o mediatamente, il nuovo libro di Manlio Sgalambro magari si aspetta uno stile à la Sillogismi dell’amarezza di Emil Cioran. Il pensatore rumeno sicuramente era triste. Nichilista, pessimista, alla Leopardi insomma, considerava l’essere nato un inconveniente. Per lui scrivere era una valvola di sfogo, i suoi aforismi sono l’eiaculazione di una mente sfiancata dall’insonnia, incapace di staccare la spina alla sua lucidità vertiginosa.

Ma probabilmente resterà a bocca asciutta. Anzitutto perché in Della misantropia di misantropia si parla assai poco. Precisamente solo in un microtrattatello di quindici pagine che dà il titolo al volume. Il tema è ammiccante, di quelli che tira, perché il “partito dell’umanità contro l’umanità” è un pigliatutto, tanto che non si sa poi chi resti a incarnare il bersaglio di questo generico astratto.

Ma i misantropi non sono tutti della stessa erba. Le parole di un Leopardi sono pianto e insieme raziocinio, e il risultato è vivissimo. E anche uno come Schopenhauer, che pure aveva elevato le sue intuizioni a sistema, non si è mai staccato dal confronto con i drammi più universalmente “terra terra” della nostra grottesca condizione. Soprattutto, la strada verso la disperazione non si sganciava mai dalla ferrea legge della coerenza.
Qui invece i procedimenti mentali sono quasi incomprensibili, il linguaggio ammantato di esoterismo, quando non direttamente sacerdotale. Non a caso c’è anche la Moraletta sulla teologia. Altro trattato mignon, è l’apologia del teologo emancipato. Per svegliarsi dal sonno dogmatico basta essere infedeli al proprio oggetto: il giusto atteggiamento riflessivo davanti a Dio non è la negazione dell’ateo, additata come nevrosi infantile, ma l’accusa e la bile (qualcuno magari avrebbe sostenuto l’esatto inverso).

Forse l’autore sarà stato ispirato dal caso Cioran, figlio di un prete ortodosso, o da quello di Nietzsche, anche lui figlio di pastore protestante, e in effetti noto misantropo, cosicché l’equazione è presto sbrigata: il teorico della morte di Dio è un santo impazzito. E la morale sottesa, pardòn la moraletta, è che un bagno nella teologia per divenire autentici filosofi bisogna pur farselo (ma non sarà una sorta di nonnismo culturale questo tributo da pagare alla scolastica sempre e comunque?).

Poi c’è l’Intransigenza e clownerie del saggista. Quest’ultimo sa sciogliere l’Idea, giocare con la Verità, può far suonare il sassofono a Nietzsche. Il saggismo è un far fruttare la malattia, così che di necessità è fatta virtù.  Si prosegue con un dialogo immaginario, pardòn un dialoghetto, che vede sulla scena un ormai passato a miglior vita Epicuro tentar di far scorgere al suo pupillo Colote l’immagine del bene in un sasso, povero Colote. Come se non bastasse, c’è anche il manuale del perfetto discepolo, che va benissimo anche per chi voglia farsi prete. Infine. Il De Gubernatione. In breve, la politica è una nauseabonda cloaca, era meglio la religione, più raffinata. Forse dovremmo ripristinare il Medioevo, i toni ci sono tutti.

Comunque sia, il filosofo si accontenta dei suoi pensieri. Il suo programma esistenziale è l’isolazionismo. Che detto chiaro e tondo, è roba da spiriti forti. Bisogna scalare vette culturali, piangere lacrime metafisiche, errare nei boschi del nonsenso, immergersi, da palombari del negativo, negli abissi del nulla, temprarsi nel dolore per poi risalire, portando a galla la profezia, meglio se su fredde coste normanne.

Eppure Sgalambro non è poi così nichilista, e neanche normanno, bensì  un siciliano doc (ipse dixit). Ma questa è la sua cifra: creare chiaroscuri, mescolare solarità mediterranea e cinismo intellettuale, alternare bagni catartici nel pop a momenti di austerity eraclitea. Un tuttista. Anche con cedimenti all’industria culturale, famose le sue esibizioni canore in tv e la collaborazione con Franco Battiato. Dal pensatoio affacciato sul Baratro al cabaret New Age per le plebi. Stilettate col Nulla e canzonette, bastone e carota.
C’è coerenza anche in questo. Chi si è fin troppo accollato i bagagli spirituali dell’iperserietà, deve ogni tanto ritrovare la leggerezza, Se ne esce l’effetto tragicomico, meglio ancora. Tutto sommato, troppe correnti gravitazionali fanno ammalare, vanno superate, e la cura è l’autoironia. Anche questo rivolo speculativo però è abbastanza mainstream. Che forse secoli fa a essere misantropi si inaugurava un percorso vergine, ma adesso le vie dell’asocialismo non sono più tanto impervie e solitarie, le nicchie esplodono per quanto sono affollate, non si può più protestare di nuotar controcorrente.

Di venerati maestri nell’arte d’insultare in Italia qualcuno ne abbiamo avuto, vedi Carmelo Bene. Oppure casi clinici accertati come Nanni Moretti (tra l’altro amante delle canzoni di Battiato, che ficcava nei suoi film). Nanni sì che era il numero uno, come in Sogni d’oro, quando nei panni del suo alter ego Michele Apicella gridava dal palco “Pubblico di merda!”, e il pubblico prima interdetto e poi giù con gli applausi. Ma adesso, nell’era dei bastiancontrarismo egemonico, tra un Vaffa Day e un muso lungo radicalchic, a servire l’ennesima polpetta avvelenata fintotrasgressiva chissà se l’effetto è spiazzante. Soprattutto, chissà se si racimola ancora qualche clapclap e qualche discepolo pronto a tesserarsi.

Titolo: Della misantropia

Autore: Manlio Sgalambro

Editore: Adelphi

Pagine: 128

Prezzo: 10 €

Anno di pubblicazione: 2012



  1. Complimenti a Laura Cervellioni che in una danza vorticosa affascina con le sue parole! E’ la dimostrazione vivente che in Italia esistono talenti validi che andrebbero giustamente riconosciuti e ai quali si dovrebbe dare piu’ spazio, piuttosto che lasciare condurre delle trasmissioni in tv a delle persone ignoranti e incompetenti capaci solo di riempire le teste della gente di spazzatura! Grazie Laura!
    Maria

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