Cosa ci può insegnare la crisi

Quali lezioni ricavare dalle crisi? John Maynard Keynes aveva le idee chiare sul capitalismo e sui mercati finanziari: avevano difetti gravi cui bisognava porre rimedio per evitare che si ripetesse la catastrofe del ’29, quando l’America perse il 30% della sua produzione e il 45% dei posti di lavoro e le banche fallirono in massa. Ne seguì la madre di tutte le lezioni economiche, e cioè la dottrina e la terapia keynesiane che s’incarnarono nel New Deal di FD Roosevelt: sostegno pubblico per i poveri e i disoccupati, rilancio dell’economia e, attenzione, regole dure per la finanza.
Quel presidente americano, con quattro mandati, lasciò un’impronta di lunga durata. Di quell’impronta faceva parte il Glass-Steagall Act, una legge che imponeva la separazione tra le banche d’investimento e quelle commerciali. Con la cancellazione di quella norma, nel ’99, le holding bancarie hanno potuto speculare con i soldi dei risparmiatori ed è partita una spirale che ha allontanato sempre più la finanza dall’economia reale.

Parte da qui il libro che Giuliano Amato, un ex primo ministro, più volte al Tesoro e appassionato conoscitore d’istituzioni europee e internazionali, ha scritto a quattro mani con il giornalista economico Fabrizio Forquet, sulle conseguenze del crash del 2008. Queste loro Lezioni dalla crisi hanno il dono raro della concisione e spiegano nel modo più semplice e accattivante il maleficio per cui, abbandonati gli scrupoli regolatori, i vertici delle banche d’affari si siano trasformati in tanti Pinocchi che seminano zecchini d’oro.
Alla vigilia del collasso nel 2007, il 40% dei profitti fatti negli Stati Uniti non proveniva da produzione di beni e servizi, ma da attività finanziarie, e il valore giornaliero degli scambi finanziari superava di 60 volte il valore annuale del commercio mondiale. Poteva continuare? No, perché il demone pinocchiesco per cui i soldi non servono a finanziare attività d’impresa, ma a fare altri soldi attraverso la moltiplicazione delle transazioni, è un essere che si scava da solo la fossa e ci finisce poi dentro insieme a tutte le sue vittime.

Il quadro della crisi è scandito nel libro con una chiarezza esemplare: gli americani importavano spendendo montagne di dollari che ritornano indefinitamente come prestiti sempre più grandi, dalla Cina o dal Giappone; e le banche simulavano una crescita fittizia impacchettando titoli finanziari nei quali il fattore di rischio “evaporava”, come se non esistesse più, come se il prezzo delle case potesse crescere all’infinito. Il fallimento inevitabile di questo schema mostruoso ha dunque alla radice delle responsabilità, dal lato dello Stato, i cui controllori hanno chiuso gli occhi, come da quello del mercato, che ha avvelenato i pozzi.

Ma queste lezioni sono anche esame realistico delle possibilità attuali per l’economia mondiale di uscirne senza pagare lo stesso prezzo del ’29. Il male da scongiurare è il credit crunch, la stretta creditizia, che toglie ossigeno a imprese e famiglie: le banche congelano quasi ogni iniziativa per proteggersi da ulteriori rischi con effetti di sistema che sono recessivi, la recessione aggrava il debito e produce altri debiti. D’altra parte ci sono situazioni critiche in cui lo Stato deve intervenire per proteggere i conti correnti, immettendo denaro nelle banche, come hanno fatto sia Bush sia Obama, attraverso prestiti o, nei casi limite, nazionalizzandole, come il governo inglese ha fatto con la Northern Rock.

L’Europa ha agganciato la crisi con le debolezze dell’euro, creatura incompiuta sotto il profilo del soggetto sovrano che lo garantisce. Lo shock greco dell’insolvibilità di uno Stato dell’eurozona è stato seguito da quello che Amato giudica un errore grave ad opera di Merkel e Sarkozy al vertice di Deauville nel 2010: quello di coinvolgere il settore privato nella ristrutturazione del debito di Atene, il che significava che da allora si poteva perdere investendo su uno Stato dell’euro. Da qui le oscillazioni degli spread sempre più minacciose.
La ricostruzione degli eventi che hanno portato a una prima svolta europea, con le mosse di Draghi a Francoforte e di Monti a Palazzo Chigi, sono da ripercorrere, nella sobria ricostruzione, ad uso di coloro che vorrebbero dimenticare la cruda obiettività dei fattori che hanno imposto la fine di un governo e la nascita di uno nuovo: gli ultimi mesi di Berlusconi a Palazzo Chigi con una serie di manovre finanziarie che prevedevano un “rigore postdatato”, affidato agli anni a venire, con misure vaghe e rinviate alla responsabilità di futuri imprecisati governi.

Ed ora davanti all’Europa il compito di passare a una fase nuova, quella in cui i debiti si dovrebbero pagare con una maggiore crescita, risultato che andrà conseguito sia dal lato della domanda che da quello dell’offerta, con investimenti, euro- o project-bond da una parte, e con misure strutturali dall’altra. Certo nessuno dovrà più dimenticare che il buon governo si distinguerà per la capacità di distogliere le risorse finanziarie dalla ricerca di altra finanza per destinarle invece alle attività economiche reali, magari con una dissuasiva tassa sulle transazioni, non tanto per fare cassa a beneficio dello Stato quanto per scoraggiare chi fa centinaia o migliaia di scambi al giorno. “Il dentifricio non può rientrare nel tubetto – chiosa filosoficamente Amato – ma la finanza può essere ricondotta all’economia”.

Titolo: Lezioni dalla crisi

Autore: Giuliano Amato e Fabrizio Forquet

Editore: Laterza

Pagine: 128

Prezzo: 14 €

Anno di pubblicazione: 2013



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