Leone XIV tra tradizione agostiniana
e sfide globali

Cosa significherà un agostiniano a capo della Chiesa cattolica? Una Chiesa seguita, sulla carta, da un miliardo e mezzo di fedeli, forte prevalentemente in quelle che sono sempre meno le periferie del mondo. Lontane da quell’Occidente che sembra frantumarsi.

Dopo l’euforia melanconica delle persone plaudenti, l’eccitazione mediatica prima per il lutto, improvviso per quanto atteso, poi per la suspence sempre affascinante del rito, del segreto delle liturgie antiche che hanno accompagnato il risiko del conclave più geopolitico degli ultimi due secoli, ora si misurano, si testano le prime importati uscite di Leone XIV.

I laici, simpatizzanti del papa gesuita, si sentono orfani della sua attenzione accogliente ed empatica. Si allarmano: per alcuni il papa agostiniano parla troppo bene di Dio, mortificando ed escludendo gli atei (Chi li salverà?  Sono parte della “massa dannata” e, dunque, predestinati ad aeternam mortem?); altri soffrono la perdita dell’insostituibile leader carismatico della sinistra mondiale, senza preoccuparsi di essere loro a doverlo cercare, il leader di sinistra.

Il papa agostiniano racconterà con vividezza il peccato e il male del e nel mondo. Parlerà di natura e Grazia. Molto probabile. E lo farà attraverso atti e preghiere.

È convinzione diffusa che papa Leone XIV avrà uno stile diverso da papa Francesco, porterà avanti in modo ordinato i processi disordinati avviati dal suo predecessore. Lo farà senza ostentazione, con misura. Senza grandi gesti simbolici, con discrezione, con la rassicurazione propria di un agostiniano non divisivo.

 

Quanta discontinuità con l’antioccidentalismo di Bergoglio?

 

Prima del conclave ci chiedevamo se, tra le discontinuità con il pontificato di Bergoglio, ci sarebbe stata quella di una minore ostilità verso l’Occidente da parte del suo successore. Le ex-cattolicissime Irlanda e Austria non erano rappresentate in Sistina a favore della Thailandia o del Myanmar e di tanti posti ancora più sperduti. Non hanno avuto un cardinale elettore Parigi, Londra, Venezia e, soprattutto, Milano, con cui il grande Giovanni Battista Montini si cimentò quando era la diocesi più importante del mondo.

Non si è trattato tanto, e solo, di capire se il nuovo papa sarebbe stato italiano o “mondiale”, progressista o conservatore, secondo le estenuate categorie novecentesche, quanto di comprendere cosa avrebbe fatto di fronte all’Occidente che non è più uno, che è, irrimediabilmente, diverso da quello delle nostre giovinezze. E come si sarebbe posto di fronte a quell’Europa che Bergoglio, definiva, letteralmente, astratta, arida, nichilista. Resta emblematico il trattamento di dura freddezza che riservò alla Francia.  “Figlia primogenita della Chiesa”, secondo il titolo conferitole dal re Clodoveo: non fu visitata da papa Bergoglio neppure per l’inaugurazione della cattedrale di Notre-Dame, simbolo della cristianità europea.

 

L’Europa nei suoi predecessori

 

Per il polacco Wojtyla, ancora espressione della cultura del Secondo dopoguerra (a cui ha alluso papa Leone nel Regina Caeli di domenica), la centralità dell’Europa era in funzione anticomunista. Doveva riscoprire le sue radici giudaico-cristiane e respirare con due polmoni, quello occidentale e non di meno quello orientale, la Russia (quando ancora le due cose sembravano possibili).

Secondo Ratzinger la cultura del relativismo, i valori non negoziabili, i grandi cambiamenti antropologici avrebbero dovuto chiamare a raccolta anche i laici in un fronte per la difesa di un comune umanesimo. Resta memorabile, su questo punto, il confronto tra Benedetto XVI e Habermas. L’incontro tra fede e ragione, per entrambi, non sarebbe dovuto avvenire in nome di uno scialbo dialogo ma avrebbe dovuto alimentarsi e nutrirsi reciprocamente. Bergoglio non apparteneva alla storia dei suoi predecessori. Non si chiedeva, nello stesso modo, che ne fosse di quelle radici, di quell’umanesimo dissolto nel post-umano, nell’assolutizzazione della tecnica, nella dogmatizzazione della scienza. Non si interrogava filosoficamente se siamo all’“ultimo uomo” di cui parlava Fukuyama, o nel trans-umanismo e nel post-umanismo. Sentiva piuttosto nella sua carne le conseguenze di questa crisi antropologica a partire dai poveri del mondo.

L’Occidente cristiano può ancora risvegliarsi nelle minoranze creative e nella pietà popolare?

Profeticamente invocate da Ratzinger, le minoranze creative: la crescita significativa dei matrimoni religiosi, in quella terra francese inaridita dal wokismo e da una astratta laicitè, nel desiderio di maternità delle donne, ostacolato dalle difficoltà materiali e dagli attacchi del gender mainstream addirittura alla loro identità, nel bisogno di relazionalità dei giovani che resistono all’individualismo alienante dei social. È un segnale potente il bisogno di spiritualità e di trascendenza, che spesso si incanala in forme irrazionali anche pericolose: pensiamo alle sette nelle Americhe.

 

Il suo programma nella scelta del nome Leone

 

Torna con Prevost l’attenzione ai “segni dei tempi”, quella che ebbe Leone XIII, il papa che interpretò il passaggio d’epoca tra Ottocento e Novecento. Quel papa superò l’intransigentismo della Chiesa contro la modernità portata dalla Rivoluzione francese. Una modernità, che costringeva la Chiesa a diventare una parte secondaria della società, della politica e dello Stato e che la espungeva. Il non expedit in Italia e il Kulturkampf in Germania. Una resa dei conti interna alla Christianitas, come avvenne dopo la Rivoluzione francese, tra gli intransigenti che chiudevano alla modernità e chi, invece, sceglieva il confronto. Da De Maistre a La Mennais.

Ebbene le cose cambiarono con l’avvento di Leone XIII, che succedette a Pio IX, ancora un papa re, che regnava sullo Stato temporale della Chiesa. Come il papa Leone di allora anche il papa Leone di oggi si trova a governare in un’epoca di grande cambiamento e nel contesto di una nuova rivoluzione industriale, legata, per usare le sue stesse parole, “agli sviluppi dell’intelligenza artificiale, che comportano nuove sfide per la difesa della dignità umana, della giustizia e del lavoro”. A fine Ottocento, nel pieno della prima grande rivoluzione industriale, con nuovi soggetti, la classe operaia, il capitalismo e il socialismo Leone XIII fondò le basi della dottrina sociale della Chiesa con l’enciclica Rerum Novarum del 1891: la terza via tra il capitalismo selvaggio con lo sfruttamento dei lavoratori e la lotta di classe con l’abolizione della proprietà privata. “Tra le cose nuove una era la divitiarum in exiguo numero affluentia, in multitudine inopia: l’essersi accumulata la ricchezza in poche mani e largamente estesa la povertà”. Con ciò Giuseppe Toniolo, il ghost writer dell’Enciclica, descriveva la globalizzazione di fine ‘800. “Parole che Leone XIV pare condividere per descrivere la globalizzazione degli anni Duemila”, come scrive bene Giovanni Cominelli il 13 maggio su Italia Oggi.

Furono così gettate le basi dell’associazionismo cattolico, dei sindacati e delle cooperative bianche. Quello che oggi si chiamerebbe “terzo settore”, che come la famiglia, in primis, e le piccole comunità sono luoghi prioritari per la identità e l’agire cristiano. All’apparenza, quello che dice Vance sull’Ordo amoris di Agostino (amare in primo luogo chi è più vicino), ma che per Leone XIV non contraddice la vicinanza e l’accoglienza del prossimo più lontano, come i migranti e gli altri popoli. Anzi, il contrario.

 

Le novità  geopolitiche. Cina e Israele

 

Sul piano geopolitico sembra essere il rapporto con la Cina la parte più in ombra in questi primi giorni di pontificato dopo la mancata elezione al soglio del segretario di Stato Pietro Parolin: non sempre valorizzato da Bergoglio, che pure ne condivideva in pieno il lavoro diplomatico verso Pechino. “L’Asia è il futuro della Chiesa”, ripeteva papa Francesco al cardinale Tagle, altro favorito in conclave. È piuttosto convincente che questo spostamento di voti sia avvenuto in cambio di una rassicurazione che Asia e Cina saranno comunque al centro delle attenzioni del nuovo pontificato. Il tutto a partire da una rivitalizzazione della un po’ troppo dimenticata diplomazia vaticana, che ha avuto una storia gloriosa, eppure mortificata da Bergoglio, il quale anche in geopolitica preferiva agire direttamente.

Parolin, che in questa prospettiva potrebbe vedere conservato e valorizzato il suo incarico di segretario di Stato, viene dalla nobile e prestigiosa tradizione dei cardinali Agostino Casaroli e Achille Silvestrini. La celebre diplomazia dell’Ostpolitik vaticana verso l’Unione sovietica portò infatti risultati notevolissimi negli accordi di Helsinki (1975), quando si ottenne il riconoscimento della libertà religiosa e di pensiero alla stregua dei diritti umani. Accordi, che furono sottoscritti dalla stessa Unione sovietica.

Il rapporto difficile con la Cina, pur nella ovvia diversità del contesto storico, non è così dissimile alla strategia dell’Ostpolitik verso la Russia comunista.

E, infine, il rapporto con Israele, forse quello più logorato. L’assenza di un rappresentante del governo di Netanyahu al funerale di Bergoglio è stato un segnale negativo di quello che si è presentato come il funerale più geopolitico di tutti i pontificati novecenteschi. Ma tra i primissimi segni di discontinuità c’è una prima distensione. Il Presidente israeliano Isaac Herzog sarà presente domenica 18 maggio all’intronizzazione insieme a duecento delegazioni da tutto il mondo. Leone XIV ha invitato personalmente la presidente dell’Unione delle comunità ebraiche italiane Noemi Di Segni e il  Rabbino Riccardo Di Segni; messaggio analogo a Noam Marans, direttore dell’American Jewish Commitee, una delle più antiche organizzazioni ebraiche americane: “Confidando nell’assistenza dell’Onnipotente (rassicurazione per i tradizionalisti, Nda) mi impegno a continuare (per smentire il presunto antisemitismo di Bergoglio, Nda) e a rafforzare il dialogo (quindi faremo di più, nda) con il popolo ebraico nello spirito della dichiarazione Nostra Aetate (per collocarsi inequivocabilmente nel solco del Concilio vaticano II, nda)”.

È stato poi interessante che nel Regina Caeli di domenica 11 maggio abbia difeso con assoluta nettezza l’Ucraina e solidarizzato con i palestinesi contro le stragi perpetrate dal governo di Netanyahu.

Alcune osservazioni conclusive sull’isolamento e la debolezza della Chiesa italiana, che trascina anche l’Europa e viceversa: provincialismo e irrilevanza della diplomazia vaticana dopo la grande stagione Casaroli-Silvestrini (è stupefacente che non ne abbia parlato nessuno nell’overdose mediatica di queste settimane). Gli italiani si sono annullati l’un l’altro (come sempre del resto in tutti gli ultimi conclavi a partire da quello di Wojtyla). Anche quelli appartenenti alla stessa “corrente”.

 

 

Immagine di copertina: alcuni messaggi scritti su uno striscione esposto all’Università cattolica Santo Toribio de Mogrovejo, in Perù, dopo l’elezione di papa Leone XIV. (Foto di Ernesto Benavides / AFP)

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