La rivincita del secchione. Cosa chiede chi (non) ha votato i neo-sindaci del Pd

Non si dica uno spettro, ma una riconoscibile brezza autunnale soffia sull’Europa: quella della noia. In senso buono, s’intende. È il messaggio, adeguatamente filtrato, che arriva dalle urne delle città italiane. Da Roma a Torino, da Napoli a Milano, da Varese a Bologna, gli elettori – quelli che a votare ci sono andati, per lo meno – hanno espresso una scelta chiara, a tratti bulgara: a favore dei secchioni della politica. Candidati magari noiosi, certo poco appariscenti, ma competenti, e affidabili. All’intervallo (tra un’elezione e l’altra) li si può ignorare, perfino dileggiare, ma al momento del compito in classe – sia l’amministrazione di città al bivio tra declino e rinascita, o la gestione dei fondi post-pandemia – è a loro che ci si rivolge.

L’esempio più lampante arriva senza dubbio da Roma e Torino, le due capitali – di ieri e di oggi – cadute in stato comatoso negli ultimi dieci anni, a tutto beneficio di una “capitale informale” (Milano) caricata di peso e responsabilità di traino perfino eccessive. Alzi la mano chi, appena tre mesi fa, avrebbe scommesso sul doppio trionfo dei “grigi” candidati del Pd, Lo Russo e Gualtieri. Per un tratto non indifferente del loro percorso, pur diverso, erano parsi preparati a una possibile, onorevole sconfitta, di fronte a una concorrenza temibile: quella dell’imprenditore Damilano a Torino, quella della mischia Calenda-Raggi-Michetti a Roma. Ma soprattutto quella del vento politico di destra registrato a livello nazionale da tutti i sondaggi. Cappotto, invece. Quello stesso centrosinistra “rigettato” brutalmente cinque anni fa a favore dell’ignoto dal sapore vendicativo rappresentato da Raggi e Appendino viene oggi richiamato d’urgenza a rimettere insieme i cocci. Con gli arnesi del mondo di prima: l’esperienza e la conoscenza, dei dossier e della macchina amministrativa.

Materiale abbondante su cui riflettere per i leader in cerca d’autore del centro(?)-destra. Non era un abbaglio da editoriale, né un’”utopia parigina” del redivivo Letta. Stremati e impauriti da una pandemia che li ha privati delle già poche certezze di cui si può vivere in questo Paese, i cittadini cercano all’uscita di quel tunnel un barlume di scienza e di speranza. Intuiscono che i fondi ingenti del piano Next Generation EU sono un’occasione unica, forse l’ultima, per ridare slancio al sistema-Paese, aggiustandone i difetti congeniti e agganciandolo definitivamente al treno europeo. E sanno o hanno riscoperto, a stragrande maggioranza, che la complessità di questo tempo si può affrontare solo con le armi della competenza e della collaborazione. Anche per Salvini e Meloni, proiettati prima l’uno e poi l’altro nell’Olimpo delle intenzioni di voto ma incapaci sin qui di capitalizzare i like, potrebbe essere l’ultimo avvertimento.

Ma se l’Italia è da sempre laboratorio di novità politiche, il venticello della noia costruttiva spira a ben vedere anche altrove. In Germania, ad esempio, è la forza che sta spingendo verso la Cancelleria Olaf Scholz – il vincitore anch’egli “impossibile” sino a una manciata di mesi fa ed oggi a un passo dal traguardo. Come? Rassicurando gli elettori sul suo profilo di competente ministro uscente, e sulla continuità di governo con la flemmatica Merkel. C’è da credere che al momento della successione a Draghi, il “noioso competente” in capo, anche alle nostre latitudini le aspettative non saranno troppo diverse.

Che fare dunque, per prepararsi a quell’appuntamento? Una cosa sola, verrebbe da dire. Usare la competenza re-insediata nei palazzi del potere di mezza Italia per trasferirla, farla fruttare e moltiplicarla. Quello che ha eletto i nuovi sindaci, e in misura ancor maggiore disertato le urne, è lo stesso Paese nel quale oltre 2 milioni di giovani (il 23,3% della fascia 15-29) non studiano né lavorano; lo stesso Paese in cui si laurea un cittadino su cinque (contro una media di 1 su 3 nell’Ue), e in cui quei pochi che lo fanno sono costretti dal giorno dopo – salvo rari casi – a scegliere tra emigrazione e frustrazione. Un Paese in bilico tra speranza e depressione.

Il voto per l’affidabilità e la competenza ha il senso di una richiesta d’attenzioni, dunque, non di una cambiale in bianco. Vale come domanda d’investimento, nelle città come a livello nazionale, sull’unica vera risorsa che grazie al volano del Next Generation EU può risollevare insieme individui e comunità: il capitale umano.

All’inizio di questo 2021, nel suo messaggio agli italiani, il presidente Mattarella “incorniciò” il perimetro dell’anno nuovo dentro una formula che ad alcuni parve un suggerimento di alchimia politica, ed era invece una (pre)visione ben più alta e lunga: è il tempo dei costruttori, disse. Lunga vita ai secchioni, se sapranno costruire.

 

Foto: Il neo-sindaco di Roma Roberto Gualtieri festeggia con Enrico Letta e Nicola Zingaretti – Roma, 18 ottobre 2021 (Andreas Solaro / AFP).

  1. La competenza, questa sconosciuta! Termine male impiegato le pochissime volte che lo si evoca.
    La competenza é una cosa seria. E una rara miscela di conoscenza della materia, di esperienza sul campo e di pragmatismo. Questi requisiti riuniti in un’unica persona sono un unicum. Difficile se non impossibile trovarli nella classe politica. E men che meno nel pur simpatico Gualtieri. Temo sarà un infermo per lui e per i romani.

    • Da romana mi permetto di rispondere facendo gli scongiuri. Di speranza abbiamo bisogno ora, non di vaticini pessimisti e, sì, jettatori…

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