Uno scenografo può costruire una scuola?

Nel paese delle arti e della musica, che fine farà l’Alta formazione artistica e musicale, in acronimo Afam? La polemica e gli scontri che stanno accompagnando l’iter del nuovo disegno di legge di iniziativa parlamentare non promettono nulla di buono. Siamo all’ultimo atto in ordine di tempo di una riforma varata quasi 13 anni fa e oramai candidata a presiedere l’affollato museo delle italiche belle intenzioni.

Questa legge di iniziativa parlamentare (Atto Senato 1693 primo firmatario senatore Asciutti, passato all’esame della Camera come Atto 4822, relatore deputato Scalera, e da ora in avanti definito Ac 4822), vorrebbe soddisfare l’Afam nelle sue aspirazioni: Accademie –di Belle Arti, Danza, Arte Drammatica–, Conservatori e altri Istituti con missione “artistica o musicale” raggiungerebbero così l’autonomia e la parificazione all’Università. Aspirazioni, va detto, legittime in più sensi: perché in tutta Europa e in molti paesi del mondo la formazione artistica e musicale ha il suo sbocco finale in istituzioni di valore universitario; perché l’autonomia, tra l’altro, soprattutto nella scelta dei docenti permetterebbe finalmente di scavalcare le cosiddette graduatorie dando finalmente la possibilità di scegliere l’insegnante migliore. Legittime a maggior ragione poiché sancite dalla legge 508 del dicembre 1999, che organizzava l’intero comparto e che a 13 anni dalla entrata in vigore non è ancora applicata e lungi dall’esserlo positivamente.

Spiace dover constatare che l’Ac 4822 non appare la risposta a queste giuste aspirazioni. Si presenta invece come un provvedimento inadeguato, non privo di assurdità e incongruità giuridiche, addirittura redatto in un italiano claudicante, come ha puntualizzato l’ufficio legislativo della Camera nel suo lungo rapporto alla Commissione Cultura. Merita sottolinearlo: probabilmente è la prima volta che un provvedimento arrivato dal Senato sia smontato e fatto a pezzi in questo modo dalla Camera, al punto che potrebbe addirittura profilarsi una frizione istituzionale.

Hanno ragione i tecnici della Camera nel loro giudizio tanto corposo e severo? Andiamo al dunque: a titolo di esempio si potrebbero citare i primi due articoli del provvedimento, dove è sancita «l’equipollenza» dei diplomi dell’Afam a quelli universitari. Ma come si fa a dare a un Diploma di Accademia di Belle Arti «l’equipollenza» con una Laurea in Architettura? Si vuole forse arrivare a che uno scenografo o uno scultore siano abilitati a calcolare l’agibilità di un ponte o la tenuta di un edificio scolastico? Vale anche il contrario: dare a un Diploma in strumento il valore di una Laurea in Musicologia comporta viceversa che i musicologi possano concorrere a un posto in orchestra come trombettista o violinista.

Ci limitiamo per brevità a questo solo esempio, ma chi confonde il valore legale del termine «equipollenza» con quello di «equivalenza» o «equiparazione», meriterebbe l’interdizione perpetua dai pubblici uffici “honoris causa”.

La VII Commissione Cultura della Camera si è trovata di fronte a un non facile dilemma: insabbiare il disegno di legge, oppure provare a correggerlo. Avendo scelto la seconda opzione è probabile che arrivi a stravolgere completamente il testo per renderlo potabile a una votazione nelle aule parlamentari. Il che, sia detto per inciso, non è poi ineccepibile: se infatti dal Senato arriva una legge sulla pesca, dalla Camera non dovrebbe uscire una legge sul traffico marittimo. Staremo a vedere.

Tra le altre cose le Accademie di Belle Arti scalpitano per uscire dall’Afam ed entrare nel sistema Universitario: le ragioni non mancano, il Ministero dell’Istruzione Università e Ricerca in questi anni ha fatto pochissimo, per non dire nulla, per la riforma, bloccando le aspirazioni degli istituti pubblici dell’Alta formazione e concedendo molto invece a quelli privati. Un comportamento a dir poco vergognoso, ma scorporare dall’Afam le sole Accademie di Belle Arti, non risolve i problemi dell’Alta formazione e appare una scorciatoia funzionale solo ad alcuni per agguantare subito la parificazione all’Università.

In conclusione questo Ac 4822, creato per mettere delle toppe su un abito, quello dell’Afam, già logoro prima ancora di essere indossato, rischia di dar adito soltanto a infinite diatribe tecnico-parlamentari. È una iniziativa che sembra nata sotto quelle spinte corporative, nel senso peggiore del termine, che purtroppo hanno informato la nascita e l’intero iter di questa riforma, e sono causa almeno in parte della sua mancata applicazione, rischiando così di sancirne la inapplicabilità.

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *