L'ASINO DI BURIDANO

Massimo Parodi

Professore di Storia della filosofia medievale all'Università Statale di Milano.

Una volta

Mi infastidiscono molto i discorsi che misurano il presente in base a un passato spesso solo immaginato e abbellitto secondo necessità. Gli studenti non sono più come una volta, non ci sono più i valori di una volta, bisogna ritrovare il piacere di fare la spesa arriva a dire la pubblicità radiofonica di un supermercato.
Mi è venuto in mente un gioco e ho cercato un articolo di giornale che potrebbe essere, ma non è, dei nostri giorni e ho tolto i nomi propri che potrebbero immediatamente far scoprire i riferimenti storici. La soluzione, come per molti giochi, è al termine della citazione.

Siamo i primi a passare dalle parole ai fatti, proclama orgogliosamente (1), responsabile della segreteria politica (2). E non gli si può proprio dare torto. Dopo aver annunciato, meno di un mese fa, il fermo proposito di mandare all’inceneritore l’attuale milione e ottocentomila tessere del partito per ricominciare le iscrizioni da zero, la (3) passa ora alla fase numero due. Il significato e le modalità dell’operazione rinnovamento che prenderà ufficialmente il via a gennaio sulla base del Manifesto di adesione (4) presentato ieri, sono state illustrate da (1) e da Franco Marini, responsabile dell’organizzazione del partito. Cambia radicalmente il sistema del tesseramento: basta tessere, a volte false o vendute in cambio di favori, utilizzate spregiudicatamente per far guadagnare alla propria corrente il maggior numero di delegati ai congressi. Ora gli aspiranti (5) dovranno presentarsi ai centri di raccolta che si stanno formando in tutti i comuni italiani, sottoscrivere il manifesto politico, versare un contributo, ed accettare di rendere pubblica la propria appartenenza al (6). Il manifesto si rivolge alle donne e agli uomini che nutrono passione civile ed hanno a cuore la sorte della convivenza democratica, e a questi chiede di aderire alla (3) e all’ impresa della sua rinascita. Con quali finalità? Nelle cinque pagine di appello al popolo (7) si prevede il massimo impegno per la ridefinizione delle regole della vita democratica ed istituzionale, la difesa dell’unità e indivisibilità della Repubblica, il superamento della drammatica crisi morale che attanaglia il Paese e, nel partito, la revisione profonda delle strutture. A partire appunto dall’azzeramento delle tessere che, dice Marini, assicurerà maggiore trasparenza e permetterà a tutti coloro che lo vorranno veramente di partecipare alla vita attiva del partito”

[(1) = Pierluigi Castagnetti; (2) = della Dc; (3) = Democrazia cristiana; (4) = alla Dc; (5) = dc; (6) = Biancofiore; (7) = democristiano; la citazione proviene dal Corriere della Sera del 31 dicembre 1992]

Pare proprio che alcune cose di oggi siano come quelle di una volta e sarebbe meglio non fosse così.

  1. Chi nega che esiste la verità, ammette che esiste una verità (Summa. Th. I, q 2, a. 1). Cito Tommaso, tra gli altri possibili mostri sacri, non per l’autorevolezza dell’argomento, in sé futile per quanto mi riguarda, ma per concentrare l’attenzione sul gioco di parole, o meglio sulla parola stessa, sul vocabolo verità e sul suo massiccio effetto psicosomatico. Dunque sulla sua forza pragmatica e non-verbale, prima ancora che sulla pretesa consistenza logico/semantica. Infatti, sia nella forma più altezzosa e teoricistica del sostantivo astratto, sia in quella più attenuata e per così dire pronto moda dell’aggettivo, ha pur sempre un’eco perentoria, conclusiva, totalitaria. Una volta ho sentito un sagace neopositivista proporre robesperrianamente di abrogarla, di eradicarla dal lessico e dai dizionari (della serie: voler mettere le braghe al mondo).
    In ogni modo, benché il nome verità e i suoi derivati possano non avere una suppositio protocollare, certa e univoca tranne quella materialis – aggiungo, da semi-relativista: fortunatamente! – tale nome ha però una storia lunghissima e impetuosa, come se non si fosse mai riusciti a farne a meno e come se in fondo tutto dipendesse da quello, fino a scannarsi reciprocamente. Come tanti altri, del resto, di cui è nota la natura intenzionale, ma non si conosce il significato: cfr. dio, oppure nulla. Vero e falso, tuttavia, proprio per tale deficit referenziale per certi versi sembrano l’anima stessa del linguaggio, sono vuoti perché vasi scelti e preziosi. Forse si tratta di impegnarsi ogni volta a capire cosa ci vien messo dentro, da chi e perché. Quello offerto da Anna mi sembra un vinello schietto, vivace e più che discreto, incomparabilmente migliore del sofisticato sciacquabudella doroteo; anche se non consente, come vorrebbe, di distinguere almeno provvisoriamente momenti storici più veri di altri. Vino, per altro, spillato da un oste perfetto.

  2. Mozart prende in giro il meccanismo dell’idealizzazione del passato con la sua canzone Die Alte, che inizia appunto così: Zu meiner Zeit … era tutto meglio!

  3. … molto male Professore: verità e falsità esistono, ma non sono pensabili come cose da maneggiare o come concetti, ma come processi, come qualcosa che diviene, nell’orizzonte, sempre aperto, di una interpretazione. Non dico che sia facile …

  4. veramente bravo Professore! Il vecchio muore e il nuovo non può nascere, anche questa citazione di K.Marx è una cosa di una volta, però è profondamente vera; allora la distinzione è sempre tra verità e falsità, o propaganda, e tra idee giuste ed idee sbagliate, o no?

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