DA MADRID

Marco Calamai

ingegnere, dirigente sindacale CGIL, funzionario Nazioni Unite. Giornalista, ha scritto libri e saggi sulla Spagna, America latina, Balcani, Medio Oriente. All'ONU si è occupato di democrazia locale, dialogo interculturale, problematiche sociali, questione indigena. Consigliere speciale alla CPA ( Autorità Provvisoria della Coalizione, in Iraq (Nassiriya) si è dimesso dall'incarico ( 2003 ) in aperta polemica con l'occupazione militare. Vive a Madrid dove scrive su origini e identità.

Santiago Carrillo, il comunista socialista

Due anime hanno configurato la complessa personalità di Carrillo. Quella socialista e quella comunista, quella democratica e quella autoritaria. Giovanissimo dirigente socialista nei primi anni trenta, divenne comunista all’inizio della Guerra Civile. Credeva nell’unità della sinistra e fu l’artefice del processo di unificazione tra la gioventù socialista, che diresse per un periodo, e quella comunista. Sono convinto che quella radice abbia avuto una forte influenza nella sua lunga e complessa parabola politica. Santiago, dopo la fine impietosa del PCE, in parte legata agli errori da lui commessi, è molto probabilmente deceduto sentendosi di nuovo socialista, come nei suoi anni giovanili. Eppure non si è mai pentito del suo lungo passato comunista: durante il tragico periodo dello stalinismo e, più tardi, nel faticoso processo di separazione dall’URSS iniziato con la condanna dell’invasione sovietica di Praga.

Penso che il pragmatismo di Santiago Carrillo, emerso in momenti diversi della sua storia, in particolare nella transizione democratica spagnola di cui fu uno dei principali artefici come ora tutti riconoscono, abbia molto a che fare con la sua iniziale formazione socialista, influenzata dalla figura paterna, un dirigente sindacale della UGT, il sindacato storico del PSOE. E’ probabile che, quando aderì al PCE, Carrillo non fosse pienamente consapevole del carattere totalitario del regime staliniano. Anche se forse ne diffidava il che potrebbe spiegare perché si tenne lontano da Mosca durante la dittatura franchista e scelse Parigi come sede del partito in esilio. Carrillo mi comunicò questa impressione durante la nostra ultima intervista, pochi anni fa, quando ancora una volta difese senza tentennamenti la sua scelta eurocomunista negli anni settanta.

Santiago, tuttavia, fu anche, e come, un comunista. Lo fu forse soprattutto nella gestione del partito. Fu durissimo nella emarginazione dei militanti che criticavano la strategia del partito. Lo fu nei primi anni sessanta nei riguardi di Fernando Claudin e Jorge Semprun, ai quali non perdonò la critica all’obiettivo della Huelga Nacional Pacifica, secondo loro inapplicabile nelle nuove condizioni della società spagnola. Lo fu nuovamente all’inizio degli anni ottanta quando espulse dal partito i renovadores, i militanti più legati alla realtà della nuova Spagna che criticavano i ritardi nel rinnovamento del PCE. Una decisione che accelerò l’agonia della forza politica che più di altre si era battuta contro la dittatura.

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