LA BELLA CONFUSIONE

Oscar Iarussi

Giornalista e scrittore, in libreria con "Amarcord Fellini. L'alfabeto di Federico" (Il Mulino ed., 2020)

Riassunto rubacuori per giapponesi

Vallo a spiegare non dico al «marziano a Roma» di Ennio Flaiano, ma al giapponese in vacanza o allo svizzero solitario che sconfini per un’avaria del «tomtom». Benvenuti nel Belpaese. Qui l’ex presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, già afflitto da una serie di guai giudiziari, è da poco stato condannato in primo grado per talune cene troppo galanti. Tra le leccornie carnali vi sarebbe stata l’allora minorenne dal soprannome immaginifico di Ruby Rubacuori. Age e Scarpelli, sceneggiatori principi della commedia all’italiana, non avrebbero saputo inventarne uno migliore!

La fanciulla – a prima vista una seguace della Compagnia delle Dimesse di Sant’Orsola, ma non del tutto – nega di aver avuto rapporti sessuali con il Potente Politico. Né è mai stata citata dall’accusa. Come mai? Non è forse «la parte offesa»? La Grande Accusatrice dalla Fulva Chioma, Ilda Boccassini, ha definito Ruby, al secolo Karima El Marough, marocchina, «ragazza di una furbizia orientale». Ergo una menzognera, pare di dedurre. Oltretutto si spacciò per la nipote del presidente egiziano Hosni Mubarak: una circostanza sulla quale il Parlamento fu chiamato a esprimersi. Secondo i giudici milanesi, Ruby sarebbe bugiarda al pari di numerosi testimoni della difesa, inclusi nomi noti del giornalismo e dello spettacolo.

La corte celeste, anzi rosa, del Cavaliere era composta dalle cosiddette «olgettine», una più vivace e fascinosa dell’altra: venti-trentenni impegnate, ovvero impiegate nei sollazzi o forse solo nei lazzi dell’imperatore. Il tutto, con impareggiabile senso onomatopeico, è ormai classificato nei dizionari italiani: è il «bunga bunga», locuzione che ha fatto storia più del «tuca tuca», del «fichi fichi» e persino dell’immortale «sugli sugli bane bane» («tu miscugli le banane», ndr).

Fin qui tutto normale/anormale, per carità. Né può sorprendere più di tanto che a smistare il via vai delle «olgettine» sarebbe stata – si valuta in un altro processo – l’ex igienista dentale dell’ex premier, poi divenuta consigliere regionale lombarda, come succede a chiunque abbia una infarinatura di Odontoiatria: parliamo di Nicole Minetti dalla superba sensualità. Il giapponese o lo svizzero si stupirà, vero, ma con sorridente indulgenza verso il carattere italico, proverbialmente eccentrico.

Però non è finita. Perché l’ex premier appena condannato è il principale artefice e finora il supporto essenziale del governo Letta in carica (Enrico Letta, non lo zio Gianni, ex sottosegretario dell’ex presidente del Consiglio). Dopo un bimestre di indecisione post-elettorale, il governo Letta è nato grazie alla determinazione del presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, rinnovato sebbene non volesse affatto restare al Quirinale. Lo stesso Napolitano a fine 2011, mentre Berlusconi lasciava Palazzo Chigi tra fischi e canti di Bella ciao, incaricò il tecnico Mario Monti che ha poi governato per un anno e mezzo con l’appoggio di… Berlusconi. Quest’ultimo, addirittura, avrebbe visto volentieri Monti alla guida elettorale dello schieramento di centro-destra, se non fosse accaduto che Monti da tecnico si fosse trasformato in politico. Bello, nevvero?

È forse questa «la grande bellezza» italiana, per dirla col titolo del fortunato film di Paolo Sorrentino. Cioè una prevedibile imprevedibilità, una propensione tenace per gli ossimori, un sincretismo alla matriciana, una voglia matta di dissipare la residua credibilità. In definitiva: uno spettacolo grottesco e talvolta assurdo, il Realitaly show, che accomuna protagonisti e comparse, l’eterno dinosauro della politica e il vieux prodige della società civile/incivile. «Siamo tutti puttane» – ha delibato Giuliano Ferrara con il sarcasmo del genio togliattiano mai sopito in lui, animando una manifestazione antipuritana contro la sentenza-Ruby, in piazza Farnese a Roma (sì, è il Ferrara «papista» o «ateo devoto» degli anni passati). «Tutti puttane? Vasto programma», l’ha punzecchiato Adriano Sofri sul «Foglio», parafrasando la risposta di De Gaulle a chi invocava «morte agli sciocchi».

Comunque vada a finire – oddio, «finire» è una parola grossa, diciamo a continuare – questa sentenza che condanna Berlusconi è la ciliegina sulla torta avvelenata dell’immagine italiana nel mondo. Non vedono l’ora, popoli e paesi molto meno fantasiosi di noi, di relegarci a un levantinismo di maniera (occhio ai luoghi comuni geopolitici, dottoressa Boccassini). Tuttavia, di là dagli esiti dei successivi gradi di giudizio, bisogna riconoscere che la vicenda Ruby, o, meglio, gli ultimi lustri italiani-berlusconiani, restituiscono una «fotografia» immobile di un paese lacerato, crepuscolare, confuso, in altalena tra depressione e euforia. Un’Italia la cui vitalità non è avanzante, bensì avanzata: al pallido ricordo del boom anni Sessanta si aggiunge una sconfinata voglia di tornare giovani quando ormai si è vecchi. Cos’altro è il «bunga bunga» se non una metafora dell’Italia senile ai tempi della crisi?

D’altro canto, al centro-sinistra non ha mai giovato la via giudiziaria all’antiberlusconismo e ora persino un intellettuale comunista del valore di Luciano Canfora critica il protagonismo in politica della magistratura. Già, le allegorie faunistiche contro Berlusconi si addicono a Nanni Moretti che quest’anno ha fatto ambo sulla tombola delle profezie: dimissioni del pontefice (Habemus papam) e sette anni di condanna per Berlusconi (Il caimano). Funzionano meno bene in politica, a giudicare dal malinconico prepensionamento di Pier Luigi Bersani dopo mesi trascorsi nella sicumera di riuscire a «smacchiare il giaguaro».

Non ci resta che ridere amaro? Quién sabe. Forse è arrivato il momento di meditare una successione a Berlusconi, possibilmente – suggeriremmo – senza festeggiamenti eccessivi degli avversari che non sono riusciti a sconfiggerlo politicamente. Una rigenerazione potrebbe, chissà, allargarsi ai vari poteri: un esecutivo riguadagnato alla responsabilità di decidere, un legislativo non prigioniero del rituale passatempo sulla legge elettorale, e il giudiziario finalmente spogliato da ambizioni verso la Camera e i camerini. Sebbene v’è già chi dica che la rigenerazione sia in fondo una questione di generazione, candidando Marina Berlusconi, figlia di Silvio, a futuro leader. Parliamone (con lo svizzero e il giapponese).

Articolo apparso sulla “Gazzetta del Mezzogiorno” del 27 giugno 2013

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