CROCE E DELIZIE

Corrado Ocone

Filosofo

Rawls, Collingwood e il concetto come universale concreto

La centralità della collingwoodiana “logica della domanda e risposta” nella filosofia novecentesca emerge anche, “in negativo” (dal mio punto di vista), da un luogo importante dell’opera di John Rawls: la parte dedicata a Locke delle sue Lezioni di storia della filosofia politica (da pagina 199 a pagina 267 dell’edizione italiana Feltrinelli del 2009). Il capitolo lockiano si apre e chiude nel nome del pensatore inglese. In particolare, al punto 1., Rawls discute il passo di An Autobiography che aveva interessato anche Gadamer (che non è comunque mai citato): “La storia della teoria politica non è la storia di risposte differenti a una stessa domanda, ma la storia di un problema che è cambiato in maniera più o meno costante, e la cui soluzione è cambiata con esso”. La cosa strana è che, pur considerandola “esagerata”, Rawls sembra accettare l’osservazione di Collingwood. In sostanza, però, la fraintende. O, quanto meno, tralascia il nucleo logico più profondo della questione. Egli infatti afferma che, per quanto ogni autore abbia avuto un suo specifico problema per comprendere il quale è necessario risalirvi dalle risposte che si trovano nella sua opera (e che anzi sono la sua opera), è pur vero che i grandi pensatori del passato si sono posti “alcune domande fondamentali che continuiamo a porci” anche noi. E fa degli esempi: “Qual è la natura di un regime politico legittimo? Quali sono le basi e i limiti di un regime politico? Qual è il fondamento dei diritti, se esiste? ecc”. Ciò che qui non è colto è il fatto che è la forma stessa della comprensione, cioè il giudizio, ad essere calata integralmente nella storia. Ed il giudizio è sempre, di necessità, nesso, o meglio sintesi, di un universale e un particolare. Il concetto è sintesi a priori, universale concreto. Ne consegue che la giustizia, la legittimità, i diritti …, non possono essere concepiti al di fuori dei concreti e individui giudizi storici che qualificano ogni volta e daccapo un soggetto con un predicato. La domanda volta a individuare le caratteristiche, seppur generali (ad esempio i “principi di giustizia”), di una “società giusta”, “equa”, “ben ordinata”, è da un punto di vista filosofico mal posta proprio perché astrae da questo nesso. Così come errate sono, lungo la stessa direttrice di pensiero, le domande che si pone nell’introduzione al suo ultimo libro un “rawlsiano” doc come Alessandro Ferrara: “Che cosa significa giustizia? Che cosa vuol dire democrazia? Che cosa dobbiamo intendere con libertà?” (Democrazia e apertura, Bruno Mondadori, Milano 2011). La filosofia non può mettere ipoteche sul futuro perché l’individuale che entrerà a far parte delle sintesi conoscitive dei futuri giudizi storici non è predeterminabile. La filosofia-storia giunge sempre troppo tardi, come la nottola di Minerva di hegeliana memoria. E noi non possiamo che porci ogni volta, di fronte al mondo, altro che in “uno stato di innocenza” o “spregiudicato”, senza la possibilità di avere a disposizione concetti da applicare meccanicamente (cfr. Benedetto Croce, Note di Logica III. “Contro il concetto di verità ‘a priori’ in filosofia”, in Discorsi di varia filosofia, vol. II, Laterza, Bari 1942, pp.12-14)). Detto altrimenti: un passaggio fra teoria e prassi, fra la sintesi conoscitiva e quella volitivo-pratica, ci sarà pure (Croce parla del pensiero come “preparante ma indeterminante” rispetto all’azione), ma esso non può certo avvenire nel senso di una logica deduzione.

  1. Non mi è chiaro un punto, che mi pare fondamentale, Professore. Mi farebbe la cortesia di chiarire come mai, essendo il giudizio “sintesi di universale e particolare”, non sarebbe possibile determinare il “che cosa” (sia esso della giustizia o dell’equità o di qualsivoglia concetto), essendo questo proprio l’universale di quella sintesi? Esso certo dovrà essere pensato concretamente nel particolare, ma non può essere ad esso ridotto, altrimenti non si avrebbe più alcuna sintesi. Dove mi sbaglio?

    • Caro Zuppa, provo a dire come vedoo io le cose. Senza la presunzione, ovviamente, di poter dare se non una risposta provvisoria a un problema molto importante come quello da lei sollevato. iQuello che io credo è che universale e particolare non esistono, diciamo così, in sé presi. Se esistono, esistono solo a posteriori. Esiste invece la sintesi da cui vengono poi estrapolati con un’operazione, propria dell’intelletto astratto, che divide ciò che non è diviso per motivi di comprensione e orientamento. Prima la sintesi, che è appunto a priori, e poi l’analisi. In questo senso il concetto di un concetto, che dovrebbe essere la categoria, è ancora un concetto. E’ ancora predicato di e in un giudizio. E quindi ha senso solo in una nova sintesi. Non può tenersi fermo nulla, in questa mia prospettiva, anche se è poi vero che “lo spirito cresce su se stesso” e non si parte mai daccapo. In questo senso Gentile, non senza ragione, parlava di assoluto formalismo della filosofia. Quello che io non condivido a priori in rawls è la sua scelta iniziale, di posizionamento, il suo metodo: non ci si può porre di fronte alla realtà, almeno da un punto di vista filosofico, come ci si pone di fronte ad un problema matematico: come si può pensare di trovare dei principi di giustizia e ridurli ad una regola fissa, seppur vaga e generica, quasi fossero e dovessero essere sempre il minimo comun denominatore di tutto ciò che è giusto in una società? Ammetto, ovviamente e comunque, che la discussione è lunga va comunque continuata. Un caro saluto e grazie per l’attenzione, Corrado Ocone

      • Gentile Professore, La ringrazio per la risposta, molto importante per la logica che vi è sottesa: il vero sta nella sintesi, che è atto sempre rinnovantesi. Questa acquisizione è fondamentale per evitare che la soluzione alla crisi attuale della cultura (o della filosofia o dei valori) sia un vacuo quanto improbabile ritorno all’universalismo astratto dal quale a fatica siamo usciti. Il pericolo è però quello di finire nelle sabbie mobili del postmoderno, dove “non può tenersi fermo nulla”. Sicuramente Lei non cade nell’astratto opposto, poiché aggiunge che “lo spirito cresce su se stesso”; ciononostante non mi riesce facile vedere l’alternativa nelle sue parole. Da esse sembrerebbe non si possa determinare affatto qualcosa di universamente valido in tutte le epoche, quegli esistenziali (per dirla con Heidegger) che con i termini generali cerchiamo di carpire, quel “che cosa” che le epoche hanno cercato di afferrare con i loro universali. “Filosofare” nell’essenziale non è lo stesso oggi che duemila anni fa? Certo in strutture e con modalità differenti, ma l’attività dell’essere umano che vogliamo indicare non è la stessa? La “libertà”, posto che ciascuno la viva nelle modalità a sé più proprie, non implica un’essenza costitutiva che si ripresenta pure nelle differenti modalità in cui si può realizzare? E così per gli altri concetti. Per dirla con Hegel: «lo sviluppo di fondamenti storici non va scambiato con lo sviluppo dal Concetto, e alla spiegazione e giustificazione storica non bisogna dare il significato di una giustificazione valida in sé e per sé». Ad esempio, le categorie dei “Lineamenti” si declinano certo differentemente nel corso della storia, ma quell’aspetto dello Spirito a cui si riferiscono è pur sempre lo stesso nel suo differenziarsi dagli altri. Ovvero, per dirla con Croce, il “concetto puro” è l’universale ed è determinabile.
        Però, come Lei sottolinea, qui il problema è “molto importante”; io direi pure che è Il Problema (oggi più che mai). Ancora grazie per la risposta, augurandomi che vi sarà in futuro la possibilità di continuare.

        [Ho portato quegli esempi di concetti perché mi pare si possa definirli in questa maniera: Filosofia: https://www.facebook.com/photo.php?fbid=488275487853784&set=a.175128479168488.49793.132364710111532&type=1&theater; Libertà (in una delle sue accezioni): http://www.centroattivamente.com/ricerca-am-filosofia-e-scienze-umane/la-libert%C3%A0/; Felicità: http://www.centroattivamente.com/ricerca-am-filosofia-e-scienze-umane/logica-della-felicit%C3%A0/. So che questo complica la mia argomentazione, ma al di là della condivisione o meno nel merito, mi pare che tali determinazioni possano essere universali nel senso che, qualsiasi forma abbiamo acquisito nella storia, presentano quelle strutture qui individuate].

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