ZATTERA SCIOLTA

Giovanni Cominelli

Laurea in Filosofia nel 1968, dopo studi all'Università cattolica di Milano, alla Freie Universität di Berlino, all'Università statale di Milano. Esperto di politiche dell’istruzione. Eletto in Consiglio comunale a Milano e nel Consiglio regionale della Lombardia dal 1980 al 1990. Scrive di politiche dell’istruzione sulla Rivista “Nuova secondaria” e www.santalessandro.org, su Libertà eguale, su Mondoperaio. Ha scritto: - La caduta del vento leggero. Autobiografia di una generazione che voleva cambiare il mondo. Ed. Guerini 2008. - La scuola è finita… forse. Per insegnanti sulle tracce di sé. Ed. Guerini 2009 - Scuola: rompere il muro fra aula e vita. Ed. Guerini 2016 Ha curato i volumi collettivi: - La cittadinanza. Idee per una buona immigrazione. Ed. Franco Angeli 2004 - Che fine ha fatto il ’68. Fu vera gloria? Ed. Guerini 2018

RAPPORTO ISTAT 2023 – LA FRATTURA GENERAZIONALE

Rapporto ISTAT 2023, si allarga la frattura tra le generazioni. Le responsabilità della politica e la paura del futuro
Giovanni Cominelli
12 Luglio 2023

L’Istituto Nazionale di Statistica – ISTAT- fu istituito il 26 luglio 1926 per fornire ai decisori politici un’immagine realistica del Paese, che erano chiamati a governare. Dal 1992 produce un Rapporto annuale. Il Rapporto ISTAT 2023 è il 31°.

A proposito di decisori, dobbiamo prendere atto che la Commissione Affari Istituzionali del Parlamento non è ancora riuscita a trovare la maggioranza necessaria dei 2/3 per approvare la decisione del Governo di riconfermare il Presidente uscente, il prof. Gian Carlo Blangiardo, di cui peraltro sono indiscutibili la competenza e l’equilibrio dei giudizi, assai meno fantasiosi di quelli del Censis.

In attesa che i decisori abbandonino l’indecisionismo, il Rapporto ISTAT 2023 offre, anche quest’anno, uno specchio, in cui il Paese può vedere i propri nei e le proprie rughe.

La questione giovanile nei numeri del rapporto
Rinviando ad una lettura del Rapporto integrale, qui si intende richiamare l’attenzione sulla questione giovanile, così come emerge dai numeri del Rapporto.

Nel capitolo “I giovani come motore del processo di cambiamento e rinnovamento del Paese”, esso esordisce con la seguente affermazione:

“La partecipazione dei giovani alla vita economica e sociale del Paese è elemento cruciale per garantire un modello di sviluppo più inclusivo e sostenibile, la crescita economica, l’equilibrio stesso del sistema del welfare. Il programma dell’Unione europea Next Generation EU riconosce la centralità del fattore “giovani” per affrontare le sfide future dovute alla transizione demografica, digitale ed ecologica. Le previsioni demografiche mostrano però che essi costituiranno una risorsa sempre meno disponibile nel futuro del nostro Paese. Per uscire da questa situazione è indispensabile invertire tempestivamente e in modo radicale la tendenza alla dissipazione delle energie e delle competenze delle nuove generazioni”.

Quanti sono i giovani italiani? Calcolati nella fascia di età dai 18 ai 34 anni, i giovani nel 2022 – i dati del Rapporto si riferiscono sempre all’anno precedente – erano 10 milioni e 273 mila.

Ora, denuncia il Rapporto, quasi un giovane su due mostra almeno un segnale di deprivazione in uno dei domini chiave del benessere: Istruzione e Lavoro, Coesione sociale, Salute, Benessere soggettivo, Territorio. Ma più di 1 milione e 600 mila è multi-deprivato, perché segnala deprivazione in almeno 2 domini.

Più vulnerabili nelle tappe iniziali della vita adulta
Costoro stanno nella fascia di età più alta, quella tra i 25 e i 34 anni, che appare la più vulnerabile. Sono coloro che entrano nelle tappe iniziali della vita adulta: l’ingresso nel mercato del lavoro, l’uscita dalla famiglia di origine, l’inizio di una vita autonoma, la formazione di un’unione, la scelta di diventare genitori.

La vulnerabilità spinge verso il posticipo dell’ingresso nelle tappe fondamentali della vita. Conclude il Rapporto: “Precarietà e frammentarietà delle esperienze lavorative e la scarsa mobilità sociale hanno contribuito a compromettere le opportunità di realizzazione delle aspirazioni di una larga parte di giovani e a scoraggiarne la partecipazione attiva a vari livelli, politico, sociale e culturale”.

E qui subentra – o dovrebbe – la politica con le sue policy. Quali politiche si debbano fare viene raccolto ogni anno in lunghi elenchi di desideri, di proposte e programmi delle maggioranze di governo e delle opposizioni.

Ma il confronto in materia di investimenti sociali e di spesa pubblica in istruzione, in asili nido e in protezione sociale con gli altri Paesi europei della nostra dimensione e nostri competitori resta sempre decisamente sfavorevole.

E non perché la politica italiana non veda. Semplicemente ha scelto di privilegiare le domande delle generazioni adulte e anziane. I conti elettorali sono presto fatti: gli elettori sono 41 milioni.

Tolti i 10 milioni di giovani, restano 31 milioni di elettori non-giovani da accontentare. Qui le differenze tra Destra e Sinistra diventano labili. D’altronde, se la maggioranza della popolazione è adulto-anziana – l’età media italiana è di 48 anni, la più alta dei 27 paesi – e ha un’umanissima paura matta di perdere il proprio benessere immediato e quotidiano, solo una politica molto lungimirante, intellettualmente all’altezza della nuova struttura del mondo, potrebbe permettersi politiche a favore dei giovani. La nostra politica non è né lungimirante né all’altezza. Scordiamoci, dunque, l’appello dell’ISTAT ad un’inversione tempestiva e radicale della tendenza alla dissipazione delle energie giovani del Paese: It’s democracy, stupid!

Si allarga la frattura tra le generazioni
Si sta dunque allargando la frattura tra le generazioni: quelle adulte rivolte naturalmente con lo sguardo all’indietro, quelle giovani che guardano naturalmente in avanti, ma vedono paesaggi di nebbia. La politica e la democrazia si stanno perdendo in un labirinto vizioso di declino, di polemiche insensate e idiote.

Tuttavia… se i giovani non riescono ad essere “motore del processo di cambiamento e rinnovamento del Paese”, è tutta responsabilità di politiche piegate su contingenti interessi elettorali? Così che basterebbe un’iniezione di alcuni miliardi nel motore per sentirlo di nuovo rombare come negli anni ‘60?

Qual è la benzina del motore? È il futuro, il tempo che verrà. È la speranza. È il “Non-ancora”. È questo “quid” che da sempre spinge in avanti le generazioni a creare un mondo nuovo, una nuova storia. Un magnete che le attira irresistibilmente come una stella gigante. Ora, se le giovani generazioni che stanno venendo avanti non intravvedono il futuro, ciò accade perché non hanno occhi per guardarlo o perché non hanno un cuore per desiderarlo?

La risposta a questa domanda ha a che fare con i processi educativi e di socializzazione, che accadono in famiglia e a scuola. Sì, ai nostri ragazzi non manca ormai nulla. I loro desideri sono realizzati in anticipo, prima che riescano a dirli. Non riescono più a desiderare. Sono circondati da ogni lato da muri di protezione, da sbarre d’oro. Sono invitati a stare sul presente, perché al loro futuro pensano i genitori, la società, lo Stato. Si tratta di processi molecolari, quotidiani, profondi, spesso inconsci, che stanno forgiando la psicologia di una generazione.

Occhi per guardare e cuore per desiderare il futuro
Così ai nostri ragazzi capita di sentirsi onnipotenti nel presente e ciechi e muti rispetto al futuro. Non sono sfidati, perché hanno già vinto(?) in partenza.

Donde la ricerca di sfide artificiali, di frontiere da attraversare, di zone di rischio dove sperimentare la propria libertà. È una delle cause della crescente diffusione dello “sballo” e della creazione di sempre nuove “dipendenze” alla lunga distruttive.

Dove i ragazzi incontrano meno stimoli spirituali, lì è più forte l’area delle dipendenze. Lo sanno bene gli specialisti in Clinica delle dipendenze. Il dottor Paolo Marzorati in una recente conferenza, nell’ambito del Festival “Incontriamoci sul Serio” dedicato al tema della “responsabilità”, non solo ha denunciato il fenomeno in espansione del ricorso all’alcol e alle droghe dei ragazzi fin dentro i territori interni del Paese, ma ne ha spiegato il meccanismo: la caduta del desiderio. La quale è un prodotto sociale, non è un destino.

E così abbiamo davanti a noi la “Generazione Zeta”, alla quale l’alimentazione, la medicina, le biotecnologie, l’I.A… assicurano un “Secolo lungo”, con un’attesa di vita che andrà fino al 2120, al netto di catastrofi provocate dalla Natura o dagli uomini. “Secolo lungo”, ma “zaino leggero”, troppo vuoto per un cammino così lungo e accidentato. A quanto pare, le generazioni adulte stanno trasmettendo ai propri figli la paura del futuro e la religione pagana del presente.

Ecco perché la politica è disperatamente miope e pigra. Perché rispecchia ciò che la società è e vuole essere.

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