L'ASINO DI BURIDANO

Massimo Parodi

Professore di Storia della filosofia medievale all'Università Statale di Milano.

Poveri ma belli

Al sabato spesso si usciva tutti insieme per andare al cinema, senza sapere quali film fossero in programmazione; si andava in centro, si guardavano i manifesti, si decideva, si entrava senza curarsi minimamente del tempo trascorso dall’inizio del film, si rimaneva in piedi appoggiati al muro, ci si sedeva quando qualcuno nei pressi si alzava, perché era arrivato a quel punto del film, per cui la famiglia si disperdeva qua e là nella sala, per riunirsi solamente all’uscita, e si guardava lo schermo attraverso una spessa nuvola di fumo di sigarette che creava quel bellissimo effetto del fascio di luce che si allargava nell’aria a partire da quel foro, là in alto, dietro al quale era collocato il proiettore.
Nella società odierna, caratterizzata da continue informazioni, dal dilagante divieto di fumare, da orari di inizio e da posti numerati, sembra impossibile che le cose andassero in quel modo. Sembra preistoria e non c’è alcun dubbio che oggi si frequentino i cinema in modo più ragionevole; nessuna nostalgia dunque e anche nessuna voglia di coltivare quei ricordi. Eppure si sono presentati, non invitati, provocati da una serie di fotografie che si sono diffuse sulla rete nelle ultime ore, poiché, come dice Agostino (De doctrina christiana 2.1.1), il segno è una cosa che, oltre all’immagine che trasmette ai sensi di se stesso, fa venire in mente, con la sua presenza, qualcos’altro.
A 73 anni è scomparsa giovedì scorso Lorella De Luca. Penso fossero decine di anni che non vedevo il suo viso, che non ricordavo i suoi film; per rimanere in clima agostiniano, potrei dire che credevo di essermene dimenticato, o meglio neppure lo credevo perché non ci pensavo affatto. Tuttavia evidentemente era rimasto intatto il ricordo dell’oblio e, appena ho rivisto quello splendido viso di ragazza acqua e sapone degli anni del dopoguerra, mi sono sentito povero ma bello, mi sono ricordato di Alessandra Panaro, di Maurizio Arena, di Marisa Allasio.
Devo ammettere che farei volentieri a meno di questi ricordi, ma, come spesso ha ribadito Umberto Eco, è assai difficile, se non impossibile, costruire un’ars oblivionalis che si proponga l’obiettivo opposto alle varie mnemotecniche elaborate nel corso del pensiero occidentale. La rete può dare un aiuto: una immersione nelle centinaia di fotografie – in bianco e nero – dei film di quegli anni, delle automobili di quegli anni, delle città di quegli anni può forse sciogliere i ricordi precisi in un indistinto brodo primordiale.
Tenterò, ma temo che ormai mi si sia infissa nella memoria l’immagine di quel viso; e il viso della Marisa di Poveri ma belli era davvero bellissimo.

  1. Interessante che fossero le ragazze a voler vedere il seno nudo e a proiettarsi in una bravata che non si sarebbero mai consentite, avendo fra l’altro genitori ultrarepressivi, pronti ad andare dai carabinieri per un ritardo all’ora di cena.
    Per quanto riguarda il film in questione e Lorella De Luca, anche io me ne ricordo. Rientrava nella politica del meno stracci e più gambe inaugurata da Andreotti, forse deprecabile, ma non priva di lucidità. Era ingiusto dire che il neorealismo metteva l’accento sugli aspetti più sgradevoli della vita. I film del neorealismo furono visti e anche imitati in tutto il mondo, ad esempio da Kurosawa.
    Con tutto ciò, C’è tempo per ridere e tempo per piangere. Dei film come Poveri ma belli, o anche Pane amore e fantasia rispondono all’esigenza di sorridere, in anni pur difficili.

  2. Beato te Massimo, io ero di una qualche generazione successiva. Ricordo il mio cinema di paese, anzi due, uno della chiesa, lo Splendor, e uno più fuori, in una frazione di 2000 anime, gestito da un matto che ci vedeva chissà quale futuro economico. Il cinema non aveva nome, era quasi in fondo al paese; dopo il bar si girava a destra e ci si inoltrava per una sterrata sino a un capannone industriale (oh, non sto parlando di un borghetto del Monferrato o toscano, ma di Cassina Nuova di Bollate (MI), uno di quei posti che, quando andavi al mare e dicevi di essere di Milano, e ti chiedevano milano-milano?, mentivi all’idea del tuo paese-fabbrica (la Tonolli e la Falck), e dicevi sì, sì: milano-milano). Già per andare al cine faceva un freddo becco, la nebbia nascondeva i fumi tossici e l’aria sapeva di dolce, e i miei non erano molto d’accordo che mi addentrassi sino a laggiù, una terra di nessuno tra il paese e la sua corea. Ma la domenica non resistevo e andavo. Dentro, tra il fumo delle ultime nazionali e le MS morbide, il freddo era ancora maggiore, e i peggiori tra noi incidevano le sedie di legno tra i commenti in sala. Lì, vidi anche io Poveri ma belli, ma, devo ammetterlo, pur colpito dalla bellezza della fanciulla, essendo poco più che bambino e non sapendo chi fosse, non mi scatenò fantasie: era solo bella. Del resto, lo ammetto, ero lì nell’attesa puberale del successivo di Franco e Ciccio, la cui comicità non capivo ma che piaceva al branco – e sennò di cosa avrei parlato il lunedì a scuola? Sic transit.

  3. Mi scrive una amica:
    Preferisco non lasciare il commento in fondo al post e il motivo è che mi vergogno di quanto sto per scrivere, pur nel divertimento che mi procura ancora oggi ricordare quel pomeriggio al cinema.
    Innanzi tutto occorre sapere che nel mio paese negli anni ’50 c’erano ben due cinema: quello dell’oratorio con due spettacoli pomeridiani, uno al giovedì e uno alla domenica, e il cinema La sportiva. Oggi non c’è una sola sala cinematografica!
    Anche noi, ragazze e ragazzotti, si andava alla domenica alla Sportiva e ricordo benissimo quel pomeriggio in cui entrammo circa alle 15 per vedere Poveri ma belli e uscimmo, senza essercene resi conto, che era già buio. Il motivo?
    Nel film con i protagonisti che tu citi, c’era una scena in piscina in cui forse Maurizio Arena slacciava il bikini, forse proprio alla bellissima Lorella De Luca. Bene, noi siamo rimasti a vedere il film per ben tre volte, convinti che, se nella prima proiezione il seno non si vedeva, nella seconda sicuramente si sarebbe visto qualcosa in più e, non soddisfatti, rimanemmo anche per un terzo tentativo.
    Beata ignoranza. Che tempi!
    Quando uscimmo, ormai nel buio, le nostre mamme erano alla fine della via che ci aspettavano. Ricordo un paio di sonori ceffoni presi dalla mia amica Lilia, mentre Carla fu afferrata per un orecchio dal padre: a letto senza mangiare, così impari. A me toccò la più sottile vendetta psicologica; mia madre disse: tuo padre sta andando dai carabinieri per denunciare la scomparsa tua e delle tue stupide amiche. Che vergogna e che umiliazione per un paio di tette non viste!
    Anche questo era il cinema in provincia negli anni ’50, frequentato da piccole idiote crescono.

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