L'ASINO DI BURIDANO

Massimo Parodi

Professore di Storia della filosofia medievale all'Università Statale di Milano.

Nostalgia

Non conosco il tedesco, ma qualche volta mi trovo alle prese con frasi di cui vorrei comprendere il senso, che mi costano fatica e girovagare nella rete per dizionari e frasi significative. In questo girovagare scopro una parola strana e molto discussa nei suoi diversi possibili significati: Fernweh. Il traduttore di Google suggerisce proprio voglia di girovagare e la accosta all’inglese wanderlust, al francese esprit d’aventure e allo spagnolo pasión de viajar. Sembra tutto abbastanza chiaro, ma altri siti sottolineano come il termine sia costruito per essere il contrario di Heimweh – desiderio della patria, della casa – e quindi fondamentalmente dell’italiano nostalgia. Di luoghi non visti si può avere desiderio, ma se ne può avere nostalgia?
Su un sito di studenti salernitani trovo che Fernweh è la nostalgia di un posto che non hai visto, del luogo in cui non sei stato, del momento che non hai vissuto. Allora non è la semplice voglia di viaggiare o lo spirito di avventura, è un concetto più complesso: nostalgia, come di qualcosa che si è perso, ma di ciò che non si è mai visto, che non si è mai avuto.
Se si pensa a un luogo in cui non si è mai stati, ma di cui si sente nostalgia, come se ci si fosse stati, compaiono luoghi che si sono immaginati come luoghi persi, vicini e lontani al tempo stesso, e allora il concetto sembra aiutare a comprendere qualche aspetto della celebrazione del Natale in cui siamo immersi in questi giorni. Non è certamente l’unico motivo, ma forse è uno dei motivi per cui il Natale coinvolge credenti e non credenti, desiderio di feste rumorose e desiderio di silenzio. Una tradizione secolare ha creato una sorta di immagine di un luogo di pace, di calore, di autenticità, un luogo che non è mai esistito ma in cui ci pare talvolta di essere stati, un luogo di cui non si è mai avuta esperienza ma di cui si può sentire nostalgia.
Un accostamento forse irrispettoso fa tornare alla mente un passaggio del Cyrano di Guccini: Non voglio rassegnarmi ad essere cattivo, / tu sola puoi salvarmi, tu sola e te lo scrivo: / dev’esserci, lo sento, in terra o in cielo un posto / dove non soffriremo e tutto sarà giusto. Moltissime volte, nella nostra storia, è stato espresso questo desiderio, o meglio è ricomparsa questa nostalgia di un luogo in cui non siamo mai stati, nella filosofia, nell’arte, nelle canzoni, nella poesia.
Anche per questo, forse, è Natale. Auguri.

  1. Chi non ha mai provato il richiamo dell’altrove? anche se non è possibile definirlo, l’altrove ci accompagna sempre.

  2. Grazie Massimo. Anche a te auguri nello spirito di questa – talvolta dolorosa – nostalgia che qui hai descritto, ma soprattutto hai provato e sai testimoniare e insegnare. Infatti dovrei chiamarti professore, ma le mie sessantasei primavere e una ricorrente consuetudine con te a discorrere di filosofia, di tutto e di niente nei baretti di via S.Sofia prima di un corso o di un seminario, su al quinto piano, mi spingono a scrivere, forse con troppa familiarità, a chi considero uno dei più felici e significativi incontri della mia non fulminea esperienza di studente universitario di ritorno. Inoltre spero anche di poterti considerare un amico.

  3. Finalmente! Cominciava a mancarmi la tua scrittura. Il nostro Natale sempre più minimalista mi procura ogni anno una grande nostalgia del Natale tutto napoletano che abbiamo vissuto fino a quando sono venuti a mancare i miei genitori. Si iniziava la vigilia sera con tutto il menu rigorosamente di pesce. Poi il giorno di Natale trionfo di cibo. Di regali di musica (mio padre suonava il pianoforte ed io cantavo canzoni della tradizione napoletana). Un Natale allargato a parenti ed amici, a volte anche sconosciuti, il silenzio di cui parli non c’era. Ma quanto mi manca quel Natale, forse poco elegante e caciarone.

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