COSE DELL'ALTRO MONDO

Riccardo Cristiano

Giornalista e scrittore

Noi, i SUV, la movida e le giovani vittime di Corso Francia

Cos’è che ci interessa di quei tre sventurati ragazzi che da sabato sera sono diventati protagonisti dei nostri commenti? Non penso, purtroppo, le loro opposte tragedie, travolgere uccidendo e morire. Piuttosto è giudicare quel che ci intriga, ci coinvolge. Giudicare il colpevole, definirlo drogato è l’esercizio che ci dà maggior potere, ci consente di condannare lui e certi costumi. Eppure chi abita qui, in questa Roma nord, sa bene che su Corso Francia, di notte, andare a 80 km all’ora è quasi normale, quante volte lo avremo fatto anche noi non drogati. Assai meno diffuso è il bisogno di giudicare loro, le due vittime: attraversare di notte fuori dalle strisce e quando il semaforo è verde per gli automobilisti è imprudente. Eppure di imprudenze ne facciamo anche noi, magari meno giovani e spensierati di loro.  Ma perché attraversavano lì? Perché a quell’ora? Non lo sappiamo?

Il gusto di essere giudici, di condannare, di salire in cattedra, sparisce però quando emergono  due dati tanto evidenti quanto non commentati. Il primo: perché il ragazzo che ha ucciso viaggiava su un SUV? A cosa servono questi onnipresenti SUV in una città come Roma? Perché donne, mariti, figli, signori, signore, devono invadere un’area metropolitana con vetture fatte per tutt’altra finalità? Il secondo:  una zona dove da anni c’è la movida a ridosso di una strada a scorrimento veloce si lascia così? Senza segnali, senza lampeggianti, senza niente di niente? Luci arancioni, attraversamenti indicati, indicazioni di pericolo, non si potevano mettere? Nulla doveva essere fatto su quella strada a scorrimento veloce ma a ridosso della movida che ogni fine settimana richiama una sciame di giovani?

Ma voglio tornare al SUV perché oltre all’incuria comunitaria per la vita indicata dall’assenza di precauzioni pubbliche in una zona del genere, nel SUV e la sua diffusione in città c’è un rapporto con l’apparire, con il potere, con l’esibizione, con il fastidio per gli altri. Il SUV è anche questo, un simbolo di potere, superiorità e insofferenza. Questo giudizio però non ci riguarda forse perché colpevolizza noi, non loro. Noi che abbiamo i SUV, noi che li produciamo, noi che le pubblicizziamo, noi che li desideriamo, noi che li autorizziamo in città. Si gira in carro armato in città? Se quell’impatto fosse stato con una vettura più bassa, meno pesante, sarebbe stato ugualmente mortale? Se il pilota avesse avuto una vettura normale avrebbe avuto diversa visuale? Non lo so, non ho risposte a queste domande. Ma mi intaserebbe sapere. So però che i simboli di una società consumista non si discutono, non si giudicano, non possono andare sul banco degli accusati. 

E se con segnali e senza SUV quelle due dolcissime ragazze oggi fossero vive?  Ma parlare di questo è fastidioso, coinvolge anche noi. Invece definire drogato uno che va a ottanta all’ora su Corsa Francia di notte, come tutti noi avremo fatto chissà quante volte di notte, ci stacca, ci allontana da loro, ci consente di giudicare, di condannare. Per qualcuno giudicare l’imprudenza di loro due consentirebbe l’esercizio della critica verso di loro. Ma i SUV sono intoccabili, i pericoli che creano ogni giorno in una realtà metropolitana non interessano, non devono interessare. Il consumo, l’esibizione di inutili e pericolosi beni di gran costo ma anche di gran pericolo non deve essere scalfito. 

Sì, io a Corso Francia vedo tre vittime e troppi giudici.

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