L'ASINO DI BURIDANO

Massimo Parodi

Professore di Storia della filosofia medievale all'Università Statale di Milano.

Modelli culturali

Ma allora è proprio vero che il pensiero viene dopo? Che prima succedono le cose, i fatti, le scelte e poi cerchiamo di trovare spiegazioni teoriche di quanto comunque è quello che è?
Nei nebbiosi anfratti della memoria mi pare di ricordare che si fabbricavano le famose 600 – quelle curiose scatolette che hanno segnato l’altrettanto famoso boom economico – e poi vennero altre utilitarie di tutti i tipi. Giravamo in 500 e disprezzavamo le auto prese a rate (Guccini, Dio è morto); la usavamo per andare al mare e disprezzavamo i miti dell’estate (Ibid.); discutevamo di nuovo modello di sviluppo, di trasporto su ferro da privilegiare rispetto a quello su gomma, di nuove relazioni con il nord Africa e il medio oriente.
Oggi uno strano padrone della Fiat mantiene le sue promesse – così riconoscono alcuni sindacalisti – e mette in produzione, fortunatamente in Italia, un nuovo SUV. Un SUV !? Si può pensare oggi qualcosa di peggio di uno Sport Utility Vehicle nell’ambito del modello culturale dell’automobile?
Oggi discutiamo su come sia meglio bombardare la Siria per non rifare gli stessi errori commessi quando abbiamo bombardato l’Iraq e la Libia. Si può pensare qualcosa di peggio nell’ambito di una politica rivolta al mondo arabo?
Eppure siamo tenuti a essere contenti, perché la Fiat può evitare ulteriori licenziamenti e il dittatore siriano deve pur smettere di sterminare il proprio popolo.
Le cose sembrano andare per conto loro e noi possiamo solo cercare di inseguirle con i nostri pensieri. Chissà cosa inseguivamo tanti anni fa, quando qualcuno credeva di poter modificare la realtà con la forza di modelli alternativi solo pensati. Qualcuno si illudeva di ispirarsi al materialismo storico e invece forse eravamo ancora nella grande corrente dell’idealismo.
Oggi abbiamo superato quelle illusioni, abbiamo capito che il pensiero segue strade che non siamo affatto capaci di dominare: finalmente ci siamo resi conto di essere – forse – idealisti e finalmente – forse – siamo diventati tutti materialisti.
Non riesco proprio più a fare un ragionamento che appaia politico: Non enim, quod volo bonum, facio, sed, quod nolo malum, hoc ago (Rom 7.19)

  1. Mi sembra che la dicotomia tra struttura, base reale, e sovrastruttura non sia affatto uno schema interpretativo del reale superato, ma anzi indispensabile a leggere la modernità: il capitale finanziario, con il suo carattere spettrale ha vinto sul capitale produttivo, sono emersi nuovi soggetti, nuovi ceti egemoni a cui corrispondono ideologie e politiche precise … il materialismo storico e la filosofia della prassi sono inattuali? Non credo proprio.

    • Come strumenti di conoscenza storica non sono inattuali, ma li applichiamo su quanto è successo e, dopo che è successo, facciamo finta di capire.

  2. Mah, il pensiero viene dopo se si da per scontato che la realtà è così perchè può essere solo così. E idealismo è anche pensare che la realtà sia così perchè può essere solo così, senza pensare che è così perchè qualcuno che ha più risorse di qualcun altro applica un pensiero alla realtà rendendola nel modo che è, e poi diffonde un certo tipo di pensiero per favorire il fatto che si pensi che la realtà può essere solo come è.
    Quindi, in questo realismo, c’è molto idealismo, e c’è la rimozione del fatto che nei fatti c’è anche l’ideologia, e c’è anche il potere. E poi, forse, è idealismo anche pensare che siccome soggettivamente ci si è stancati di occuparsi di alcune cose, queste cose non abbiano più senso in generale, perchè soggettivamente le si pensava e se ne discuteva molto tempo fa.
    Infatti, pensando di essere oggettivi, si ripete, perfino aumentata, la retorica dell’ad della Grande Fabbrica, prendendola per oggettività (tra parentesi: con gli stipendi gli operai all’università non ce li manda più nessuno, ammesso che prendano degli stipendi e non la cassa integrazione).
    E, dire che la realtà è così perchè è così, che ogni critica è degna solo di ironia, non è nichilismo? E il nichilismo non è un’idealismo mascherato da empirismo?
    ciao

    • Accetto tutte le critiche, cui avevo per altro cercato di sottrarmi, dicendo che non riesco più a fare un discorso che suoni minimamente politico. Tuttavia, almeno una mi permetto di respigerla: non ho mai pensato di essere oggettivo.

  3. Sono d’accordo ma mi domando: se 100.000 (o non so quanti) godono nel comprarsi un suv, auto che tutti esecriamo, bisogna impedirglielo? Certo, in questi tempi infami sono loro gli ultimi cascami di una cultura del consumo portata al parossismo dall’ignoranza di un paese che si è scoperto ricco, in televisione, quando iniziava a declinare, nella vita. Ma la domanda, del resto già evocata nell’esempio della seicento a rate, rimane: in nome di quale Collettivo dobbiamo impedire alla gente di avere cattivo gusto? Non potrebbero loro vederci come noi vediamo loro? E se ci impedissero di fare quello che vogliamo? Certo, l’arroganza dell’esibizione del danaro (sterco del diavolo perché ricchi si nasce ed è immorale diventarlo), unita alla proiezione pelvica sull’auto, è fastidiosa.
    Ma noi? Non facciamo per loro cose analoghe? Mi si dirà: non diamo fastidio, non inquiniamo con le nostre bici scassate, cambiamo paia di scarpe ogni morte di papa (e non sono rosse di Prada), non investiamo le vecchiette al semaforo. Questo è vero ed è per questo che si lega il possesso di quell’auto all’arroganza consumistica, ma è questione di educazione civica, di etica pubblica, come si diceva una volta, non di giudizio morale e di gusto, i quali sono in buona parte lasciati all’educazione del singolo. A meno che non si voglia tornare ai libretti rossi, alle tutine blu e ai cappellini, imporre pastrani che rendono invisibili le donne etc.
    Infine, immaginiamo questa situazione: una fabbrica sfornava mille utilitarie; le utilitarie non si vendono più, o un capofabbrica scellerato decide che non si fanno più nel paese X ma in quello Y, dove invece si vendono. La fabbrica chiude, gli operai vengono mandati a casa (già sono in cassa integrazione da più di un anno). Ma non solo: chiudono, con tutte le conseguenze del caso, le piccole fabbriche che producono componenti per la Grande Fabbrica. Come su un domino, la regione si impoverisce, la città si spegne – e con lei negozi, cinema, teatri d’avanguardia, case editrici …- Si decide infine che la Grande Fabbrica, visto che un paese involgarito in un continente involgarito in una parte di mondo involgarita vogliono auto volgari, debba soddisfare il bisogno di volgarità (dicesi mercati). Alcuni posti di lavoro (dicesi famiglie, figli all’università etc.) sono mantenuti, e dal momento che l’auto volgare e immorale è piena di gadget, sono mantenuti anche quelli delle fabbriche che li producono per soddisfare la fame della Grande Fabbrica.
    Certo che l’auto prodotta è orrenda e immorale e non ci piace: dobbiamo fare chiudere del tutto la Grande Fabbrica? Si dirà: ma almeno non rallegratevi. Mi chiedo: ci si rallegra dell’auto o dello stipendio che permette di mandare i figli a scuola e all’università (con bici rigorosamente scassate e vestiti logori perché così vuole la moda del momento)? Mi chiedo ancora: un’auto che è tale non in sé e per sé (come si diceva ai bei tempi in cui tutti eravamo uguali) ma per la volgarità delle richieste, è sullo stesso piano di una fabbrica di armi – che davvero è moralmente esecrabile perché soddisfa il bisogno di morte -? Perché non si sentono mai lamenti sul fatto che vengono fatti investimenti nella produzione di PVC laddove pochi anni fa sorgevano fabbriche di diossina? Non è davvero immorale? Il problema è Torino e il Suv di qualche migliaio di baluba (che hanno tutto il diritto di essere baluba se a loro piace, così come a noi piace trovare posto nella sala lettura della Braidense) o Taranto e le decine di migliaia di tumori?
    p.s.
    Il legame tra la tragedia delle guerre e il caso infinitamente meno tragico e incomparabile di una macchina da poveri ricchi mi sfugge: mi sorge il sospetto di un inserimento ideologico dell’argomento questione araba ma forse ho letto troppo velocemente e mi fermo qui.

    • Il nesso tra i due fatti dipende solo dal loro essere entrambi all’ordine del giorno e dal ricordarmi entrambi discorsi politici di molti anni fa.

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