COSE DELL'ALTRO MONDO

Riccardo Cristiano

Giornalista e scrittore

Ministro Spadafora, lasci perdere i moralismi e riapra subito la Serie A.

Dopo aver sbagliato con Dio, se non negli atti almeno nella scarsa attenzione, mi auguro che il governo non sbagli anche con l’uomo. Dio infatti è infinitamente misericordioso, l’uomo no, o molto di meno. Mi permetto così di far presente al ministro Spadafora che il suo atteggiamento moralistico sulla ripresa dello sport, di tutti gli sport, di tutte le forme agonistiche, trattando in modo analogo dilettantismo e professionismo, sarà moralmente carino ma oggi è a mio avviso socialmente pericoloso. Sembra fare i conti con l’antica Grecia più che con l’Italia moderna. Ma neanche la Roma imperiale riuscì a convincere i romani a rinunciare ai loro giochi, che nulla avevano a che fare con le Olimpiadi. Il “panem et circenses” di Giovenale prima che citato va capito. Non è “panem et agones”. Circenses rimanda al circo, dove ci sono i pagliacci, o i gladiatori. 

Lo spirito olimpico dei greci non ha nulla a che fare con lo spirito ludico dei romani,  che derivava dai giochi ludici degli etruschi e che non badava alla bellezza estetica, da unirsi alla bontà nell’ideale greco, ma al sangue. Lo sappiamo ancora, credo, che era quello il momento di esaltazione nel Colosseo. I giochi romani erano fatti di fiere, giocolieri e gladiatori, il loro fine era proprio il sangue. Se il ministro Spadafora andasse qualche volta allo stadio lo saprebbe che chi invoca la ripresa del campionato di calcio pensa ai giochi ludici romani, non alle Olimpiadi, che si giocavano nella terra della divinità. Questi no, i nostri giochi ludici si giocavano nell’arena, e l’urlo era per il sangue, non per la bellezza. Anche oggi? Beh, sarà un caso ma quando allo stadio un giocatore della squadre ospite cade per terra, magari in modo rovinoso, l’urlo di molti dagli spalti è “devi morire!” Brutto? Vediamo… 

Questo cupio dissolvi di moralismi, come sempre facilmente finti,   rischia di farci confondere il significato  di un sistema greco, certamente nobile ma privo di ricadute sociali nell’emergenza odierna,  con un’urgenza che  riguarda il profondo della nostra realtà.  E’ un discorso davvero molto diverso. Certo che è bello riprendere tutte le attività sportive, il lancio del giavellotto, la corsa campestre o la maratona. Ma questo è un discorso, l’urgenza ludica è tutt’altro.  

Il senso degli antichi ludes in questo nostro tempo, dopo l’abolizione delle gare con belve e gladiatori, è duplice: il primo, importantissimo, è quello di fare i conti con la violenza. La violenza esiste, la violenza fa parte dell’essere umano e la prima preoccupazione delle comunità umane è stata quella di fare i conti con la violenza. Non si tratta certo di tornare al Colosseo, ma di tenere presente la violenza sì. E così arriviamo al secondo significato degli odierni giochi ludici.  I tornei ludici e senza sangue richiamano infatti il desiderio mimetico, cioè il vero desiderio umano. Il desiderio mimetico è quel particolare tipo di desiderio che proviamo noi umani,  per cui dieci bambini con un trenino si azzufferanno senza sosta per impossessarsene, ma quando avessero dieci trenini nel giro di pochi minuti smetterebbero di giocare. Perché? Perché noi desideriamo quel che desidera l’altro. Ecco la forza incontenibile del torneo a squadre. Ora la Serie A coinvolge e incanala il desiderio mimetico di milioni di italiani, offrendo così una valvola di sfogo alla violenza. Uno sfogo non più nel sangue reale, concreto, rosso scarlatto, ma nelle urla appassionate, spesso volgari, anche troppo volgari. Meglio liberarsene così di quella violenza, no? E meglio ancora liberarsene in un fenomeno collettivo basato sulla mimesi del nostro desiderio che ci fa sentire “vincitori” di ciò che desiderano gli altri, cioè lo scudetto o la salvezza. Meglio questo che un transfer collettivo di desiderio mimetico su altro, liberando diversamente la  violenza. La violenza esiste…Ma che male fa un italiano pieno di rabbia sul divano di casa sua, possibilmente al telefono con un amico della stessa squadra, che inveisce contro la squadra cugina o esulta per la vittoria? Libererà le nostre città semideserte ma profondamente rabbiose di quella violenza che se non trova vie di sfogo potrebbe esplodere altrimenti. Non sarà il calcio a salvarci, certo, ma io dico che oggi, con la violenza covata che si percepisce, aiuterebbe. 

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