LIVING TOGETHER, DIFFERENTLY

Massimo Rosati

Docente sociologia generale Università di Roma Tor Vergata

Liturgie del moderno

Memorie di famiglia

Prendo in prestito il titolo di uno studio di Mario A. Toscano (Liturgie del moderno. Positivisti a Rio de Janerio, 1992) per un post dal sapore forse retrò; ma è difficile, per un sociologo in generale e forse soprattutto per un sociologo durkheimiano, non sentire un brivido lungo la schiena davanti a un tempio positivista. Si è vero, ad ogni prima lezione di un nuovo corso si comincia da lì: da Auguste Comte, dal fondatore della disciplina e del termine stesso ‘sociologia’, e si comincia a sfogliare ‘l’album di famiglia’ raccontando di quel motto – ordine e progresso – che per avventura è finito al centro della bandiera brasiliana; si dice che sì, in effetti esistono ancora templi positivisti in Brasile, a Rio de Janeiro, San Paolo e Porto Alegre.  Si dice che sì, quella fase del pensiero di Comte – in cui date per morte le religioni tradizionali e  rivelate si mise ad inventare a tavolino un nuovo culto, che fosse compatibile con i valori della modernità e soprattutto con il suo spirito scientifico – rappresenta un fatto forse poco più che folkloristico, un segno della follia che lo colse negli ultimi anni della sua vita, e che anche chi – nella destra come nella sinistra comtiana – può aver concordato con lui sulla centralità della dimensione religiosa in un tempo in cui credere agli antichi dèi non è più possibilità con l’ingenuità di una volta non può più pensare che un culto si costruisca a tavolino, per via di ingegneria religiosa. E poi oggi sappiamo tante cose che Comte non poteva sapere: sappiamo che la scienza non è solo penicillina e aspirina, ma anche Auschwitz e Hiroshima, e che via, la scienza non può essere certo sacralizzata. Insomma, dei templi positivista raccontiamo a ogni prima lezione di sociologia di ogni nuovo corso, ma quasi per dovere d’ufficio (o almeno, ammetto di aver fatto così io per anni).

E poi un giorno ci si trova davvero davanti a un tempio positivista. A Porto Alegre, dove è conservato tutto sommato molto bene, molto meglio – mi dicono – di quanto non sia ad esempio a Rio de Janerio. Un edificio imponente, in un vialone ampio e spazioso, non certo nascosto e invisibile. La struttura di un tempio neoclassico, con sul frontone inciso il motto “O amor por principio, e a ordem por base, o progresso por fin» («L’amore per principio, l’ordine per fondamento, il progresso per fine.») . La scalinata d’accesso riproduce la legge dei tre stadi del progresso dell’umanità e l’ordine ascendente della classificazione comtiana delle scienze, dall’astronomia alla sociologia, la “regina delle scienze”, regalando al povero sociologo abituato alla poca considerazione sociale di cui normalmente gode ad ogni gradino un brivido di temporanea onnipotenza.  L’interno colpisce come uno schiaffo in viso, che dice che è tutto vero, la storia raccontata ogni anno agli studenti non è una leggenda: sulle pareti i volti dei ‘santi’ del positivismo, i grandi eroi laici della storia scientifica e civile (Socrate, Aristotele, Cesare, Newton etc.); e al centro l’altare, con il busto di Comte e la grande statua di  Clothilde de Vaux, la donna che per Comte incarnava l’essenza dell’Umanità stessa, al cui culto il positivismo era devoto.

È vero, quel tempio è quasi sempre vuoto. La Chiesa positivista di Porto Alegre conta poche decine di membri, non vede ormai quasi più la celebrazione di servizi domenicali e il tempio viene aperto solo in occasioni particolari, come per esempio il 15 Novembre (in Brasile festa della Repubblica) o come quando qualcuno telefona al custode o al Maestro chiedendo di poterlo visitare. Le chiese di Rio e San Paolo non se la passano tanto meglio. È vero, la storia del positivismo in Brasile è anche storia di ingegneria sociale oltre che religiosa, a cui – in Brasile come in Turchia – hanno messo mano soprattutto i militari, di spirito positivista imbevuti. È storia di modernizzazione senza democrazia, di processi top down. Eppure, a guardare questo tempio si rimane colpiti: sì perché il vecchio Comte, l’ateo Comte, il folle Comte, nella sua febbricità un punto l’aveva colto, con magistrale chiarezza e contro i riduzionismi successivi: che la modernità aveva bisogno delle sue liturgie, del suo sacro. Che poi scimmiottare la liturgia cattolica sostituendo Clothilde de Vaux alla Vergine Maria o i Principia di Newton ai Vangeli non fosse la via, beh, da questo abbaglio nessuno può ormai più difendere e salvare il vecchio Comte. Dall’album di famiglia però non si espunge un antenato solo perché un po’ picchiatello, specie se comunque gli si deve tanto: il proprio nome, e un’intuizione geniale, annegata in mezzo a qualche delirio mistico di troppo.

Lascio Porto Alegre con una speranza, forse irragionevole: che in un mondo postsecolare ci possa essere ancora spazio anche per qualche decina di membri di una Chiesa positivista, che non se ne perda del tutto traccia, che ci possano continuare a raccontare come si fa, nel 2013, a essere positivisti, cosa questo significa per loro; e che possano continuare a rendere la prima lezione di ogni nuovo corso di sociologia qualcosa di più di una nostalgica memoria delle origini.

  1. Per la verità, in tutto il Brasile ne trovi gruppi positivisti che si riuniscono. Un tempio però rimane cosa rara. Di solito, si usano le aule destinate alle attività studentesche nei campi delle università federali.

    Poi però bisogna capire come quel tempio di cui parli si sia svuotato. Fino al 1995, a scuola, c’era la materia “educazione morale e civica”, dentro c’era un pò di tutto ma principalmente il positivismo delle origini repubblicane. Chiunque abbia avuto la sfortuna (o fortuna?) di essere bambino in Brasile negli anni tra il 1968 ed il 1994, prima del liceo saprà più su Comte che su se stesso. Non credo però tutta quella premura fosse a fin di bene!

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