MEDIO ORIENTE IN FIAMME

Umberto De Giovannangeli

Libia, l’Italia in ginocchio da Pence. Ma Haftar chiude i pozzi

In ginocchio da Pence. Per “pietire” un sostegno americano nella partita libica. Un sostegno che non ci sarà. Per una ragione molto semplice: l’America di Donald Trump e del suo vice presidente fondamentalista evangelico, non ritiene il Nord Africa e il Medio Oriente aree strategicamente rilevanti per gli Usa, ma “pantani” dai quali uscire possibilmente senza troppi danni.

E sì che durante gli incontri romani del numero due della Casa Bianca, sia Mattarella che Conte hanno insistito molto sull’importanza di una stabilizzazione della Libia, invocando un maggiore impegno americano. Sia il Capo dello Stato che il Presidente del Consiglio si sono fatti  portatori dello stesso messaggio: Washington eserciti le sue pressioni su tutte le parti in causa per arrivare ad un cessate-il-fuoco perchè è importante che sulla tregua decisa a Berlino, pur senza l’ok di al Sarraj e Haftar, ci sia anche l’impegno degli Stati Uniti. Pence ha  promesso di recapitare il messaggio a Trump. Come dire, niente di fatto. Perché l’America first di The Donald non contempla sostegni che non hanno un ritorno. E dunque l’Italia se la cavi da sola se vuole ancora avere un ruolo nei giochi di potenza, o per meglio dire nella guerra per procura che si sta combattendo in Libia e che certo non si è conclusa con la inutile Conferenza di Berlino.

Il blocco petrolifero imposto al generale Khalifa Haftar è costato finora alla Libia 256,650 milioni di dollari. La stima è stata pubblicata dalla compagnia nazionale Noc sulla propria pagina Facebook. Noc calcola che tra il 18 e il 23 gennaio la produzione e’ crollata da 1.040.320 a 320.154 barili, per una perdita cumulata pari a 3.907.318 barili. Nonostante la crisi, Noc afferma comunque, che “il carburante resta disponibile nella maggior parte delle Regioni e la compagnia continua a trovare modi per assicurare i rifornimenti a tutti i libici”. Anche le scorte vengono definite “sufficienti”, sebbene nelle zone di Tripoli e Sebha si registrino “difficoltà logistiche a causa degli scontri militari in corso” e gravi vengono definiti i rischi per i camionisti. Negoziati, conclude Noc che torna anche a chiedere la fine del blocco, “sono in corso per trovare una soluzione”. La produzione del petrolio in Libia è destinata a crollare nei prossimi giorni al livello più basso dalla deposizione del regime di Muammar Gheddafi nel 2011. Lo ha dichiarato Mustafa Sanalla, presidente della Noc, la compagnia petrolifera libica, nel corso di una intervista al Financial Times. ”La produzione di petrolio in Libia è passata da 1,3 milioni di barili al giorno ad appena 400mila ed è destinata a raggiungere i 72mila barili al giorno nei prossimi giorni”, ha aggiunto Sanalla. ”Nei prossimi giorni raggiungerà i livelli peggiori dalla caduta di Gheddafi nel 2011”, ha aggiunto. E questo, ha spiegato Sanalla, ”per la chiusura dei porti destinati alla esportazione di greggio che ha interrotto la produzione petrolifera e interrotto la fornitura di elettricità a gran parte della Libia”.

Il blocco dei principali porti petroliferi libici, che si registra in particolare nell’est della Libia, “sta danneggiando l’economia e deve essere rapidamente risolto”, ha avvertito ieri il governatore della Banca centrale libica con sede a Tripoli Sadiq al Kabir, aggiungendo che la Libia “potrebbe registrare un deficit di bilancio nel 2020 di conseguenza”. “Ora il petrolio rappresenta il 93-95 per cento delle entrate totali e copre il 70 per cento della spesa totale – ha affermato al Kabir – Questo è come avere un proiettile in testa, che danneggerà la Libia e il popolo libico. Speriamo davvero che la crisi si risolva il più rapidamente possibile perché fa male a tutti”.

Secondo gli esperti del settore, Washington si oppone alla sospensione delle esportazioni di greggio libico a causa dell’impatto sul mercato mondiale del petrolio. Hamish Kinnear, analista della società di consulenza sui rischi Verisk Maplecroft, ha affermato che l’azione di Haftar è stata un “brusco promemoria” che le sue forze controllano la maggior parte delle risorse petrolifere e di gas della Libia. “Il fatto che l’interruzione sia coincisa con la conferenza di Berlino, un vertice di pace di alto livello sulla Libia, non è un caso”, ha aggiunto. “Chiudendo i campi, Haftar ha chiarito di detenere un veto su qualsiasi accordo di cessate il fuoco o eventuale accordo politico”.

Attraverso la chiusura di valvole in due oleodotti, il generale ha fatto bloccare anche i giacimenti di Sharara, il più grande di Libia, e Hamada e ridurre la produzione in quello di El Feel, operato anche da Eni, potenzialmente con un taglio complessivo di altri circa 400 mila barili al giorno. Oltre che a voler far sentire il suo peso a Berlino, secondo analisti come Tim Eaton del think-tank americano Chatham House il generale concretizza così la sua accusa alla Noc di parteggiare per Tripoli e per il governo del premier Fayez al-Sarraj sebbene la comunità internazionale sia concorde che la compagnia petrolifera è e deve restare un’istituzione imparziale fra i due schieramenti.

 

Altro che stop alle armi o, come ripete stancamente il titolare della Farnesina, Luigi Di Maio, agire per un cessate il fuoco permanente. Perché, fuori dal mondo ovattato della diplomazia, quel fuoco non è mai cessato. Il portale Libia Observer,ritenuto vicino al governo di Fayez al-Sarraj, ha riferito che la contraerea delle forze del governo libico ha abbattuto un drone di Haftar mentre stava sorvolando proprio lo scalo internazionale di Mitiga. Anche il Libyan National Army ha fatto sapere a sua volta di aver abbattuto un drone turco decollato dallo stesso aeroporto: anche se non vengono segnalate vittime oltre agli oltre 2.000 morti comunemente stimati fra i miliziani (senza contare i quasi 300 civili uccisi), la distruzione di «mezzi» è segno che i combattimenti sono violenti. Reciproche sono le accuse di aver violato il cessate-il-fuoco, ripetutamente ignorato peraltro già nei giorni scorsi.

Il segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, è stato così costretto di nuovo a intervenire e a richiamare le parti al rispetto degli accordi scaturiti dalla Conferenza di Berlino:”Devono tutti accettare le conclusioni del Vertice di Berlino e rendersi conto è questa la strada per la pace, per una Libia unita in grado di essere governata dal popolo libico in pace e sicurezza, cooperando con i Paesi vicini in maniera positiva”. Rileva Michele Marsiglia, presidente di Feder Petroli Italia:, profondo conoscitore della complessa realtà libica: ” Purtroppo subito il giorno dopo la Conferenza, la tregua, che era già stata da noi anticipata come irrisoria, blanda e senza un seguito, non ha retto ed ai confini di Tripoli gli attacchi sono continuati senza una minima fase di stop. Con Feder Petroli Italia ed Organismi collegati alle nostre attività, veniamo costantemente aggiornati (quando possibile) ed informati della situazione che vi è in alcune zone a noi più di competenza, in territorio libico. Certo l’informazione ed il lavoro è fatto da uomini, persone che hanno una vita in quei territori e che, a parte un air-strike più massiccio, assistono anche alla semplice -se possiamo così chiamarla- guerriglia di strada o delle tante granate che vengono lanciate a stretto giro di quartiere. Per noi sono termini piccoli in confronto ad un bombardamento, ma sempre guerra è!..”. Qualcuno provi a spiegarlo a Conte e a Di Maio…”. La UNSMIL, la missione di supporto delle Nazioni Unite in Libia, ha espresso preoccupazione per le continue violazioni dell’embargo militare nel Paese nordafricano. “La Missione di supporto delle Nazioni Unite in Libia è molto rammaricata di dover constatare continue e spudorate violazioni dell’embargo bellico in Libia, a dispetto degli impegni presi a tal riguardo dai Paesi interessati durante la Conferenza internazionale sulla Libia, tenutasi a Berlino il 19 gennaio 2020″, si legge nel comunicato ufficiale della UNSMIL. E’ stato poi sottolineato come la tregua, siglata dal Governo di Accordo Nazionale (GNA) e l’Esercito Nazionale libico (LNA) il 12 gennaio, sia messa a repentaglio dal trasferimento di foreign fighters e armi, anche da Paesi che hanno partecipato al summit berlinese. Negli ultimi dieci giorni, un gran numero di voli cargo contenenti armi, veicoli, advisor militari e combattenti sono stati visti atterrare negli aeroporti libici nella parte orientale e occidentale del Paese, la Missione condanna tali violazioni che rischiano di far piombare il Paese in un rinnovato clima di guerra”, aggiungono dalle Nazioni Unite.Qualcuno provi a spiegarlo a Conte e a Di Maio, in ginocchio da Pence

 

 

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