COSE DELL'ALTRO MONDO

Riccardo Cristiano

Giornalista e scrittore

Libano, un suicidio assistito

Il Libano è un Paese che non conosce le carte che lo governano? O la carta in Libano sopporta davvero tutto? Potrà sembrare presuntuoso dirlo, eppure sembra proprio che la crisi in cui questo piccolo ma decisivo Paese si dibatte fin quasi ad auto affondarsi dipenda da questo. Cerchiamo di riassumere i termini di un possibile suicidio collettivo e soprattutto cristiano. 

Sprofondato dal 2020 in una crisi economica che non ha pari al mondo (lo attestano dati della Banca Mondiale), il Libano cerca dallo scorso ottobre un presidente della Repubblica, che per il vecchio patto nazionale (non scritto) è un maronita. I cristiani però sono divisi, non quanto i sunniti che dopo l’uscita di scena di Hariri sono spappolati, senza una testa politica, e a differenza degli sciiti, i cui eletti sono tutti inquadrati nei due partiti alleati di Teheran, Hezbollah e Amal. Questi ultimi hanno trovato il loro candidato, maronita e amico personale di Assad, gran protettore in Libano dei filo-iraniani. Ma non hanno i voti per farlo eleggere. La costituzione infatti richiede al primo scrutinio i due terzi voti, e dal secondo la metà più uno. Ma i voti ottenuti dal candidato di Hezbollah non si sono mai avvicinati alla soglia più bassa.

Ora è successo che gli altri partiti, sebbene divisi, abbiano trovato un candidato comune, che dopo le prove del primo scrutinio hanno dimostrato di poter agevolmente raggiungere il quorum della metà più uno dei voti, come è richiesto dalla Costituzione. Ma il presidente del Parlamento e leader di Amal, con il consenso di Hezbollah non consente il secondo scrutinio. Possibile? Davvero! Secondo lui al secondo scrutinio servirebbe comunque il quorum dei due terzi presenti in aula, e siccome i suoi e quelli di Hezbollah asseriscono che non si presenteranno in aula, lui non convoca lo scrutinio. Hezbollah così ha proposto la ricerca di un candidato che non escluda gli sciiti, cioè propongono di accordarsi sul loro candidato, visto che rifiutano ogni altro nome. Almeno sin qui.

Bizzarro che venga accettato, anche a livello internazionale, tanto che la Francia, ex potenza coloniale, ha un inviato speciale del presidente Macron presente a Beirut, per tentare di mediare tra le parti. Così, esausti, i leader cristiani dicono che la discussione dovrebbe cambiare, riguardare un cambio di sistema, invece che il suo rispetto. È quello che ha detto infatti il leader di una delle più importanti formazioni cristiane, Samir Geagea: “Occorre un altro sistema, così non si può andare avanti”. E l’indicazione che ha dato, come il suo principale rivale nel campo cristiano, è quella di passare a un sistema meno centralizzato.

Dunque si torna all’incubo di una cantonalizzazione del Libano? Molti lo escludono, convinti che sia un modo per costringere Hezbollah a trovare un accordo su un terzo nome. Ma anche se così fosse la questione è inquietante, come sempre. I cristiani rinchiusi nel loro cantone, gli sciiti padroni del sud, i sunniti nella loro Tripoli e zone limitrofe. Solo ricorrere a questa come minaccia è la dimostrazione di un fallimento cristiano, perché più che una minaccia, per gli altri sarebbe darsi la zappa sui piedi.

A differenza dei Paesi tormentati dalla guerra, il Libano non ha bisogno di un’opzione federale per ritrovare le ragioni dell’unità nazionale, ma dell’opposto; ha bisogno di passare a una vera unità. La cantonalizzazione vorrebbe dire ognuno per sé e nessuno per tutti, con i cristiani chiusi su stessi che lascerebbero il ruolo di ago mediano tra sunniti e sciiti e quindi sceglierebbero o l’emigrazione o la guerra civile. Ma, si dirà, cosa potrebbero fare?

Il modello confessionale, la tripartizione ta sunniti, sciiti e cristiani non funziona. Ma la Costituzione ha in sé il rimedio mai applicato. 

Gli accordi che posero fine alla guerra civile non prevedono infatti che ci sia per forza una sola Camera costituita al 50 per cento da cristiani e al 50 per cento da musulmani. No, questa – viene suggerito negli accordi di pace di Tajif che hanno valore costituzionale – potrebbe essere la Camera alta, o delle comunità, alla quale affiancare (finalmente) quella fatta dai rappresentanti di partiti politici fondati su programmi e non su appartenenze religiose, e quindi non più confessionali, eletta votando come si vota da noi.

Sarebbe un modello perfetto: una Camera alta che garantisce tutte le comunità, affinché nessuna venga esclusa, e una Camera bassa che dà diritti a tutte le persone in base alle loro idee e non alla loro appartenenza tribale. Così si costruirebbe davvero la comune cittadinanza. Questo sistema non è mai stato preso in considerazione perché l’occupante siriano non erano interessato alla cittadinanza, ma alla costruzione di fedeli vassalli. 

Ora i leader cristiani potrebbero indicare questa opzione contenuta nella costituzione vigente, per ritrovare sintonia con una popolazione esausta dal tribalismo e clientelismo dei ras. Piuttosto che agitare lo spettro della cantonalizzazione che si ritorcerebbe, per altro, da subito contro di loro, obbligherebbero il cosiddetto fronte della resistenza guidato da Hezbollah a svelare chi sia. A quel punto forse l’accordo su un terzo nome, per dare al Paese la salvezza dal fallimento politico ed economico ormai ben oltre le porte, si potrebbe trovare in tempi storici. Invece il balletto prosegue, mentre il Paese sprofonda nel buio, senza corrente o acqua corrente. 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *