MALA TEMPORA

Marco Vitale

“Lettera aperta a Giuliano Pisapia, sindaco di Milano” di Giancarlo Iliprandi

Pubblico la lettera aperta a Giuliano Pisapia, sindaco di Milano, inviata dal Prof. Giancarlo Iliprandi, uomo di spicco del design e della grafica italiana e amato professore del Politecnico di Milano, perché questa lettera si collega al mio intervento già pubblicato su questo blog intitolato “Il silenzio di Milano”. Da questo intervento è scaturito l’articolo dell’assessore Franco D’Alfonso e la lettera del Sindaco al Corriere della Sera, sulla quale prende posizione Giancarlo Iliprandi:

“”Egregio Signor Sindaco

questa non vuole essere una critica allo stallo che va paralizzando Milano. Bensì il modesto commento alla sua lettera al direttore del Corriere della Sera. Contributo di un cittadino il quale ha potuto conoscere una Milano migliore.

Quella di cui spesso si favoleggia quasi fosse un’araba fenice.

Quella degli anni Sessanta. Tanto decantati quanto scarsamente rivissuti.

 Le eccellenze di Milano erano allora parecchie.

Ci potevamo vantare della Scala, del Piccolo Teatro, della Triennale, della Società Umanitaria, della Fiera di Milano, de la Rinascente, della Accademia di Belle Arti di Brera, delle prosperose case editrici, di una certa partecipazione musicale. Del fatto che Milano era universalmente riconosciuta come capitale del design.

La Milano di allora era, politicamente, una Milano socialista. Senza per questo essere una Milano rossa.

Forse, con Aniasi prima e con Tognoli dopo, la città di allora era già una città arancione.

Naturalmente esistevano, a quei tempi, assessori che si preoccupavano di usare la cultura come collante tra i vari ceti sociali. Ma, il vero collante, erano loro. I Signori Sindaci. Con i quali noi, felici costruttori degli anni cinquanta e sessanta, potevamo camminare a braccetto. Quasi fossimo stati amici da sempre.

Poi sono arrivati gli anni di piombo. Poi la Milano da bere. Poi tangentopoli. Poi alcuni amministratori di condominio che non cito. Perché abbastanza non citabili.

Milano è andata via via perdendo pezzi. Quelle eccellenze che i nostri colleghi stranieri venivano a cercare, per respirare un’aria nuova.

Sicuramente abbiamo ancora la Scala, pure se con qualche problema di soprintendenza. Abbiamo ancora, per nostra fortuna, un Piccolo ben funzionante e qualche altro teatro. Ma troppe sale cinematografiche sono andate scomparendo e così le librerie di cui ogni quartiere andava fiero.

Gli studenti di Brera dovranno traslocare in una scomoda caserma. Dequalificando l’intero quartiere.

La Fiera di Milano ha chiuso i battenti sostituendo i capannoni con grattacieli sghembi.

L’Umanitaria affitta i chiostri a qualsiasi mercante. Le scuole, opera dell’architetto Giovanni Romano (esempio perfetto di razonalismo lombardo) sono state lasciate andare in malora.

La Rinascente ha rinunciato alla diffusione di realtà culturali d’oltre oceano. Per dedicarsi a un lusso tanto costoso quanto inutile. Tutti ricordiamo, con malinconia, i Beatles e Joe Coker al Vigorelli. Joan Baez e i Chicago all’Arena.

Enzo Jannacci e Giorgio Gaber all’Intra’s Derby Club. Rammentiamo le battaglie per dotare Milano di una Facoltà del disegno industriale e di un conseguente Museo del Design (Il comune ha recentemente donato all’ADI, Associazione per il Disegno Industriale, uno spazio che si propone come Design Center. Spazio che la benemerita istituzione non saprà come gestire per mancanza di fondi).

La capitale mondiale del design non ha saputo rimpiazzare i grandi maestri scomparsi. Perché la recessione ha colpito l’intero settore.

 L’unica eccellenza veramente tale, che ci rimane, è la Triennale di Milano. Quella per la quale varrebbe la pena di battersi secondo un modello “ambrosiano”. Con testardaggine pragmatica e utopica apertura ai sogni.

(Guarda caso l’anziana signora ha appena compiuto ottant’anni. Celebrati con una discrezione molto adatta alla difficile congiuntura. Mi sarebbe piaciuto se alla conferenza stampa ci fosse stato anche il mio Sindaco, a riassumere quegli anni di impegno e passione).

 Caro Pisapia l’ho votata perché il suo programma disegnava, e segna, un percorso nuovo. In questa città saccheggiata dai suoi predecessori. L’ho votata anche, e con me credo pure i miei amici, per la sua faccia simpatica. Per quel suo modo schietto di parlare alla gente. Per quell’essere anzitutto coraggioso.

Vorremmo tutti che Lei, in prima persona, fosse quel collante che ora manca alla città. E sapesse esprimere pure le fantasiose utopie che vivono dentro ciascuno di noi. Cosicché i miei amici Giangiacomo Schiavi e Marco Vitale ritrovassero lo slancio necessario a credere in un migliore futuro.

Abbiamo tutti bisogno di personaggi come loro.

Abbiamo bisogno delle loro critiche costruttive e della loro voglia di uscire dalla solitudine politica. La città non è tutta stanca, non è a volte impaurita, non è quasi affranta. Basta venire un giorno alla Bovisa, alla Scuola del Design del Politecnico. Per trovarvi studenti desiderosi di dibattere positivamente. Reagendo costantemente ad ogni nera previsione.

Credo che vi sia altra gente che ha voglia di rimboccarsi le maniche. Spetta alla Giunta creare le condizioni ambientali perché quelli con le maniche rimboccate possano mettersi a lavorare.

Spetta alla Giunta controllare che l’EXPO diventi, veramente, il motore del futuro. E non venga avvilita da forme di propaganda che non sono degne di una capitale mondiale del design.

Forse, certe volte, dovreste pure voi rimboccarvi le maniche. Prendere la ramazza e sbarazzarvi di eredità scomode.

In quanto alla solitudine politica, mi sembra non dipenda dal colore arancione.

Bensì dalla scomparsa di un certo liberalsocialismo. Con il quale qualcuno di noi ha fatto la resistenza.

 Ringraziando per la cortese attenzione e augurando che continuiate a segnare la strada giusta. Ricordandovi dell’Araba fenice che, come tutti sanno, ogni volta risorgeva dalle ceneri.

 Molto cordialmente suo

Giancarlo Iliprandi

designer “”

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Giancarlo Iliprandi

www.giancarloiliprandi.net

www.ili-asso.com

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