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Massimo Rosati

Docente sociologia generale Università di Roma Tor Vergata

Il cardinale Scola e la laicità
Pisapia risponde con il pluralismo

Fatti.

Nel discorso di Sant’Ambrogio del Cardinale Scola di giovedì della settimana appena passata si sovrappongono e intrecciano diversi livelli e questioni, che provo a riassumere.

Il piano storico.

Sul piano storico, il Cardinale Scola prende le mosse dall’Editto di Milano del 313, cui attribuisce non solo la fine delle persecuzioni contro i cristiani ma l’atto di nascita di quelle che oggi chiamiamo libertà religiosa e laicità dello Stato. In realtà, Scola aggiunge che si trattò di un ‘inizio mancato’, il principio di una ‘storia lunga e travagliata’, che vede la ‘indebita commistione tra potere politico e religione’. Si tratta di un passaggio tutt’altro che convincente del discorso; ha ragione Vito Mancuso su la Repubblica a sottolineare che è un po’ poco: l’Editto di Costantino diventa il simbolo niente di meno che di un modo di pensare la libertà religiosa cui oggi ispirarsi, mentre le perniciose conseguenze storiche che il matrimonio tra potere imperiale e Chiesa determinarono si riducono ad accidente solo di sfuggita e per completezza richiamato. In realtà si trattò della fine delle persecuzioni dei cristiani e dell’inizio di una lunga storia di intolleranza verso le libertà degli altri, prima pagani e poi, nel corso della storia della Chiesa Cattolica, catari, valdesi ed ebrei, come sottolinea ancora Mancuso.

Il presente. Modelli di laicità.

Ma la parte più spessa del discorso di Scola riguarda naturalmente il presente, sebbene sarebbe un errore relegare il piano storico a mero sfondo privo di una eco nel modo in cui si guarda al presente e al futuro. Il presente, per Scola, dice di una libertà religiosa negata o ristretta in molti Paesi del mondo, e che non gode di ottima salute neanche in Europa e negli Stati Uniti, ossia in quella parte di mondo che chiamiamo occidente. Non vi è alcuna esplicita menzione della libertà religiosa concretamente negata o ristretta, ad oggi, anche in Italia, ai danni di confessioni non cattoliche o cristiane, ma è ben presente una critica a quella concezione della laicità che da presunta neutralità dello Stato nei confronti delle diverse religioni si trasforma essa stessa in visione sostantiva, a volte ideologica, che si impone come visione comune autoproclamantesi garante di eguaglianza ed emancipazione. La critica, in altri termini, è rivolta all’equiparazione di secolarizzazione e laicità (che non risparmia neanche l’altra sponda dell’Oceano, ossia quegli Usa spesso considerati modello di una laicità meno ideologica, con Obama avviati però secondo Scola a seguire le orme del vecchio continente), frequente nell’universo concettuale e valoriale proprio di un modello ‘francese’ di laicità. Su questa critica sappiamo ormai che una modernità capace di auto-riflessività dovrebbe poter concordare, o quanto meno derogare a istinti riflessi. Il limite profondo di questa concezione, sostiene Scola, sta nel voler gestire, (anziché solo governare) mediante lo Stato una società civile oggi sempre più plurale, di cui le comunità religiose sono parte integrante. Una pretesa imperialista incompatibile con la rivendicazione della libertà, anche religiosa. In termini teorici si può concordare con il Cardinale su questo punto, salvo empiricamente dover però distinguere tra singoli casi, anche dentro l’Europa, giacché non si direbbe che la situazione dell’Italia, dell’Irlanda o della Polonia, per esempio, sia eguale a quella della Francia o della Spagna; né del resto si può assumere l’uno o l’altro ‘blocco’ (a seconda dei punti di vista) come realizzazione di un reciprocamente proficuo modo di impostare i rapporti tra comunità statale e comunità religiose. In ogni caso, sottolinea Scola, questi rapporti vanno pensati a partire dal pieno riconoscimento della dimensione comunitaria delle religioni, non più ingenuamente riconducibili a dati individuali, di coscienza, privati. Anche su questo è la modernità occidentale che viene chiamata a fare autocritica. Punto sul quale si può serenamente concordare.

Questioni sostantive

Al di là dei modelli teorici di laicità, il discorso di Scola rende chiaro che in questione è la definizione di strutture antropologiche ‘generalmente riconosciute, almeno in senso lato, come dimensioni costitutive dell’esperienza religiosa: la nascita, il matrimonio, la generazione, l’educazione, la morte’. Nessun dubbio sul fatto che le dimensioni citate rivestano da sempre un significato religioso, che siano il cuore delle domande su questioni ultime che danno tono religioso all’interrogarsi umano, e che siano state plasmate dalle particolari tradizioni religiose in modi tali da permeare di strutture di senso e di pratiche religiose la vita quotidiana per secoli e secoli. Ma le parole del Cardinale Scola lasciano trasparire una reazione difensiva di fronte alla perdita del monopolio definitorio di queste strutture antropologiche da parte della Chiesa Cattolica in occidente, una reazione difensiva che spesso si traduce da parte delle gerarchie cattoliche in arrogante rivendicazione di ripristino di un diritto esclusivo. Il Cardinale Scola sa benissimo che l’immanent frame dentro cui ci muoviamo oggi se non significa certo secolarizzazione completa delle visioni sostantive della vita buona, pure significa fine del monopolio definitorio da parte delle visioni religiose. Così come il cardinale Scola sa benissimo che le diverse confessioni e tradizioni religiose hanno a loro volta visioni differenti di quelle strutture antropologiche, tra loro e al loro interno, e che è davvero riduttivo e scorretto limitare il tutto ad una presunta alleanza delle religioni vs. l’attuale ‘evoluzione degli Stati democratico-liberali’ su matrimoni gay, affidamento di minori a coppie non eterosessuali etc. etc. Non c’è una santa alleanza su questi punti contro il pensiero secolarizzato. Esistono posizioni religiosamente qualificate e non molto diverse tra loro, nessuna delle quali può più rivendicare il monopolio assoluto. La difesa di un vecchio monopolio non può trasformarsi, ironicamente, in un feticcio, e si è tutti chiamati a mostrare attenzione e sensibilità per ‘gli intimi mutamenti del mondo’, piuttosto che continuare ‘ad attenersi per disattenzione e disobbedienza a ciò che è invecchiato e superato e continuare a vivere in ossequio a esso’. Nelle parole di Thomas Mann, appena citate, è questa attenzione e obbedienza agli intimi mutamenti del mondo che caratterizza la religiosità, a partire da quella archetipica dei patriarchi.

 Questioni intra-cristiane

Rispetto ad altre questioni, tuttavia, Scola chiama la sua stessa Chiesa ad un ripensamento della libertà religiosa, il cui esercizio si pone oggi nel contesto di nuove sfide: la frammentazione sempre più accentuata interna allo stesso mondo cristiano, il problema scottante del rapporto tra libertà religiosa e libertà di conversione, la questione ‘dell’interpretazione dell’universalità della salvezza in Cristo di fronte alla pluralità delle religioni’. Non c’è che da augurarsi che la Chiesa Cattolica sappia esercitare altrettanto spirito critico su questi fronti di quanto ne esercita nei confronti dell’evoluzione propria delle democrazie liberali occidentali, e da lasciare al dibattito interno ed ai suoi protagonisti di dispiegarsi liberamente.

Milano e non solo

 Ad assistere al discorso del Cardinale Scola c’era naturalmente il primo cittadino di Milano, Giuliano Pisapia. In una breve intervista su la Repubblica, Pisapia dice alcune cose di notevole rilievo, che si segnalano nella ridda di reazioni stereotipate seguite al discorso di Scola. Per Pisapia le parole di Scola sono ‘motivo di riflessione, ma…’; garbo istituzionale, certo, ma non solo. Atteggiamento dialogico, disponibilità al confronto vero, cioè aperto e non ideologizzato tanto quanto fermo, non arrendevole né tanto meno servile. Al di là del tono, è la sostanza delle parole del sindaco (e gli atti della sua giunta) a segnalare Milano come un laboratorio cui guardare con interesse; per Pisapia laicità significa equidistanza (a un certo punto si dice equivicinanza) tra tutte le religioni, ossia che ‘il dirtitto di professare il proprio credo non deve portare a discriminazioni né privilegiare una religione anche se maggioritaria’, così come garantire anche ai non credenti di vedere rispettata la propria concezione della vita. Pisapia imprime una chiara torsione pluralista al diritto alla libertà religiosa, non escludendo le religioni dalla governance della sua città, ma chiamandole a cooperare per la pace e la coesione sociale, istituendo forum e tavoli di confronto che già Roma, in anni meno bui di questi, aveva visto proficuamente in essere. ‘In Italia’, ricorda Pisapia, ‘dobbiamo fare ancora molti passi in avanti ed è per questo che, a Milano, stiamo lavorando per dare vita a un albo delle associazioni e organizzazioni religiose che permetta a tutti di avere spazi adeguati per potersi riunire’. Da Milano la risposta più intelligente allo stimolo alla riflessione rappresentato dal discorso del Cardinale Scola.

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