CROCE E DELIZIE

Corrado Ocone

Filosofo

La radice del male è la stessa del bene. Ulteriori riflessioni sulla crociana apologia del diavolo

L’edizione dell’ Apologia del diavolo di Giovanni Beniamino Erhard che Croce fece ristampare in traduzione da Laterza nel 1942 (non lo era stata più dalla sua prima uscita, in rivista, nel 1795) è un piccolo gioiello di letteratura filosofica. Non solo per il testo del tardo kantiano che ne è l’autore, che lasciò deluso Croce e delude forse un po’ anche noi, almeno dal punto di vista filosofico, ma anche e soprattutto per la Nota critica che il filosofo napoletano vi appose a mo’ di postfazione (la sua prefazione è una semplice avvertenza bio-bibliografica). Quelle della Nota sono poche pagine che rappresentano, secondo chi scrive, uno dei punti più alti della riflessione crociana sul problema del male. L’Apologia, come dicevo nel precedente post, è stata ripubblicata nel 2001 da Rubbettino, che vi ha apposto una ulteriore prefazione e un’altra postfazione che fanno da ostacolo alla lettura dell’edizione crociana, che è riprodotta in anastatica (a dimostrazione, a modesto avviso di chi scrive, di come l’accademismo, che Croce come è noto aveva in uggia, possa rovinare con i suoi citazionismi autoreferenziali anche piccole perle come questa). La delusione che prende Croce deriva soprattutto dal fatto che Erhard intuisce ma, essendo impregnato di kantismo morale, cerca invano “il principio a cui sia da riportare la positività del male come male”. Non lo trova perché colloca quel principio nell’egoismo, il quale non può svolgere quel ruolo perché o è semplicemente il male, l’opposto del bene morale o l’antimorale, o non è in nessuna relazione né con il bene e né con il male, al di là o prima di essi e del tutto “innocente”, premorale o amorale (si legga fra l’altro l’interessante e agile Elogio dell’egoismo, pubblicato recentemente da Bompiani a firma di Armando Torno). Croce, al contrario, cerca un principio, formale e non materiale, che abbia come una doppia e inscindibile radice di positività e negatività. E lo ritrova nella Vitalità o “forza vitale” che accompagna, senza separarsene, ogni attività umana positiva, di qualsiasi tipo (estetica, logica, economica, etica…). E che si potrebbe non a torto definire come la molla del dialettica e del progresso. Senza potermi dilungare troppo in questa sede sulla fine “qualificazione del negativo” compiuta da Croce in ottemperanza alle necessità di una logica immanentistica come la sua (non opponentesi ma contenente in sé il momento della trascendenza),  vorrei cercare semplicemente di chiarire meglio cosa egli intendesse per Vitalità. E anche in virtù di quale idea prima la identificava con il Diavolo e poi tesseva di quest’ultimo un elogio. Ovvero, un’ apologia “nel suo intrinseco” o “nella sua sostanza”, non semplicemente come fattore di creazione inintenzionale di accadimenti che lo trascendono e che sono in sé positivi. Per rispondere a queste questioni un viatico è dato, a mio avviso, dalla parte finale dello scritto quando Croce osserva che “la storia (disse una volta il Droysen ) s’incarica di confutare il dualismo tra Dio e il diavolo; e in verità lo supera come non poterono le escatologie né del parsismo  e neppure del cristianesimo, coi loro assunti della vittoria finale di Ormudz e del regno di Dio, che annunciavano la chiusura del processo della storia ossia la fine del mondo”. Il filosofo napoletano afferma infatti che “la confutazione di questo dualismo del bene e del male” comporta che da una parte non si possa più considerare “la natura, estranea e riluttante allo spirito”, né, d’all’altra parte, lo spirito “arcigno e duro verso gli affetti e i moti naturali e le passioni”. In un passo precedente aveva scritto che “ la genesi del male è da ricercare nello spirito in quanto vitalità, piacere del vivere, utilità di ciò che al vivere giova, economicità ond’esso si governa in quella forma spirituale che è principio e unità di tutti i particolari”. Tutti fattori che, se originano il male, sono anche da un altro punto di vista l’origine del bene. Sono anzi il bene, perché nulla sarebbe senza il loro apporto. Senza la passione, la scaltrezza nell’azione, la spregiudicatezza e l’irriverenza si creerebbe mai qualcosa nel mondo? L’innovazione e la creatività non nascono e conservano sempre un momento di sfrontatezza? Un mondo di esseri medi o mediocri, di tranquilli spregiatori delle avventure e degli avventurieri, avrebbe mai travalicato in senso reale o metaforico le colonne d’Ercole? O lo avrebbe potuto fare con astratti disegni intellettualistici o ingegneristici? Un Dio, senza il Diavolo, detto altrimenti, un Dio non incarnato (di “carne” parla esplicitamente Croce), un Dio dell’assoluta pace e armonia celeste, sarebbe un fine auspicabile o non coinciderebbe con uno stato di morte e quindi di inumanità? E ancora e finalmente, distinto il diavolo come male assoluto dal diavolo come radice del bene, “come potrebbe il primo Satana ‘tentare’ e ‘sedurre’ l’uomo se non gli offrisse qualche bene, la parvenza di un vero e schietto bene, quale feracemente produce e coltiva questo secondo?”. Domande forse retoriche, ma su cui riflettere. Lo continueremo a fare.

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