ZATTERA SCIOLTA

Giovanni Cominelli

Laurea in Filosofia nel 1968, dopo studi all'Università cattolica di Milano, alla Freie Universität di Berlino, all'Università statale di Milano. Esperto di politiche dell’istruzione. Eletto in Consiglio comunale a Milano e nel Consiglio regionale della Lombardia dal 1980 al 1990. Scrive di politiche dell’istruzione sulla Rivista “Nuova secondaria” e www.santalessandro.org, su Libertà eguale, su Mondoperaio. Ha scritto: - La caduta del vento leggero. Autobiografia di una generazione che voleva cambiare il mondo. Ed. Guerini 2008. - La scuola è finita… forse. Per insegnanti sulle tracce di sé. Ed. Guerini 2009 - Scuola: rompere il muro fra aula e vita. Ed. Guerini 2016 Ha curato i volumi collettivi: - La cittadinanza. Idee per una buona immigrazione. Ed. Franco Angeli 2004 - Che fine ha fatto il ’68. Fu vera gloria? Ed. Guerini 2018

LA CASAMATTA DRAGHI E I PARTITI

Editoriale da santalessaandro.org
Sabato 19 giugno 2021
Giovanni Cominelli

Il governo Draghi? Una “casamatta” da assaltare. Storia di schermaglie estive

Ogni giorno la “drôle de guerre” praticata, ma non dichiarata, dai partiti contro il governo Mattarella-Draghi individua una casamatta da assaltare. Il penultimo assalto è quello della richiesta di Salvini di abolire l’emergenza al 31 luglio. E la variante Delta? Le spezzeremo le reni! Forse… L’ultimo proviene dall’ex-ministro Provenzano, che lancia una fatwa contro Draghi, per aver reclutato due economisti, Riccardo Puglisi e Carlo Stagnaro, colpevoli di “aver infamato” la spesa pubblica, essendo liberisti ostinati e confessi. Nel terzultimo hanno lucidato le baionette Beppe Grillo e Giuseppe Conte – ma poi quest’ultimo si è fermato in trincea – andando a parlare con l’ambasciatore cinese, mentre Draghi era intento nel G7 a riparare i danni degli accordi già siglati malaccortamente da Di Maio e Conte sulla Via della Seta. Si tratta di una guerriglia quotidiana contro il governo, che pure si dichiara di sostenere, ma nello stesso modo che Lenin raccomandava nel 1917 rispetto a Kerensky: “sostenerlo come la corda sostiene l’impiccato”. Mario Draghi governa da un tempo minore e, fortunatamente, non si trova nella spiacevole postura del suddetto.

Resta da spiegare il comportamento ostinato dei partiti, ancorchè appaia irrazionale ad ogni cittadino di buon senso.

Una prima spiegazione viene semplice: poiché Draghi raggiunge nei sondaggi un punteggio molto elevato e i partiti uno molto basso, essi sgomitano tra loro e con Draghi per appropriarsi delle briciole, che cadono dalla tavola del consenso governativo. Ogni sera assistiamo, davanti allo schermo dei TG Rai, alla patetica processione dei rappresentanti dei partiti, che recitano a raffica – i minuti in TV sono limitati – le loro ricette, come se leggessero per necessità di legge il bugiardino di un farmaco. Non si rendono conto di farsi pubblicità negativa. In ogni caso, si attribuiscono il merito dei provvedimenti e dei successi. L’espressione ricorrente è “Noi stiamo lavorando a…”. In questa corsa parassitaria al consenso, i tre partiti di governo oscillano tra il 15% – il M5S – e il 20% – Lega e PD- mentre FdI si aggira minacciosa sotto gli spalti del 20%. Il quadro dei partiti è chiaro: Draghi governa, noi facciamo propaganda, mettiamo pietre d’inciampo, piantiamo vessilli.

A quale fine? Ovvio, per vincere le prossime elezioni. Draghi è considerato un Purgatorio provvisorio dei partiti. Prima o poi usciranno “a riveder le stelle”. Intanto, in questa transizione, ciascun partito elabora il proprio Piano Schlieffen, disloca divisioni, costruisce nuove armi. Così a destra, si oscilla tra “federazione” e “partito unico” e slogan semplici, buoni per tutte le stagioni. A sinistra, il PD è passato in una breve stagione dall’alleanza organica all’atteggiamento maieutico verso il M5S, che si trova in piena decomposizione culturale e organizzativa. Dalla Piazza Grande di Zingaretti alle Agorà di Letta il PD si trascina lungo un interrogativo sempre senza risposta: “Chi sono io?”. Ossessionata dalle alleanze, la sinistra non riesce ad accedere al piano superiore: quello della sinistra di governo. Oggi quel piano è occupato da Draghi. Eppure, per desolante debolezza culturale e programmatica della sinistra, Draghi è diventato il governo del centro-destra. Il paradosso è che Draghi “fa qualcosa di sinistra”, ma la sinistra non vi si riconosce. Ci sarebbe, all’interno del PD, una corrente che si dichiara “Base riformista”, che ha presentato ben 21 punti riformistici – erano 21 anche quelli del Secondo congresso dell’Internazionale comunista – e che si riconosce esplicitamente nel programma Draghi. Ma, poi, nella dialettica interna del PD, si riduce alla pratica di Nicodemo, riformista solo di notte. Quanto alla “sinistra” di Orlando e Provenzano, ripropone, con qualche anno di ritardo, un mix tra il laburista Corbin e i democratico-socialisti americani alla Ocasio-Cortez, il tutto infiorettato di politically correct. E il “centro” di Letta? E’ un puro luogo geometrico, cui manca il coraggio liberale di Andreatta.

La seconda spiegazione dei comportamenti irrazionali – sempre dal punto di vista di chi adotta i parametri di una destra/sinistra di governo – è meno contingente. Il ruolo istituzionale dei partiti sta cambiando, cioè sta mutando la loro collocazione rispetto al governo. Tanto nella Prima Repubblica quanto nella sedicente Seconda, i partiti presentano le candidature alle elezioni e scelgono il Presidente del Consiglio e i Ministri, al netto di qualche trattativa dietro le quinte con il Presidente della Repubblica, cui l’art. 92 della Costituzione affiderebbe la scelta del Presidente. Articolo sempre disatteso, finché non si è palesata l’impotenza del sistema dei partiti di fronte alle urgenze europee e internazionali dell’ora. Fallite le riforme istituzionali, per responsabilità alternate o convergenti di tutti i partiti, si è si è imposto nei fatti un presidenzialismo all’italiana, il cosiddetto “correttivo presidenzialista”.

Il Governo Ciampi nel 1993, il Governo Monti nel 2011 e il Governo Draghi nel 2021 appartengono, in crescendo, alla stessa classe di governi “a correttivo presidenziale”. Di qui il senso attuale di estraneazione dei partiti, costretti a ripensare la propria collocazione rispetto alla società e rispetto allo Stato. Sorpresi in mezzo al guado, mentre perdono agganci di potere con le tecnostrutture e scoprono di avere radici mobili nella società. Donde il disagio crescente. Assediati dal basso e dall’alto, schiavi di cattive abitudini che risalgono fino agli albori della Repubblica, con elettorati sempre più capriccciosi e infedeli, i partiti stanno attraversando una crisi istituzionale e culturale, mentre i mille legami di interdipendenza in cui il Paese è immerso li costringe a uscire dalla cultura nazional-provinciale, che li ha finora nutriti e nella quale si sono rifugiati, per fare i conti con l’Europa e con il mondo. Di qui una divisione del lavoro: a Draghi spettano quei conti, ai partiti l’eterna propaganda, la ricerca del gesto ad effetto, la provocazione gratuita, la perpetua ammuina, la recita teatrale quotidiana: “totus mundus agit histrionem”. Stava scritto sul frontone del teatro di Shakespeare.
Ora, tutti – cittadini, società civile, mass- media, lavoratori e imprenditori, dirigenti politici, classi politiche europee – tutti vedono questa situazione. Non ci sono alibi per nessuno. Continuare a delegare la politica a questi partiti è sempre più inutile e pericoloso.

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