MEDIO ORIENTE IN FIAMME

Umberto De Giovannangeli

Italia-Egitto, le chiacchiere sui diritti umani e gli affari col “faraone”

Le chiacchiere sui diritti umani per coprire gli affari miliardari fatti all’ombra delle Pirami. E’ il caso-Egitto. E’ la vergogna italiana. L’Egitto dove l’emergenza è normalità, e lo stato di diritto un non senso. Amnesty International ha denunciato il tentativo delle autorità egiziane di normalizzare le violazioni dei diritti umani attraverso una serie di norme che servono a “legalizzare” la crescente repressione della libertà di espressione, di associazione e di manifestazione pacifica“Attraverso una serie di leggi draconiane e di tattiche repressive delle sue forze di sicurezza, il governo del presidente Abdel Fattah al-Sisi ha orchestrato una campagna coordinata per rafforzare la stretta sul potere, erodendo ulteriormente l’indipendenza del potere giudiziario e imponendo soffocanti limitazioni nei confronti dei mezzi d’informazione, delle Ong, dei sindacati, dei partiti politici e dei gruppi e attivisti indipendenti”, rimarca Magdalena Mughrabi, direttrice di Amnesty International per il Medio Oriente e l’Africa del Nord.  Sotto la presidenza al-Sisi e col pretesto di combattere il terrorismo, migliaia di persone sono state arrestate arbitrariamente – centinaia delle quali per aver espresso critiche o manifestato pacificamente – ed è proseguita l’impunità per le amplissime violazioni dei diritti umani quali i maltrattamenti e le torture, le sparizioni forzate di massa, le esecuzioni extragiudiziali e l’uso eccessivo della forza.  Dal 2014 sono state emesse oltre 2112 condanne a morte, spesso al termine di processi iniqui, almeno 223 delle quali poi eseguite.  La legge del 2017 sulle Ong è stata il primo esempio delle norme draconiane introdotte dalle autorità egiziane per stroncare la libertà di espressione, di associazione e di manifestazione pacifica.  La legge consente alle autorità di negare il riconoscimento delle Ong, di limitarne attività e finanziamenti e di indagare il loro personale per reati definiti in modo del tutto vago. Nel 2018 sono state approvate la legge sui mezzi d’informazione e quella sui crimini informatici, che hanno esteso ulteriormente i poteri di censura sulla stampa cartacea e online e sulle emittenti radio-televisive. Secondo l’Associazione per la libertà di pensiero e di espressione, dal maggio 2017 le autorità egiziane hanno bloccato almeno 513 siti web, tra cui portali informativi e di organizzazioni per i diritti umani.  Gli emendamenti costituzionali adottati nel 2019 hanno indebolito il primato della legge, compromesso l’indipendenza del potere giudiziario, aumentato i processi in corte marziale per i civili, eroso ulteriormente le garanzie di un processo equo e cristallizzato l’impunità per i membri delle forze armate. Gli emendamenti consentiranno anche al presidente al-Sisi di controllare dall’inizio alla fine l’applicazione delle norme che “legalizzano” la repressione, attraverso il potere di nomina delle alte cariche giudiziarie e la supervisione in materia giudiziaria. Ed è nell'”inferno” egiziano che è precipitato Patrick George Zaki, lo studente egiziano dell’Università di Bologna arrestato venerdì al Cairo. Zaki  ha subito un interrogatorio di 17 ore, bendato e ammanettato tutto il tempo, con minacce, colpi a stomaco, schiena e torturato con scosse elettriche. A rendere noti i dettagli sulla detenzione dell’attivista e ricercatore è Amnesty International Italia. “È stato interrogato sul suo lavoro sui diritti umani e sullo scopo della sua permanenza in Italia”, scrive Amnesty in un tweet.

“Secondo il suo avvocato – si legge ancora – i funzionari dell’Agenzia di sicurezza nazionale (Nsa) hanno tenuto Patrick bendato e ammanettato per tutto l’interrogatorio durato 17 ore all’aeroporto e poi in una località non resa nota a Mansoura”. “L’arresto arbitrario e la tortura di Patrick Zaki rappresentano un altro esempio della sistematica repressione dello stato egiziano nei confronti di coloro che sono considerati oppositori e difensori dei diritti umani, una repressione che raggiunge livelli sempre più spudorati giorno dopo giorno”, ha commentato Philip Luther, direttore delle ricerche sul Medio Oriente e l’Africa del Nord di Amnesty International.

Zaky “ha chiesto di essere visitato da un medico legale per mettere agli atti le tracce della tortura subita”, ha spiegato Hoda Nasrallah, una degli avvocati che segue il caso dello studente egiziano. “E’ stato sottoposto a scosse elettriche e colpito, ma in maniera da non far vedere tracce sul suo corpo”.

Annota Emma Bonino, già ministra degli Esteri e Commissaria europea, oggi senatrice di +Europa: “Quello di Patrick George Zaki  è uno dei rari casi di cui si sa qualcosa tra le migliaia di persone nelle carceri egiziani di cui non si sa più nulla. Migliaia di ‘desaparecidos’ dei quali né i famigliari né gli avvocati sanno dove sono detenuti e con quali capi d’imputazione. Questo ragazzo è la punta dell’iceberg di una situazione che porta alla luce il caso-Egitto”.

Pecunia non olet. Anche quando l’odore è quello del sangue. l’Italia si accingerebbe a vendere due Fregate all’Egitto, nel quadro di un programma di forniture militari che varrebbe 9 miliardi di euro. Le navi, già pronte nei nostri cantieri per la Marina Militare, sarebbero a questa sottratte per essere date all’Egitto in pronta consegna. Altre da cantierare sarebbero consegnate in un secondo momento, assieme ad un certo numero di elicotteri. Si tratta dello “Spartaco Schergat” e dell'”Emilio Bianchi”. La prima arrivata presso il Muggiano nel gennaio 2019 e ormai prossima a prendere il mare nei mesi a venire, la seconda appena terminata per la parte strutturale e in procinto di iniziare i lavori di allestimento nel golfo.
Si tratta della nona e decima unità del programma per una fregata europea multi missione sviluppato insieme alla Francia, che a sua volta nel 2015 ha ceduto il suo Normandie all’Egitto.

La notizia della possibile commessa, ha presto raggiunto Parigi , definita “uno schiaffo” dal quotidiano La Tribune che sottolinea gli storici rapporti con Il Cairo. Nell’operazione, di cui si starebbero definendo gli aspetti tecnico-finanziari, ci sarebbe il coinvolgimento di Cassa Depositi e Prestiti. “Garantire l’approvvigionamento di armi a un Paese come l’Egitto ci fa perdere credibilità, oltre a essere in aperto contrasto con gli impegni assunti da governo e parlamento sulla ricerca della verità”, annota Erasmo Palazzotto (Leu), presidente della Commissione parlamentare d’inchiesta sull’omicidio di Giulio Regeni. “Il governo italiano sta facendo approfondimenti tecnici per decidere se vendere all’Egitto due fregate militari della nostra Marina – dice Lia Quartapelle, capogruppo Pd alla -Commissione Esteri della Camera –  Servono però valutazioni politiche”.

Il 24 gennaio scorso, alla vigilia dell’anniversario della scomparsa di Giulio Regeni, a Palazzo Chigi era in agenda una riunione plenaria sulla commessa aIl Cairo, una “sovrapposizione sgradevole” che la Farnesina ha chiesto di evitare. Ma la riunione si è svolta lo stesso, seppur in forma ridotta e con  gli attori necessari. La  trattativa è stata seguita in gennaio direttamente dalla presidenza del Consiglio e da Carlo Massagli, consigliere militare di Giuseppe Conte. La riservatezza è svanita quando è stata resa nota – come di dovere – a tutti gli uffici interessati, tra cui quattro ministeri e i vertici delle forze armate. La decisione avrebbe incontrato la delusione della Marina militare che sperava che le navi potessero far parte della propria flotta.
Le due fregate dal valore di un miliardo e duecento milioni fanno parte della classe Fremm, ma l’accordo delinea un’intesa di massima per un programma di sviluppo militare che Il Sole 24 ore stima in almeno 9 miliardi di commesse. Il negoziato permetterebbe, secondo le intenzioni di Palazzo Chigi, di far tornare l’Italia più centrale nel quadro geo-politico del mediterraneo meridionale.

In ballo ci sarebbero anche pattugliatori, 24 cacciabombardieri Tifone, oltre ad aerei da addestramento Macchi M-346. La Marina egiziana, come riferisce La Stampa, avrebbe già acquistato anche una ventina di elicotteri Leonardo AW149 da impiegare a bordo delle due portaelicotteri acquistate dalla Francia, la Ghamal Abdel al-Nasser e la Anwar Sadat. L’iniziativa è partita dal Cairo, che ha espresso una manifestazione di interesse per le fregate della Fincantieri. L’azienda ha subito informato il governo italiano per avere l’autorizzazione ad andare avanti.

Il progetto è quindi di una cooperazione su larga scala nell’industria militare, confermata dal giornale Mada Masr, che ha parlato di contatti con il ministro della Produzione militare Mohammed al-Assar, concretizzati con la firma di “nove memorandum d’intesa”, compresa la realizzazione di una “unità logistica integrata” al Cairo. Questo per il futuro. Il passato, recente, dice che ’Egitto ha pagato all’Italia una cifra record per l’acquisto di armi. I dati sono stati presentati alla Presidenza del Consiglio dei Ministri il 2 aprile 2019. In particolare, la cifra pagata dall’Egitto per l’acquisto di armi, munizioni e sistemi di informazione per la sicurezza di provenienza italiana, nel 2018, ammonta a più di 69 milioni di euro. Tale cifra supera di gran lunga i 7.4 milioni del 2017 ed i 7.1 milioni del 2016. Anche precedentemente, nel periodo 2013-2015, l’Italia ha venduto armi al Cairo per cifre inferiori a quelle attuali, per un massimo di 37.6 milioni di euro.

Nel 2018, l’Egitto si è classificato al decimo posto nell’elenco dei Paesi che importano armi italiane, ed è il primo Stato del continente africano, preceduto da Qatar, Pakistan, Turchia, Emirati Arabi Uniti, Germania, Stati Uniti, Francia, Spagna e Gran Bretagna. I beni di maggior rilievo, di cui è autorizzata l’esportazione verso l’Egitto, sono pistole e fucili di piccolo calibro indirizzate all’esercito, nello specifico “armi ed armi automatiche di calibro uguale o inferiore a 12,7 mm”, oltre a bombe, siluri, razzi missili, accessori e pezzi di ricambio per armi americane ma fabbricate in Italia, apparecchiature elettroniche e software per il controllo regionale. Tali armamenti sono volti principalmente all’impiego militare, sia per l’esercito sia per la polizia e le forze di sicurezza. L’ambito relativo ai sistemi informatici risulta essere tra le novità delle relazioni Italia – Egitto.

Ma con il regime del presidente-generale Abdel Fattah al-Sisi non sono in ballo solo affari navali. In Egitto l’Eni ha interessi stratosferici ed Edison, Intesa Sanpaolo, Pirelli, Italcementi, Ansaldo, Tecnimont, Danieli, Techint, Cementir stanno piantando tende. Oltre all’Eni, circa 130 aziende italiane operano in Egitto e producono circa 2,5 miliardi di dollari.  C’è Edison (con investimenti per due miliardi) e Banca Intesa San Paolo, che nel 2006 ha comprato Bank of Alexandria per 1,6 miliardi di dollari. Poi Italcementi, Pirelli, Italgen, Danieli Techint, Gruppo Caltagirone, e molti altri. Imprese di servizi, impiantistica, trasporti e logistica. L’Egitto fa gola. Ha lanciato grandi progetti di infrastrutture: dai porti e zone industriali lungo il canale di Suez appena raddoppiato, ai fosfati estratti nel deserto occidentale, a un nuovo triangolo industriale tra i porti di Safaga ed el Quseir sul Mar Rosso e la città di Qena sul Nilo, fino a una nuova espansione urbana e industriale sulla costa mediterranea intorno a El Alamein.

 

Il governo egiziano conta di investirvi cento miliardi di dollari, promessi in gran parte dalle monarchie del Golfo, e le imprese di tutto il mondo sperano di partecipare alla festa. Nel 2016 le esportazioni italiane verso l’Egitto hanno prodotto 3.089,11 milioni di euro. .Un caso a parte è rappresentato dall’Eni. Presente in Egitto dal 1954 attraverso la filiale IEOC, la petrolifera italiana è la principale produttrice del Paese con 260,000 boed di gas naturale al giorno. Un report dell’Eni indica il ritrovamento di una nuova riserva di gas a Faghur durante una nuova operazione di esplorazione. È sufficiente pensare a quello che è accaduto il 31 gennaio del 2018 con l’inaugurazione del giacimento gasiero di Zohr scoperto due anni e mezzo prima dall’Eni. Quel giorno l’amministratore delegato della compagnia Claudio Descalzi presenziò alla cerimonia mentre la stampa egiziana celebrava in pompa magna i rapporti tra Italia ed Egitto.

Ad agosto 2019 il ministro del Petrolio e le risorse minerali dell’Egitto, Tarek El-Molla, ha firmato tre nuovi accordi per l’esplorazione di petrolio e gas naturale nel Mediterraneo, Sahara Occidentale e il Nilo per circa 139,2 milioni di dollari. Il primo è siglato tra la Compagnia Egiziana di Gas Naturale, Tharwa Petroleum e l’Eni per due nuovi giacimenti nel Mare Mediterraneo dell’Egitto. Il secondo tra l’Autorità Petrolifera dell’Egitto, l’Eni e la croata Ina per l’apertura di nuovi pozzi petroliferi a Raas Qattara e il terzo tra l’Autorità Petrolifera dell’Egitto, Eni e la British Petroleum per quattro pozzi sul Nilo. Nuove scoperte che contribuiscono all’apprezzamento dei titoli di Eni a Piazza Affari. Non basta. Ci sono poi gli interessi di gruppi come Leonardo-Finmeccanica che con l’Egitto hanno relazioni da tempo. Per esempio, la società italiana ha venduto hardware militare al governo egiziano anche nei sistemi di monitoraggio e controllo delle frontiere, fornitura che rientra nell’ambito degli accordi sul controllo dell’immigrazione e dove la dimensione politica, commerciale, economica e strategica si sovrappongono.

 

Un passo indietro, neanche troppo lungo, nel tempo. Il 4 settembre 2017, l’allora ministro degli Esteri, nel governo Gentiloni, Angelino Alfano definiva l’Egitto un “partner ineludibile dell’Italia” e fa ancora riflettere la descrizione che Naguib Onsi Sawiris, imprenditore egiziano e magnate delle telecomunicazioni, ha fatto dell’Egitto durante un intervento al Forum Rome MED 2017. Naguib Onsi Sawiris è presidente e amministratore delegato di Orascom Telecom, presidente del Consiglio di Amministrazione di Wind Telecomunicazioni Spa e di Mobinil. È uno degli uomini più ricchi dell’Africa ed è figlio di Onsi Sawiris, fondatore del gruppo Orascom. Di fronte a una platea gremita, Onsi Sawiris ha descritto l’Egitto come un “ambiente economico positivo, dove si può investire, e dove molte cose giuste sono state fatte dal punto di vista strutturale”.

Morale della brutta favola: a Roma cambiano i governi, variano le maggioranze, ma i diritti umani calpestati sistematicamente dal regime egiziano vengono sempre in secondo piano rispetto agli affari. Così come la verità sull’assassinio di Giulio Regeni. Che si sia trattato di un omicidio di Stato, su questo non esistono dubbi. Solo che i miliardi in ballo oscurano questa verità. E’ la vergogna italiana.

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