THE VISIONNAIRE

Francesco Grillo

Francesco è Amministratore Delegato di Vision and Value, società di consulenza direzionale e si occupa soprattutto di valutazione di politiche pubbliche per organizzazioni internazionali. E' direttore del think tank Vision, con cui gestisce diversi progetti dedicati a "le università del futuro", "big society", "la famiglia del futuro" ed in generale all'impatto della rivoluzione delle tecnologie dell'informazione sulla società e sull'economia. In precedenza ha lavorato per la Bank of Tokyo e con McKinsey. Laureato in economia alla LUISS, ha completato un MBA alla Boston University e un PhD presso la London School of Economics con una tesi sull'efficacia della spesa pubblica in ricerca (http://www.visionwebsite.eu/vision/staff_cv.php?cv=1) . E' editorialista de Il Mattino e de Il Messaggero ed è autore di diversi libri sull'impatto di Internet sulla sanità (Il ritorno della rete, Fazi, 2003), sull'automobile (La Macchina che cambiò il Mondo, Fazi, 2005), sui media (Il Sonno della Ragione, Marsilio, 2007).

It is democracy, stupid!

 

 

 

 

 

Di questa campagna elettorale si fa prima a ricordare i (pochi) temi che sono stati citati nel “dibattito” tra i leader (praticamente si è parlato quasi esclusivamente di tasse) e che sono trattati dai programmi degli schieramenti, che a fare la lista delle tante, importanti questioni che sono diventate del tutto marginali.

C’è però una dimenticanza che probabilmente è ancora più grave delle altre: la democrazia, in generale, e le regole del confronto elettorale, in particolare.  Anche se tutti parlano di economia, è probabile che per queste elezioni valga il contrario della celebre citazione di Bill Clinton alla fine della campagna del 1992.

È una omissione particolarmente rilevante proprio perché una campagna politica così povera di contenuti è figlia diretta di una legge elettorale che nessuno difende – al punto che i suoi stessi estensori l’accostano al mondo dei poveri maiali per esprimerne un giudizio – e di cui, però, nessuno ha preteso una modifica. Del resto che sia forse il tema più importante perché precedente tutti gli altri, lo conferma che la volontà del Presidente della  Repubblica più volte intensamente espressa era quella di concludere il proprio mandato con una nuova legge elettorale; che lo stesso Presidente del Consiglio continua a dire che essa sarebbe il suo primo atto se fosse confermato.

Tanto rumore per nulla, però. Come al solito.

Non solo nelle parole dei leader, ma neppure nei programmi c’è uno straccio di proposta. Se tutti dicono che è uno scandalo il sistema della nomina dall’alto perché esso consolida una partitocrazia sempre più lontana dalla società, come la vogliamo sostituire? Come ha funzionato il bipartitismo e se è vero che la maggioranza degli elettori (in alcuni casi la grande maggioranza, come le ultime elezioni importanti, quelle regionali in Sicilia) non votano più né per PD, né per PDL, come vogliamo tenerne conto? Quale il giusto equilibrio tra necessità di rappresentare il maggior numero possibile di cittadini (per coinvolgerli in progetti di cambiamento importanti come quelli che l’Italia non può rimandare) e stabilità, forza del Governo? Quale il legame tra nuova legge elettorale e revisione complessiva degli assetti istituzionali, il ruolo dei media, il finanziamento ai partiti? E infine in che maniera vogliamo tenere conto del fatto che le tecnologie offrono opportunità (e rischi) che erano inimmaginabili quando i costituenti disegnavano i meccanismi della democrazia italiana?

Aldilà di qualche accenno al valore della democrazia,  e nonostante l’esperienza delle primarie, quasi nessuna analisi o proposta  specifica emerge. Soprattutto dai due Partiti più grandi che evidentemente sono gli incumbents (come dice Monti) ai quali i meccanismi attuali fanno comodo anche se scavano gallerie di consenso profonde sotto i loro piedi.

Nessuna proposta però precisa emerge.

Per chi scrive il sistema delle nomine andrebbe sostituito non con le preferenze – che si portano dietro il problema del ritorno dei“pacchetti di voti” e la frammentazione della società italiana in piccolissimi feudi che nessuno riuscirà mai a ricomporre – ma con collegi uninominali. Con elezioni sempre in doppio turno, per dare la possibilità anche ai partiti più piccoli la possibilità di misurare il proprio consenso e, in alcuni casi, di far eleggere il proprio rappresentante.  Il finanziamento ai partiti dovrebbe essere conservato – deve esserci un motivo se esiste in tutti i Paesi europei ed il motivo è che, come dice lo stesso Obama, evita che la politica sia una cosa che solo i ricchi si possono permettere –  e però esso va ridotto, concesso solo a fronte di spese certificate e, soprattutto, il suo ammontare complessivo va commisurato al numero di voti validi e non di elettori potenziali in maniera da dare un peso all’astensione e un incentivo concreto a tutti i partiti a diminuire il giudizio fortemente negativo che gli italiani esprimono per l’offerta politica nel suo complesso. Infine, poi, va data la possibilità a tutti non solo di votare in via elettronica (non si capisce perché siamo oggi in grado di inviare attraverso strumenti telematici dati sensibili come la nostra dichiarazione dei redditi e non il nostro voto) in maniera da ridurre il costo delle consultazioni.

Infine, un punto importante. La legge elettorale andrebbe inserita tra quelle stabilite dalla Costituzione o che, comunque, richiedono ampie maggioranze per essere modificate. Attualmente – ed è la stortura più grande di cui nessuno parla – è come se stessimo giocando un campionato di calcio nel quale chiunque si trovi a vincere il campionato l’anno precedente può modificare le regole del gioco, anche se avesse vinto solo di pochi voti. Con un effetto potenzialmente devastante sulla contendibilità del potere. Dunque sulla democrazia. Uno delle tante storture dei meccanismi di democrazia che abbiamo , che sono causa ed effetto di una società che ha forse perso la democrazia, appunto, prima ancora che la crescita economica.

Ci vorrebbero grandi statisti. E opinioni pubbliche che con forza chiedano democrazia. Con una forza pari almeno alla metà di quella di altre generazioni che per la democrazia hanno dato, rischiato la vita. È forse questo il problema dei problemi.

Articolo pubblicato su Il Messaggero e Il Mattino del 19 febbraio 

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