CROCE E DELIZIE

Corrado Ocone

Filosofo

Il sofisma, il “liberismo imperante” e l’agenda del povero Monti. Una riflessione personale fra filosofia e politica

Dalla critica al “liberismo imperante”, diciamo più correttamente all’ideologia del neoliberismo, non può dedursi la necessità oggi in Italia di politiche statalistiche: 1) perché in prassi non abbiamo mai conosciuto il neoliberismo e i governi sedicenti liberali hanno statalizzato e protetto più dei precedenti ; 2) perché quella deduzione è ciò che propriamente si chiama sofisma. Il sofisma è un ragionamento formalmente corretto, ma inappropriato. Una contraddizione in atto fra contenuto e forma. Uno stridore disarmonico per chi ha orecchie affinate e intende; un suono ammaliante per chi si ferma ai primi vagiti o rumori del reale e non ama la fatica del sentire e del pensare. Scorgo il sofisma in quei ragionamenti che, fra “giovani turchi” e meno giovani già da sempre impegnati e alternativi, prima inveiscono contro il “liberismo imperante” e poi danno addosso all’agenda del povero Monti (per colpa anche loro rimasta ancora molto virtuale ma ora riproposta sub specie politica). A volte, da altri, meno radicali ma pur sempre a dir poco sospettosi verso il libero mercato, vengo addirittura toccato nel profonde delle corde crociane che mi battono in cuore: e quel don Benedetto, vissuto con fastidio perché retrogrado conservatore e provinciale, ma di sicuro poco letto e capito, di colpo diventa per costoro un esempio per la rigorosa teoria della separazione fra liberalismo e liberismo. Da cui, anche da essa, si dedurrebbe che è ora di cambiare registro e abbandonare le politiche di rigore e attenzione ai conti. Il sofisma, in una parola, applica giuste premesse in un contesto sbagliato. E quindi, poco importa se in buona o cattiva fede, ne trae conseguenze sbagliate. Criticare il liberismo imperante ha un senso se significa criticare quell’ideologia astratta, dogmatica, che ha avuto fortuna negli ultimi trenta anni per l’azione degli Hayek e dei Chicago Boys in punta di teoria e dei Reagan e Thatcher dal lato pratico. Più propriamente, per non creare equivoci con il più accorto e nobile liberismo classico, è opportuno parlare, come si fa, di neoliberismo. Ecco, quando Croce criticava il liberismo in nome del liberalismo pensava proprio agli aspetti di rigidità, passibili di diventare parodistici, che la dottrina presenta. Con eguale legittimità, in altri contesti, in nome del liberalismo egli avrebbe potuto benissimo criticare lo statalismo, l’ideologia che considera il “pubblico” e i “beni pubblici” (termini ritornati in auge ultimamente), lo Stato, panacee sempre e comunque, di ogni male. Ciò che Croce temeva e additava in ogni teoria era invece il fissismo, il suo rendersi statica e impermeabile alla realtà effettuale. Credo che sia un pericolo sempre presente in ogni teoria, in primo luogo in quelle economiche che sulle astrazioni si fondano (a cominciare da quella dell’ homo aeconomicus) e che astrazioni elaborano ma che spesso tendono a dimenticarsi di questa loro particolare natura. Credo che l’economista più vicino a Croce per questa parte, per questo tipo di ragionamenti, sia stato l’appena scomparso Albert O. Hirschman. La sua critica della “parsimonia” degli economisti e della loro costruzione di “paradigmi” astratti, la necessità consequenziale di “complicare” la scienza economica, si muovevano in questa direzione. Ragionamento tutto filosofico, di fronte a cui si erge la prassi che impone che l’uomo di buona volontà, il liberale, scelga per Croce di volta in volta le soluzioni di politica economica più appropriate. Ora, messe così, nel verso giusto, le cose, si può seriamente pensare che l’Italia abbia oggi da un punto di vista pratico un problema di “liberismo imperante”? O non è vero forse il contrario: che cioè, essendo il Paese fermo e anchilosato dalle troppe corporazioni che colludono e non competono fra loro, esso abbia invece bisogno di forti politiche liberalizzatici? Da non intendere a loro volta come panacee ad ogni male, ricette valide sempre e comunque, ma come la risposta pragmatica a questo male, a questa situazione di crisi o di stallo. Prontamente da abbandonare in altre e dissimili future contingenze, se del caso. Se poi, da un punto di vista più generale e filosofico, Croce avesse o no ragione nel separare liberismo e liberalismo, trattasi di un problema che ho toccato ma che affronterò in modo esplicito nel prossimo post.

  1. Sono d’accordo, caro Cortese, su tutto, anche sulla particolarità italiana. Quanto a destra e sinistra, mi sembrano concetti così consunti e usurati, giusto labili paletti per parlare

  2. Il liberismo per funzionare ha bisogno di regole altrimenti si autodistrugge. Oggi ce ne rendiamo conto osservando gli effetti della deregulation iniziata negli anni della Thatcher e di Reagan entrambi più liberisti che liberali. Al contrario chi è più liberale che liberista sostiene l’importanza delle regole per far funzionare bene il mercato. Il caso italiano è particolare perché da noi si sente il bisogno di maggiore libertà nei settori soffocati dal familismo e dalle corporazioni e di regole più efficaci dove queste non esistono o sono puntualmente disattese o è oggettivamente impossibile farle funzionare se non su tutto il globo. E’ una sciocchezza che la libertà sia di destra e le regole di sinistra.

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