L'ASINO DI BURIDANO

Massimo Parodi

Professore di Storia della filosofia medievale all'Università Statale di Milano.

Il pugno di dio

Studiando Agostino mi sono imbattuto spesso nel concetto di grazia, uno di quei concetti che, secondo alcuni studiosi, caratterizzerebbero il suo pensiero nella fase della vecchiaia, quando sembra farsi sempre più pessimistico e tetro. Non è certo il caso di discutere qui delle interpretazioni del pensiero agostiniano, ma talvolta viene da chiedersi come si potrebbe tradurre in termini laici, o almeno non religiosi, un concetto così impegnativo e ricco di conseguenze. Perché alcuni si salvano e altri no? perché alcuni sanno uscire dalle difficoltà e altri no? perché solo alcuni fra gli uomini sanno trovare un senso per la propria esistenza? perché – come canta Morandi – solo uno su mille ce la fa?
Se siamo tutti uguali, perché allora siamo così diversi? Potrebbe essere che a differenziarci sia quello che laicamente chiamiamo carattere, quello che ci porta a reagire in modo diverso di fronte alle stesse disavventure, alle stesse difficoltà, alla stessa esigenza di senso? quello per cui uno riesce a trarsi d’impaccio mentre gli altri 999 affogano, magari in un bicchiere d’acqua?
In questi giorni di grandi discussioni su terrorismo, libertà di opinione, religione e violenza, essere o non essere Charlie, capita di osservare come i diversi interventi rivelino molto del carattere di chi li fa. Gli argomenti a disposizione non sono poi moltissimi e ognuno ne sceglie alcuni, li collega, li organizza e comunica agli altri non tanto la propria opinione quanto il proprio modo di essere. Quasi tutti siamo vittime della forte tentazione della teoria risolutiva, della ricerca del punto di vista che riesca a spiegare tutto quello che è successo, che sappiamo succederà ancora, ma che speriamo non succeda più. Scompaiono dai discorsi – conseguenza e danno quasi inevitabili di fronte allo scontro, agli spari, alla guerra, alla morte – la calma, la moderazione, i dubbi; ci sentiamo chiamati alla teoria e più siamo in grado di salire tre le idee rarefatte e più ci sembra di riuscire a spiegare.
Ho guardato la vignetta che Charlie Hebdo aveva pubblicato sulla trinità, rappresentata sottoforma di una sodomia di gruppo, e mi sono chiesto – da agostiniano irregolare che considera l’idea di un dio trinitario una grandiosa proposta del pensiero occidentale – perché mai dovrei sentirmi offeso, anche se fossi credente. Chi ha disegnato quella vignetta ha solo dimostrato di non avere capito nulla e, d’altra parte, non è affatto obbligatorio che tutti si leggano il De trinitate di Agostino. Se io facessi una vignetta sulla religione indù o su quella azteca sarei sicuramente altrettanto stonato, ma per fortuna il mio lavoro non mi chiede questo tipo di produzione.
Tuttavia, lo sappiamo e ce lo siamo ripetuti infinite volte in questi giorni, non è una bella cosa offendere gli altri, la loro religione, la loro fede, anche perché non tutti possono avere la moderazione – o la superbia – di non sentirsi messi in discussione da persone che forse della loro fede hanno capito ben poco. Più ci solleviamo nei cieli della teoria e più ci sentiamo avvolti in una rete di tesi opposte e contraddittorie da cui è molto difficile uscire.
L’oggetto di cui si parla è assolutamente serio e drammatico, ma forse non è necessario che sia sempre pesantemente serio anche il nostro modo di parlarne. Proprio a questo livello si profila una ennesima contraddizione: se è vero che una delle prime vittime del nostro vagare nei cieli della teoria è l’autoironia, la capacità di dire una cosa senza prendersi esageratamente sul serio, colpisce il fatto che uno dei pochi che sia riuscito a lasciare una sia pur vaga impressione di autoironia sia proprio il capo di una di quelle religioni che qualcuno vorrebbe credere destinate inevitabilmente a scontrarsi.
La frase di papa Francesco sul pugno che rischierebbe di ricevere chi osasse dire una parolaccia contro la mia mamma ha suscitato molte e contrastanti reazioni, ma se si guarda il filmato del momento in cui il papa la pronuncia e il gesto con cui l’accompagna, si comprende perfettamente come provenga da uno che non ha mai neppure lontanamente pensato di dare un pugno a qualcuno. Certo la frase è problematica: non vorrà mica giustificare le reazioni violente contro quanti offendono – giocattolizzano – una religione? non vorrà mica dire che ognuno ha un qualche diritto di farsi giustizia da sé, non essendoci che la coscienza personale a poter dire quando qualcuno ha offeso la mia mamma o la mia religione?
L’autoironia è sicuramente una grazia, un dono gratuito, che può talvolta essere persino una condanna. Francesco forse ci ha rappresentato quella rete di contraddizioni in cui rischiamo di soffocare, ma quel gesto di minaccia al dottor Gasbarri, che è mio amico è più disarmante che provocatorio, anche se resta comunque una bella provocazione per il pensiero laico che una traccia isolata di autoironia compaia nelle parole di qualcuno che si sente capo di una chiesa che pure di pugni e di violenze ne ha dispensati assai nella propria storia.

  1. Io non approvo e non giustifico la violenza reale, ma penso che ci siano delle azioni e delle re-azioni, come è stata la innocua zuccata di Zidane; penso anche che dall’isolamento, dalla disperazione e dalla umiliazione possano nascere dei gesti, folli e nefasti.

  2. Il problema sembra essere che né la testata di Zidane né i proiettili contro Charlie Hebdo erano metaforici. E non mi è chiaro, se qualcuno offende mia madre, quando dovrei offendermi anziché giudicarlo un maleducato e forse uno stupido. Nelle parole, e soprattutto nel gesto, del papa vedo la rete inestricabile di contraddizioni in cui si trovano i nostri tentativi di dotarci di una teoria e non la comprensione per una reazione violenta.
    Ho letto, in uno dei tanti interventi sul tema, una battuta che mi pare assai più graffiante delle vignette incriminate: Ma se Dio è con te, perché hai un kalashnikov?

  3. Può darsi che l’autoironia sia un dono gratuito o una grazia perché è un balsamo per molti dolori e ci aiuta a non dare una importanza eccessiva alle cose, a ri-dimensionarle, ma diventa una dis-grazia quando diventa cinismo, aridità e malevolenza. L’ironia è la peculiarità di Mefistofele, il principe della negazione, lo spirito di colui che nega, ma l’ironia, secondo me, non deve colpire mai ciò che nella vita di ciascuno è sacro: il sentimento religioso, l’amore, la morte, la trascendenza. Si puo fare satira su Auschwitz? Non credo. Bene ha fatto il Papa a parlare di pugni metaforici e bene fece il calciatore Zidane a sferrare una acrobatica e perfetta testata a Materassi che lo aveva colpito appunto nei suoi sentimenti profondi.

  4. Alcuni si salvano e altri no? Andrebbe però tenuta sempre presente la celebre frase di Hans Urs von Balthasar (pur sub iudice): l’inferno c’è, ma può esser vuoto. Cristo Gesù non è morto invano per tutti noi …

  5. Se insistere a ridicolizzare il profeta è una colpa, mi sembra che ciò implichi che il problema della liceità dell’ironia e della satira sia meramente quantitativo, e che non sia un valore in sé la libertà di sottoporre al vaglio della pubblica opinione le proprie idee, per quanto volgari e volgarmente espresse esse siano (e penso alla vignetta sulla trinità, che disgusta anche un laico ma per la sua stupidità). Questo mi fa pensare a chi (e come) potrebbe stabilire quando la misura è colma, e purtroppo l’unica risposta che mi viene alla mente è che sono state le raffiche di mitra dei due terroristi a decidere (per tutti) dove stava il limite e che il limite era stato oltrepassato. Il limite potrebbe essere la sensibilità altrui, come forse voleva dire papa Francesco quando parlava di offesa ai sentimenti religiosi; mi domando in questo caso se il sentimento religioso sia quindi da tutelare più del sentimento laico di chi, poniamo, potrebbe sentirsi analogamente offeso da idee, parole e comportamenti religiosi. La libertà concessa a Charlie Hebdo è la stessa che consente a ogni fede religiosa di poter essere praticata senza discriminazioni: limitare questa libertà significa che la libertà d’opinione è qualcosa che può essere limitato, sempre.

  6. Francesco, mi pare, intendeva forse dire, mimando il pugno a Gasbarri — magari ne avesse rifilato uno vero a Gasparri 🙂 — che chi offende i sentimenti religiosi di qualcuno, deve naturalmente aspettarsi una reazione. Infatti, insistere nel ridicolizzare il Profeta, ha affermato il presidente dell’Unione delle organizzazioni islamiche di Francia Amar Lasfar, ha distrutto ciò che la manifestazione di domenica aveva costruito. Come musulmani è un’offesa che non possiamo accettare. Se l’autoironia, come credo, è non prendersi così sul serio, anziché a mimare il pugno, avrebbe potuto condurre Francesco a ricordare qualche versetto del Vangelo di Luca: Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno (23: 34), oppure benedite quelli che vi maledicono, pregate per quelli che v’oltraggiano (6: 28), a chi ti percuote su una guancia, porgigli anche l’altra (6: 29) e amate i vostri nemici (6: 35). Ma forse questo avrebbe potuto indurre a pensare che Francesco si sentisse superiore a Monsieur Lasfar, anche perché non direttamente chiamato in causa.

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