CROCE E DELIZIE

Corrado Ocone

Filosofo

Il pipistrello o delle incoerenze di certa filosofia americana

 Il pipistrello ha assunto una importanza fondamentale nel pensiero contemporaneo grazie a Thomas Nagel, professore di Filosofia e Diritto alla New York University, filosofo morale e uno dei maggiori esponenti della cosiddetta “filosofia della mente”. Nel 1974, egli pubblicò infatti, su “The Philosophical Review” , un saggio in cui si poneva la domanda: Che cosa si prova ad essere unpipistrello?”, che ora l’editore Castelvecchi pubblica nella bella collana di interventi brevi e significativi “Etcetera”(pagine 64, euro 7). In un breve lasso di tempo, il saggio, di cui parlo domani anche su “La Lettura” del “Corriere della sera”, divenne uno dei più citati e discussi nella comunità accademica soprattutto nordamericana. E contribuì non poco a far conoscere e a rendere famoso l’autore, che avrebbe poi pubblicato altri saggi molto rinomati. Se da un lato va dato atto a Nagel di essere riuscito, come capita rare volte, a sintetizzare in poche pagine, in modo semplice ed efficace, questioni teoriche complesse ed essenziali; dall’altra, non si può non rimanere insoddisfatti dalla lettura di esso e anche chiedersi come possa aver avuto una influenza così vasta un pensiero così poco avvertito filosoficamente come è quello di certi analitici. Nel rileggere il testo, in un’ottima traduzione italiana, sono rimasto colpito da una affermazione che fa Nagel, all’inizio, e che spiega poi a mio modesto avviso le contraddizioni in cui si involve. Egli dice: “siamo tutti d’accordo che i pipistrelli hanno esperienze”, cioè hanno una coscienza. E’ qui, ripeto a mio avviso, che, si fa per modo di dire (non mi permetterei mai!), casca l’asino! Prima di tutto bisogna ammettere che “siamo tutti d’accordo” non è un argomento filosofico, perché una filosofia che si pone sul terreno del senso comune non è già più filosofia perché dà per certi dei giudizi che dovrebbe invece portare davanti al tribunale della ragione (pre-giudizi in senso letterale; Francesco Bacone avrebbe parlato di idòla fori). E poi perché la “forma di vita fondamentalmente aliena” che è per Nagel propria dei pipistrelli non solo non può essere da noi compresa dall’interno, come egli, essendo un “internalista” (che parola orrenda!), ben dice, ma nemmeno concepita. Detto in altre parole: è un problema che non dovremmo nemmeno porci, stando conficcati come siamo in un terreno di rigida immanenza che è tutt’uno con i nostri schemi logici ( ovvero, il pensiero pensante che sempre ci accompagna di gentiliana memoria). Certo, il senso comune (e la scienza che ne è la prosecuzione rigorosa) amano immaginare di queste “finzioni”. Ma un “filosofo”, se è tale, non deve farsi servo non richiesto degli scienziati (i quali lavorando a migliorare la nostra vita meritano un rispetto assoluto e quasi incondizionato). Posto male il problema, che non andava proprio posto, Nagel così argomenta: “Per quanto lontano possa spingermi a immaginare…, quel che posso trarne è solo un’idea di cosa proverei io a comportarmi come si comporta un pipistrello. Ma questo non è il nostro punto. Il problema è sapere cosa prova un pipistrello ad essere un pipistrello. E quando è questo che mi sforzo di immaginare, mi trovo inesorabilmente limitato dalle possibilità della mia stessa mente, possibilità che si mostrano inadeguate all’impresa”. Nagel, che è partito dalla convinzione oggettivistica che ci siano tante coscienze del mondo, senza accorgersi che nel porle la coscienza trascendentale (non di lui come io empirico che è pur sempre una oggettivazione) lo accompagnava già (anzi lo trascendeva), inesorabile, ne deduce che: 1) dobbiamo ammettere da una parte l’esistenza di altri tipi di esperienza e di coscienza rispetto alla nostra; 2) la loro incomprensibilità da parte nostra. Le diverse coscienze del mondo, le individue soggettività, non possono pertanto essere ridotte a leggi fisiche comuni (fisicalismo) o ad ogni altro tipo di oggettività. Contro ogni forma di riduzionismo o esternalismo, Nagel afferma pertanto le ragioni dell’internalismo antiriduzionistico. Solo che il suo “internalismo”, come quello di tutti gli “internalisti”, tale non è in senso profondo perché ha prioritariamente (e da un punto di vista filosofico immotivatamente) già “esternalizzato” e “oggettivato”la sua e le altrui coscienze. Cani, gatti e pipistrelli compresi.

 

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *