CROCE E DELIZIE

Corrado Ocone

Filosofo

Heidegger, la filosofia, il nazismo e i liberali. Riflessioni a margine

Con Dino Cofrancesco abbiamo l’abitudine di scambiarci, qualche volta in anteprima, gli articoli o i saggi che andiamo a pubblicare. Il più delle volte concordiamo sulle tesi affermate dall’altro, anche perché partiamo da una comune visione del liberalismo e del ruolo dell’intellettuale. Qualche volta però abbiamo anche idee diverse, fosse pure su una opinione espressa ma inessenziale nell’economia generale dello scritto commentato. E’ accaduto, ad esempio, qualche giorno fa, quando l’amico Dino ha contestato una mia affermazione a margine su Martin Heidegger: un pensatore che io, al contrario di lui mi sembra di aver capito, ho scritto di considerare se non il certamente uno dei maggiori e più essenziali pensatori del Novecento. Molto più, per intenderci, di un Karl Popper, che pure, per altri motivi, ci sta e non può non starci a cuore. Probabilmente, Cofrancesco pensava a certi esiti mistici del pensiero heideggeriano. O anche, più semplicemente, ai sempre più chiari ed evidenti portati nazionalsocialisti di esso. Il libro di Emmanuel Faye recentemente pubblicato in italiano è, da questo punto di vista,  per certi aspetti sconvolgente, anche perché documentatissimo (Heidegger e l’introduzione del nazismo nella filosofia, edizioni dell’Asino d’oro, pagine 502, euro 25). Così come sembra che lo siano altre carte che stanno per venir fuori. Nonostante questi elementi, a me ben presenti, io ritengo tuttavia, e lo dico forte, che Heidegger (come per altri rispetti Giovanni Gentile) sia imprescindibile per noi. Anche se capisco che ho necessità di argomentare questa mia opinione o suggestione. Bene, per farlo, mi è sovvenuta l’idea metodologica che della storia della filosofia ci propone Bernard Williams. Il quale non è stato solo un implacabile e storicistico (non nel senso popperiano del termine come qualche sprovveduto potrebbe pensare) avversario delle nuove forme di intelllettualismo etico che hanno avuto corso nel pensiero degli ultimi tempi (da John Rawls a Ronald Dworkin a Jurgen Habermas per capirci). Ma è stato pure uno storico della filosofia di vaglia. Bene, richiamandosi per molti aspetti a Robin George Collingwood e alla sua idea della comprensione storica come soggiacente ad una “logica” da lui definita “della domanda e risposta” (ne ho parlato più volte in queste note), Williams compie una distinzione fondamentale (per quanto da non concepirsi nella prassi in modo rigido): quella fra “storia delle idee” e “storia della filosofia” (cfr. soprattutto Il senso del passato. Scritti di storia della filosofia, Feltrinelli 2009, pagine 430, euro 45). La prima va sicuramente affrontata collegando le idee degli autori al loro contesto storico, ideale, alle loro posizioni politiche, persino alla loro vita privata. La seconda, invece, deve seguire una sua specificità, che però non è quella che vorrebbero certi filosofi analitici americani. Costoro pensano infatti, nella loro stupida illusione positivistica, che si possa trattare di certi problemi ripartendo da zero, prescindendo del tutto da chi prima e meglio di noi si è arrovellato su di essi. Anzi, di fare questo menano addirittura vanto, senza pentirsi come pur fece il maestro di Heidegger il buon Edmund Husserl. Al contrario, la storia della filosofia compiuta filosoficamente, pur non essendo interessata in prima istanza a ciò che ci suggerisce la storia delle idee, pretende di inserire le idee di un autore in un processo storico che vede già da sempre impegnati, su uno specifico tema, i migliori pensatori. In questo senso, dopo Kant, Hegel, Nietzsche, giusto per esemplificare, non poteva non arrivare un Heidegger con il suo progetto fallito (ma quanto più istruttivo un fallimento di un tentativo riuscito!) di una ontologia rinnovata e di una “analitica esistenziale”. Perché se non per questo quella che in Italia è venuta fuori come la Storia della filosofia di Ernst Cassirer (e che in verità è una storia concernente “il problema della conoscenza nella filosofia e nella scienza dell’età moderna”, come recita correttamente il titolo tedesco) resta un’opera insuperata per capire la filosofia moderna, cioè il nesso che lega indissolubile il pensiero dei cosiddetti “razionalisti” a quello degli “empiristi” e che trova una parziale composizione nel criticismo kantiano? Ed è in questo specifico senso, o ordine di idee,  che Heidegger deve interessare anche a chi è ai suoi antipodi per forma mentis e scelte politiche. Egli è imprescindibile anche per un liberale. D’altronde, io penso che se il liberalismo non si riconcilia con la filosofia, non possa avere quel futuro che io, Dino e tutte le persone di buona volontà ardentemente desideriamo.

 

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