L'ASINO DI BURIDANO

Massimo Parodi

Professore di Storia della filosofia medievale all'Università Statale di Milano.

Governare senza governo

Per indicare il linguaggio caratteristico di Azzeccagarbugli o delle pie contadine del Monferrato che, da piccolo, sentivo devotamente cantare Tanto mergum sacramento, si usava l’espressione, volutamente maccheronica, il latinorum. Quale espressione potrebbe fotografare il linguaggio contemporaneo infarcito di parole inglesi non sempre giustificate e spesso usate a casaccio? Potrebbe funzionare inglispicching?
Ma, al di là del nome, il problema reale è che talvolta l’abuso, un po’ snob, di anglicismi modifica il modo stesso di pensare e trasforma la cosa significata. Da alcuni anni sta riscuotendo uno strano successo, nei discorsi politici, il termine governance. Se si intende significare semplicemente il governo, non si capisce perché si debba ricorrere all’inglese, che oltretutto possiede anche il termine più consueto government, consacrato nella storia dalla splendida espressione pronunciata da Lincoln nel 1863: government of the people, by the people, for the people.
Ci deve essere qualcos’altro. Government sta a governo come governance sta a cosa? Ho consultato un po’ di dizionari, ma non si trova alcun termine italiano che abbia un aspetto del tipo governanza.
Interessanti indicazioni si trovano invece nel Dizionario dei diritti umani, nel quale, alla voce governance (di Paola Bilancia), si legge che il termine viene usato con riferimento

a due fattori compresenti: all’esistenza di un sistema complesso e al ricorso alla flessibilità dei rapporti tra soggetti del sistema,

per indicare il

modo di perseguire un’azione unitaria da parte di una società complessa, espressione di interessi pluriarticolati, e quindi come il percorso attraverso il quale le differenti posizioni di cittadini, imprese, associazioni – o, più in generale, di più soggetti sociali – sono tradotte in scelte effettive di politiche.

Riassumendo,

Un modello di governance, in sintesi, comprende tutti quei processi e quegli strumenti che, seppure riferiti o comunque coinvolgenti istituzioni pubbliche, esulano tuttavia dalle tradizionali forme e dai tradizionali strumenti di governo e che sono ben riassunti nella formula inglese governing without government.

In questo caso la formula inglese aiuta molto e alcune cose si cominciano a chiarire. E’ come se l’ambito dove si assumono le decisioni andasse progressivamente chiudendosi su se stesso e isolandosi dal resto della realtà sociale, come se i processi decisionali venissero caratterizzati in termini essenzialmente tecnici, senza necessità di basarsi su qualcosa di esterno, su qualche forma di legittimazione – sia essa la volontà popolare o quella divina – che configuri un effettivo governo. Viene quasi da pensare che scompaiano in questo modo quelle che, in termini aristotelici, potrebbero essere indicate come le quattro cause, implicitamente presenti e ricondotte alla volontà popolare, nella formula di Lincoln: la causa materiale (people), l’efficiente (by), la formale (of) e la finale (for).
Allora viene in mente anche un termine italiano che si adatta forse alla gestione della governance: si tratta della governante, intesa non come una donna al governo, ma come quella figura tipica delle famiglie aristocratiche, o comunque ricche, di un tempo, che possiede le conoscenze tecniche per sovrintendere all’andamento della casa e che trae a volte la propria autorevolezza da fonti misteriose: in parte dipendente, ma in parte dominante; in parte salariata, ma in parte membro della famiglia; in parte subordinata, ma in gran parte autonoma.
La governance insomma sembra contribuire a ricondurci a una situazione, per così dire, infantile, quando subivamo l’autorità senza porci inutili problemi di mediazione del consenso. E una conferma viene dall’Oxford Dictionary online che, alla voce governance, richiama un passo dell’Enrico VI (parte II) di William Shakespeare, nel quale Margherita d’Angiò, moglie di Enrico, si lamenta con queste parole:

My Lord of Suffolk, say, is this the guise, / Is this the fashion in the court of England? / Is this the government of Britain’s isle, / And this the royalty of Albion’s king? / What shall King Henry be a pupil still / Under the surly Gloucester’s governance?

Secondo una traduzione presente in rete:

Mio signore di Suffolk, è questa la maniera, questa la consuetudine della corte d’Inghilterra? Questo è il governo dell’isola di Britannia? E questa è la sovranità del re di Albione? Come, Enrico farà ancora lo scolaretto sotto la guida dell’arcigno Gloucester?

Se la governance di Gloucester riduce il re alla condizione di scolaretto, risulta evidente che – come sempre – gli usi linguistici non sono neutri: il passaggio da government a governance implica altri passaggi, da politica a tecnica, da people a pupil.

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