MAESTRI & COMPAGNI

Roberto Pierri e Paolo Granata

"La cultura è l'unico bene dell'umanità che, diviso fra tutti, anziché diminuire diventa più grande" (H. G. Gadamer)

Friedrich von Hayek. Una libertà senza altri aggettivi?

Ecco una nuova tappa della nostra “Storia della filosofia”. Con un salto di oltre un secolo, passiamo dalla Democrazia in America di Tocqueville ad un’opera molto diversa ma parimenti rilevante nella storia del pensiero liberale. “Law, legislation and liberty” del filosofo austriaco Friedrich August von Hayek rappresenta, infatti, non solo il punto di approdo della riflessione hayekiana sul concetto di libertà, ma anche, e soprattutto, un potente dispositivo teorico che ha ispirato un’intera stagione politica ed ha influenzato le scelte e gli indirizzi di influenti uomini di stato come Margret Thatcher e Ronald Regan. Dalla critica al moderno parlamentarismo agli strali lanciati contro l’idea di giustizia sociale, alla connessione stringente tra libertà economica e libertà senza altri aggettivi, l’opera del pensatore austriaco si è imposta come un vero e proprio classico del pensiero liberale novecentesco suscitando ammirazioni smodate e, molto spesso, critiche feroci. A parlarcene è Francescomaria Tedesco, autore di una monografia hayekiana per l’editore Laterza.

Quando Friedrich August von Hayek nacque, l’8 maggio del 1899, il declino dell’Austria era già iniziato. Egli crebbe e si formò in una Vienna multiculturale e raffinata, che pullulava di grandi talenti letterari e di circoli di intellettuali, nonostante la città cominciasse ad essere percorsa dalle inquietudini della finis Austriae e dal presagio del non lontano collasso della Mitteleuropa.

In quella città vivevano e lavoravano, nei primi anni del Novecento, alcuni fra i più importanti intellettuali del secolo, i quali diedero vita ad alcune delle intuizioni più dirompenti per la cultura occidentale. Le suggestioni e gli stimoli della città si univano, nel giovane Hayek, a quelli di una famiglia di tradizioni accademiche e di importanti frequentazioni. Hayek non tardò a mostrarsi uno spirito eclettico, cosa che caratterizzò tutta la sua ricerca. Iniziò a interessarsi di economia con i marginalisti (Mises in particolare), ma negli anni ’30 percepì chiaramente che le sue teorie erano state sconfitte dall’enorme successo di John Maynard Keynes. Così, il suo interesse per l’equilibrio economico si ampliò alla società in generale, e divenne la questione centrale del suo pensiero: il problema dell’ordine. Intanto, tra i ’30 e i ’40, insegnò alla London School of Economics e partì per gli Stati Uniti, dove il suo La via della schiavitù – un tentativo di demolire le prospettive del socialismo – ebbe un successo enorme tanto che godette persino di una riduzione a fumetti. Negli Stati Uniti ottenne la cattedra di Scienze morali e sociali a Chicago. Tra gli anni ’50 e i ’60 fu molto prolifico sulla questione dell’ordine sociale e dello ‘scientismo costruttivista’. Alla fine dei ’60 tornò in Europa, e negli anni ’70 scrisse la summa del proprio pensiero, Law, Legislation, and Liberty. Nel 1974 ricevette, assieme a Gunnar Myrdal, il Premio Nobel per l’Economia. Divenne, nei primi anni ’80, un’autorità del liberismo thatcheriano. Con la Lady di Ferro Hayek condivise anche il giudizio positivo su Augusto Pinochet. Hayek aveva infatti sostenuto che il liberalismo non è in contraddizione con l’autocrazia, cosicché un governo autoritario può essere liberale, e applicò questa sua incredibile teoria alla micidiale esperienza cilena.

Morì il 23 marzo del 1992, all’età di 93 anni, a Friburgo in Brisgovia.

  1. Della Thatcher si può dir tutto, fuorché che fosse liberale. E lo stesso direi di Ronald Reagan. Per non parlare delle tradizioni politiche austriache, cioè essenzialmente di von Metternich. Dai liberali inglesi e americani (cioé dai “liberals”) lo stesso von Hayek teneva a distinguersi nettamente.
    Esattamente come la Thatcher e Ronald Reagan, il von Hayek era liberista. Che è un’altra cosa, come mostra fin dall’inizio il liberismo dei fisiocratici (favorevoli all’assolutismo regio), come mostra il liberismo degli inzi del regime fascista, come mostra, appunto, il liberismo cileno del Pinochet.
    Il suo, anzi, era più esattamente un liberismo qualificabile proprio come classista. Tra l’altro, non dovrebbe sfuggire un piccolo significativo particolare: il von Hayek non era affatto contrario a interventi pubblici nell’economia nei momenti di crisi economica (ove mi sembra di capire – e se mi sbaglio mi corregerete – sovvenzioni alle imprese). D’altra parte, il von Hayek, non solo qualificava come liberale la politica del generale Pinochet, ma lamentava espressamente il tradimento della “Common law” e dei princìpi liberali in una giurisprudenza inglese del 1906 che dichiarava non più perseguibile come reato la proclamazione dello sciopero.
    Non è semplicemente classismo questo?

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