Si chiama Digiunare divorare il racconto lungo di Anita Desai pubblicato da Einaudi nel 2001. Ed è l’esempio principe di una narrazione che metta a confronto due culture. Desai, nata nel 1937 a Mussoori, in India, ha studiato a Nuova Delhi. Di madre tedesca e padre bengalese, studi in Gran Bretagna, oggi vive e lavora parte dell’anno tra New York e il Messico. Perché nella sua produzione (è una maestra della short story, genere che oggi sembra calzare soprattutto a scrittrici donne), scegliamo proprio questo testo come emblema di una narrativa “tra due mondi”? Perché è un racconto fondato su un’unica metafora, il cibo. E perchè, come avviene quando un testo fiunziona (sia lungo come un romanzo, sia breve come una poesia), quella metafora la scava fino alle radici, esplorandone tutta la potenza. Il cibo, dunque: di là c’è l’India con la sua cultura millennaria che vive anche attraverso la sua cucina, e con i suoi mistici digiuni, o con la sua fame, di qua ci sono gli Stati Uniti dove ci si abbuffa di bistecche esagerate cotte in un istante sul barbecue e se si digiuna è per anoressia o per dieta. Tra India e Massachussets, grazie alla figura dell’orientale Arun, ospite degli americani Patton, si intrecciano due famiglie. Ciascuna – tolstoianamente – infelice a suo modo. Desai è in genere maestra di atmosfere delicate e inquietanti. Qui svela una vena inedita, di feroce comicità.
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splendido, lo vado subito a divorare