COSE DELL'ALTRO MONDO

Riccardo Cristiano

Giornalista e scrittore

Dall’Oglio, tutti i perché di una fiaccolata

Mercoledì 13 febbraio, in piazza dell’Esquilino, qui a Roma, davanti alla Basilica di Santa Maria Maggiore, ricorderemo padre Paolo Dall’Oglio con una fiaccolata, perché la luce è un simbolo per i credenti come per i non credenti. So che Paolo è stato espulso dal regime di Assad con l’acquiescenza di molti e poi sequestrato dall’Isis, come milioni di siriani: espulsi da Assad e sequestrati dall’Isis che ci ha impedito di accoglierli chiudendoci gli occhi e paralizzando la nostra capacità di capire. La storia di Paolo dunque è la storia di un popolo intero, rimossa dai libri di storia, nella quale lui ha voluto esserci per portare a Raqqa, nei giorni in cui l’Isis stava per conquistarla, la voce di Dio, cioè lo sguardo affettuoso di uomo che ama il prossimo suo come sé stesso, tanto da rischiare la vita per raggiungerlo nel dolore e non lasciarlo solo. Nessuno lo ha costretto ad andarci, ma la sua coscienza di missionario lo ha costretto ad andarci, per “solidarietà”.

Ora si dice che Paolo possa essere vivo. Secondo l’autorevole Times sarebbe stato offerto insieme ad altri due ostaggi internazionali in cambio di un salva condotto per l’ultima colonna dell’Isis che cerca un disperato riparo dall’assedio dei curdi. La notizia è venuta da fonti curde, ma questi ultimi ufficialmente l’hanno smentita. Gli scenari così sono due: o l’Isis ha bluffato, offrendo una merce preziosa che però non ha più, per salvarsi, o i comandi curdi hanno imposto la smentita perché in questa battaglia vogliono avere le mani libere. Vogliono combatterla e giocarla come ritengono, senza pressioni internazionali o richieste delle piazze occidentali. Perché? E’ noto: in quella colonna potrebbe esserci il sedicente califfo al-Baghdadi. 

Io non so quale ipotesi sia quella vera. So che la prima è plausibile come la seconda, e un prigioniero dell’Isis riuscito a infilarsi tra la popolazione civile evacuata l’altro ieri dal piccolo centro dove i terroristi sono asserragliati ha detto che i prigionieri sono cinquecento, e che c’è una cella speciale per i detenuti europei. Europei…. al plurale. Che interesse aveva a mentire? Nessuno, credo. E’ un uomo in gravissime condizioni di salute, ricoverato in ospedale, che avverte l’esigenze di dire quel che lui sa. Avrà ricompense per questo? Non penso. 

Io non so cosa possa trattare il gruppo di testa dell’Isis, magari al Baghdadi, che in questi giorni sarebbe scampato a un ammutinamento. So che in  queste  condizioni è tremendamente plausibile che padre Paolo sia lì. Se così fosse cosa conterebbe di più? Salvare tre vite o esibire lo scalpo di al-Baghdadi? 

Per me non ci sono dubbi: salvare tre vite (Paolo, un giornalista britannico e una crocerossina neozelandese). Perché? Non solo perché amo Paolo. Ma perché quando un raid aereo determinò la morte del padre politico di al-Baghdadi, al-Zarqawi, quel raid non impedì la nascita dell’Isis, anni dopo. Morto uno Zarqawi se ne fa un altro, se non prevale una politica sensata. Siccome questa politica non si vede, io credo che la salvezza di Paolo vada assolutamente cercata. Perché il danno futuro è già sotto i nostri occhi. Le politiche più sbagliate si delineano, come si delinearono in Iraq dopo il 2003. L’odio così facendo tornerà peggiore di prima. E allora questo  ostaggio innocente e appassionato merita il nostro impegno, almeno per un’ora, a testimoniare  che lo vorremmo  riportare a casa non solo perché é un carissimo amico, un profeta di questo disastro in cui siamo piombati, ma uno dei pochi che ha capito come si potrebbe fare per cambiare corso, e costruire quella fratellanza senza la quale saremo perduti.

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