L'ASINO DI BURIDANO

Massimo Parodi

Professore di Storia della filosofia medievale all'Università Statale di Milano.

Catalogo

Difficile districarsi tra le opposte tentazioni che vengono dalla pubblicazione dei nomi coinvolti nell’inchiesta sui Panama Papers: dal cinismo del già si sapeva all’indignazione del ricchi, evasori e ladri. La quantità di dati e di files emersi dallo studio panamense ed esaminati dall’International consortium of investigative journalists è assolutamente impressionante, inconcepibile da una singola mente umana, destinato al regno dell’indicibile. Lo stesso vale per il numero delle persone comprese negli elenchi che, a partire dall’Espresso, circolano ormai su tutti i giornali e su innumerevoli siti in rete. Varie centinaia sono i nomi di italiani coinvolti in questa vicenda di società costituite per godere di un regime fiscale favorevole con bassa tassazione degli utili e i giornali – sulla base di qualche imprecisato criterio – ne pubblicano un primo elenco di cento, nel quale si trovano nomi di imprenditori, manager, professionisti, uomini di spettacolo e anche di qualche personaggio legato alla criminalità organizzata. Sul sito dell’Espresso compaiono foto e nomi, ci si può cliccare sopra per vedere le singole posizioni, leggere le dichiarazioni rilasciate dagli interessati e, in alcuni casi, esaminare copie di documenti. Manca un dato che potrebbe essere fondamentale e cioè se la costituzione delle famigerate società si configuri come reato e sia servita per coprire comportamenti illeciti, ma questo aspetto viene di solito rimandato a un secondo tempo e non sembra essenziale per la cronaca giornalistica.
Si guardano volti, si leggono vicende economiche e finanziarie, a volte si prova un brivido di inconfessabile piacere, perché quello mi è proprio antipatico con quell’aria di sapere sempre cosa si deve fare e adesso vediamo se era così a modino. Ma resta un retrogusto di guardoneria, di pornografia informativa, di vorrei ma non posso, che deriva essenzialmente dal fatto che quell’elenco non spiega assolutamente niente, dice che alcune cose esistono – e questo si sapeva -, che quelle persone ne approfittano – e questo non si sapeva con precisione – e che poi vedremo se si tratti di reati.
D’accordo che quest’ultima domanda non riguarda né giornalisti né lettori, ma allora questa geometrica potenza investigativa cosa insegna? Non abbiamo elementi per collegare i nomi, non si conoscono le relazioni che probabilmente esistono, si ignorano gli scopi, i metodi e le motivazioni. Resta un catalogo: In Italia seicento e quaranta; / In Alemagna duecento e trentuna; / Cento in Francia, in Turchia novantuna; / Ma in Ispagna son già mille e tre.
Siamo di fronte a quella che Umberto Eco definiva la vertigine della lista che si manifesta ad esempio in Omero, quando, non riuscendo a dire quanti e quali fossero i guerrieri Achei, è costretto a limitarsi al cosiddetto enorme catalogo delle navi, che si conclude idealmente in un eccetera. Ma così non si spiega nulla, non si offrono contesti, relazioni. significati; si espongono nomi, ad alcuni dei quali probabilmente bisognerà anche chiedere scusa, si immaginano folle di tricoteuses telematiche che assistono allo spettacolo e ci si illude di esaltare la nuova potenza dell’informazione. Rimane l’impressione che l’unica vera e possibile informazione in questo caso stia nell’implicito eccetera.

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