L'ASINO DI BURIDANO

Massimo Parodi

Professore di Storia della filosofia medievale all'Università Statale di Milano.

Buon disincanto

Un vero inizio d’anno richiede almeno una modica quantità di buoni propositi e invece si diffondono smoderati propositi palingenetici, tutti al grido di RIcuperare qualcosa, soprattutto valori, atteggiamenti mentali, moralità, rivoluzioni culturali e altre cose di questo genere che, come è noto, non basta volere per poterle ottenere.
Un esempio importante è il bell’articolo di Enzo Bianchi su La Repubblica del 2 gennaio: Il dovere di trovare la fiducia perduta. Intanto una prima domanda: perduta dove? quando? Mio nonno forse la perse nelle trincee della prima guerra mondiale e mio padre forse la perse – nella replica – in Albania o in campo di concentramento in Germania. Persa forse sulle strade insanguinate dal terrorismo di 35/40 anni fa. E non parliamo della fiducia che nutrivano i minatori della rivoluzione industriale, i servi della gleba o gli schiavi dell’aurea età antica.
Sembra proprio che la storia non insegni nulla. Certo sono molte le situazioni e i fenomeni economici e politici che ci impediscono di nutrire grande fiducia nel futuro, ma non credo che la soluzione stia nel cercare di (ri)trovarla; forse sarebbe meglio imparare a vivere in questo mondo e non cercare sempre di illuderci su favole o miti che, partendo da un passato solo immaginato, propongono un futuro altrettanto immaginario.
Bianchi dice addirittura che la nostra nascita si verifica per una spinta alla fiducia nella vita; può essere che sia accaduto qualche volta in gruppi ristretti di happy few, probabilmente aristocratici nell’antico regime, o alto borghesi dopo l’antico regime, ma non certo tra le mondine che partorivano nelle risaie o tra i contadini del Novecento di Bertolucci.
Bianchi stesso si interroga in questi termini: Quali sono i fattori che hanno minato la fiducia che si era creata sulle macerie della seconda guerra mondiale?, ma la risposta è già nella domanda: il problema è che non ci sono più, e tendiamo a dimenticarle, proprio quelle macerie. Sempre le grandi tragedie generano anticorpi e consentono stagioni eroiche e piene di speranza, ma forse non è il caso di rimpiangere la guerra di secessione americana perché ci piacerebbe conoscere un altro Lincoln, l’apartheid perché vorremmo un nuovo Mandela, una bella guerra mondiale per poter vivere anche noi la nostra Resistenza.
È vero che siamo nel disincanto, ma si potrebbe dire anche che finalmente siamo nel disincanto e non credo sia vero che in questa situazione vanno in frantumi e sono calpestate la solidarietà, l’attenzione ai deboli e alle vittime della storia; per la mia esperienza, non ho mai visto tra gli studenti universitari tanto impegno nel volontariato in Italia e all’estero, per non ricordare il grande contributo dato dai volontari alla lotta contro l’epidemia di Ebola.
Bianchi conclude affermando con forza che la fiducia nella vita è ancora possibile, è un dovere e una promessa di cui siamo debitori verso gli altri e verso noi stessi, ma forse ci si potrebbe augurare di imparare a vivere anche senza dover puntare su grandi opzioni etiche come la fiducia. Allora credo che il migliore augurio per il nuovo anno sia di poter trovare – e non ritrovare – la forza di frequentare con ottimismo la realtà per quella che è, di non avere più bisogno di miti edenici o di speranze palingenetiche, di ammirare e magari venerare i maestri della guida spirituale, ma di individuare finalmente anche maestri del disincanto.

  1. Condivido lo sdegno e l’orrore di Riccardo, ma insisto che il Dis-incanto serve proprio a correggere quanto di utopistico e non di utopico c’è in tutti i fondamentalismi e il pensiero forte che nella storia hanno portato appunto all’orrore, per esempio del nazismo e dello stalinismo. Auschwitz nasce appunto dal complesso del nemico e da una ideologia e da una pratica politica che lo hanno creato, non diversamente dal fondamentalismo islamista.

  2. Ma scusate signori: è possibile che nel clima postconciliare che aleggia su questi post, io sia quello che rutta a tavola, ma come la mettiamo col fatto che hanno ammazzato un pezzo della libertà di espressione? Fammi un nome, uno, dei profeti del disincanto ché gli vorrei chiedere che tipo di disincanto prova, oggi, che ci hanno ammazzato un po’ di libertà di stampa. Se quello col loden o senza, quello che va in taxi o a piedi, e si lamenta per la sporcizia dei marciapiedi. Io, senza Wolinski (te lo ricordi quando lo si leggeva su Linus e dissacrava il sesso) mi sento meno libero, privato dei miei diritti. Non provo alcun disincanto. Sono un laico, e i miei valori sono questi. Questa volgare libertà è ciò in cui credo. Ma mi piacerebbe trovare un maestro del disincanto, un santone che mi aiuti a sentirmi libero come ieri, quando potevo ridere di tutto, a partire dal ridere di noi stessi, leggendo Cabu. Perché stasera siamo tutti meno liberi, noi, poveri cretini e puri che non raggiungiamo le vette del disincanto, ma abbiamo la sensazione di essere meno liberi. Vorrei proprio che qualcuno mi aiutasse a trovare la via per affidarmi al disincanto, per poter vivere in pace nel mio cinismo da italietta. Trovare qualcuno che mi aiuti a trovare la forza di frequentare con ottimismo (ma senza alcuna speranza, neh) la realtà per quello che è quando quello che è, è che tutta la redazione di un settimanale è morta per la sola colpa di aver fatto una vignetta. Orrendi esseri mortali che non erano eroi, ma rivendicavano semplicemente il diritto di ridere, anche in modo sgradevole, granguignolesco, che dava fastidio anche a me, ma permetteva ad altri di essere liberi di farlo, anche contro le mie stesse idee. Ma che incantati, fare libera informazione! Che superati (infatti li hanno ammazzati come cani). Già perché io questa forza non la trovo. Perché io stasera voglio sperare ancora nella libertà di opinione e di espressione, e ci devo riuscire di meno? Perché devono essere i fascisti a difendere la conquista democratica della libertà di stampa? Perché più mi si tolgono queste libertà e più cresce la voglia di credere, aumenta l’incanto che siano valori, storici e relativi fin che vuoi, ma valori da trasmettere, virus da diffondere. Come dicevate? Una risata vi seppellirà?

    • Con tutta la buona volontà, non riesco a cogliere una sorta di correità oggettiva tra i fatti di Parigi e il clima postconciliare di questi post, tra il disincanto e l’accettazione del sacrificio della libertà di stampa, tra il riconoscimento della realtà per quello che è e l’accettare con indifferenza di essere meno liberi. E neppure mi pare siano i fascisti, supposti non vittime del disincanto, a difendere la libertà di stampa.
      Frequentare con ottimismo il mondo com’è credo voglia dire anche battersi contro l’incanto di valori inaccettabili, semplicemente – si spera – non attraverso la contrapposizione di una fede a un’altra fede. Si parlava appunto della possibilità o meno di trovare da qualche parte una fiducia da ricuperare, e ci si domandava se e come fosse esistita nella storia di noi cinici europei, che – mi pare – siamo riusciti a fare danni non meno rilevanti di quelli oggi provocati dall’islamismo radicale.

  3. Io direi anche ad Enzo Bianchi che il problema non è tanto ritrovare la fiducia perduta, ma piuttosto, imparare a dare, grazie al Dis-incanto, la fiducia a chi se la merita, perché in Italia, nell’ultimo quarto di secolo, la fiducia, cioè il consenso dei governati, in termini politici, è stata data ad una classe politica che ha agito per il proprio particulare, e non certo in favore dei ceti e dei soggetti che la hanno eletta, allora il Dis-incanto è la condizione fondamentale per non cadere in promesse illusionistiche e deliranti. In termini pratici: contro-informazione. Se il mondo vero è diventato favola, noi dobbiamo dire che la favola è una favola, che le parole debbono essere vere, reali, concrete.

    • Perché fare riferimento all’ultimo quarto di secolo, usando un termine – particulare – che rimanda a una tradizione assai più estesa?

  4. È vero quello che scrive Enzo Bianchi, se una persona non riesce a fidarsi di nessuno, è condannata all’isolamento, imprigionata in una situazione mortifera. Tanto più vero se non riesce e ad aver fiducia nemmeno in se stessa, alla perdita della fiducia corrisponde il crollo del mondo. Ma quella che è una esperienza esistenziale non può essere usata come criterio di analisi della storia. La Fiducia non è la Speranza e non è lo Spirito della Utopia, che possono benissimo andare d’accordo con il Disincanto.
    Utopia significa non accettare il mondo com’è, non dichiarare le resa, ma battersi e lottare per come dovrebbe essere, sapere che il mondo, come dice un verso di Brecht, ha bisogno di essere cambiato e riscattato, che questo cortocircuito tra barbarie e razionalità scientifica, tra progresso e regresso, va oltrepassato, con l’impegno e la testimonianza di tutti.
    Allora io credo che il Disincanto debba essere non l’antagonista della coscienza utopica, ma il suo naturale e inseparabile alleato, il suo correttivo, proprio per evitare illusioni palingenitiche, pessimismi apocalittici e catastrofali. A ciascuno di noi è data una debole speranza messianica, le redenzione deve essere cercata con realismo, pensando che il cammino non è lineare e che durerà fino alla fine dei tempi.
    La Speranza non nasce da facili e ottimistiche rassicurazioni, ma nasce dal dolore e da una necessità di riscatto, di superamento del male radicale in cui siamo tutti immersi: la Speranza è pensare che al di là delle cose come sono, c’è la possibilità, non l’illusione, di come potrebbero essere e di come vorremmo che fossero, nei limiti delle loro possibilità e potenzialità. Così scrive Claudio Magris: Il disincanto è un ossimoro, una contraddizione che l’intelletto non può risolvere che solo la poesia può esprimere e custodire, perché esso dice che l’incanto non c’è ma suggerisce, nel modo e nel tono in cui lo dice, che esso, nonostante tutto, c’è e può riapparire quando meno lo si attende. Una voce ci dice che la vita non ha senso, ma il suo timbro profondo è l’eco di questo senso. Allora: dis-incantati sì, ma non nichilisti.

    • Non mi convince qust’idea che tutto si realizzerà per il meglio «alla fine dei tempi». Mi convince molto di più questo versetto del vangelo di Tommaso:

      Gesù disse: Se coloro che vi guidano vi dicono: “Ecco! Il Regno è nel cielo”, allora gli uccelli del cielo vi saranno prima di voi. Se essi vi dicono: “Il Regno è nel mare”, allora i pesci vi saranno prima di voi. Ma il Regno è dentro di voi ed è fuori di voi. Quando conoscerete voi stessi, sarete conosciuti e saprete che siete figli del Padre Vivente. Ma se non conoscerete voi stessi, allora sarete nella privazione e sarete voi stessi privazione.

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