CROCE E DELIZIE

Corrado Ocone

Filosofo

Ancora su Gentile e il cosiddetto “neoidealismo” italiano

E’ difficile motivare nelle poche righe di un post la mia affermazione, senza dubbio forte, su “Gentile pensatore essenziale”. Posso però dare qualche traccia, anche bibliografica. Credo che il volumetto che Salvatore Natoli pubblicò più di venti anni fa su “Gentile filosofo europeo” (Bollati Boringhieri) conservi tutta la sua validità. Natoli affermava in esso, a ragione, che il cosiddetto “neoidealismo italiano” era stata la modalità di partecipazione del nostro Paese ad un generale ed europeo movimento di messa in crisi filosofica delle categorie epistemiche forti della metafisica occidentale. Una partecipazione che era avvenuta ovviamente a partire dai temi, dal linguaggio e dalle forme della nostra tradizione nazionale. Da questo movimento emergeva da una parte una filosofia dell’Atto che finiva per essere paradossalmente, come con acume ha osservato Vittorio Mathieu, un “idealismo senza idee” (Gentile); dall’altra una concezione pluralistica (i distinti) del trascendentale kantiano (Croce). Da un lato lo sbocco era una messa in crisi della filosofia della conoscenza che da Cartesio aveva dominato l’età moderna, in direzione di un’integrale storicizzazione della realtà (il libro di riferimento è dal primo punto di vista La conclusione della filosofia del conoscere che Guido Calogero pubblicò nel 1938); dall’altro, una complessa e sofisticata “metafisica dell’immanenza” che giustificava l’elemento categoriale e trascendente immettendolo nell’essere stesso attraverso un processo non troppo dissimile da quello utilizzato da Platone nel Sofista allorquando aveva qualificato il negativo come diverso (e quindi il nulla come “non essere ancora”). Il riferimento d’uopo è, in questo secondo caso, la “discussione fra filosofi amici” che tenne impegnati Croce e Gentile nel 1913 sulle pagine della rivista fiorentina “La Voce”, diretta da Giuseppe Prezzolini. E’ nelle pagine di questo confronto o polemica che le posizioni teoretiche dei due maggiori esponenti del neoidealismo si distanziano e chiarificano, molto prima della divaricazione politica sancita dai Manifesti di cui si fecero promotori presso gli intellettuali fascisti (Gentile) e antifascisti (Croce). E pure, nonostante la divaricazione speculativa, le filosofie di Croce e Gentile hanno segnato una stagione alta del pensiero italiano, misconosciuta e banalizzata nel secondo dopoguerra più per motivi politici che non culturali. Si è accusato quella stagione di essere stata “retriva” e “provinciale” quanto era stata precisamente il contrario, come andremo a dimostrare in queste note. Ma, come mi diceva un illustre Maestro, allievo diretto di Croce, a cui ho fatto visita ieri sera, la storia ci insegna che tutto ritorna. E ritornerà anche il tempo dell’idealismo, cioè tout court della serietà e della profondità del pensiero (ogni vera filosofia è idealismo per il solo fatto che non si può non riconoscere l’idealità del finito). Il compito di chi ci crede è cominciare a riannodare le fila di quella tradizione di “filosofia civile”, cioè estroversa verso la storia e la politica. Il momento è propizio: le filosofie della conoscenza e del linguaggio sembrano aver esaurito il proprio corso.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *