Tunisia, centinaia di anni di carcere per tutti gli oppositori

Ramla Dahmani è la sorella della commentatrice politica, giornalista e avvocata tunisina Sonia Dahmani, in carcere nel proprio Paese per aver diffuso notizie false. Anche Ramla, che da una località segreta in Europa ha difeso la sorella cercando di attirare sul suo caso i riflettori della comunità internazionale, è stata condannata alla detenzione. In contumacia, lo scorso 1° luglio. I suoi legali –in assenza di notifica formale – lo hanno scoperto per caso, effettuando una verifica su atti giudiziari. Altrimenti per Ramla, in un qualsiasi viaggio di rientro in Tunisia, si sarebbero aperte le porte della prigione, per così dire, a sorpresa.

“Siamo tutti terrorizzati, molto più che ai tempi di Ben Ali”, spiega a Reset un analista politico tunisino residente con la famiglia in un Paese dell’Unione europea. Chiede l’anonimato totale e che nessun dettaglio della sua vita sia indicato: “Potrei ritrovarmi con una condanna in contumacia anche io, non saperlo ed essere arrestato all’aeroporto”. Ci racconta che nessuno dei suoi conoscenti si sente più sicuro. Non è la prima volta, dall’anno del cosiddetto colpo di Stato “morbido” del presidente Kais Saied – il 25 luglio del 2021, quando la presidenza congelò Parlamento e premier in virtù dell’articolo 80 della vecchia Costituzione, per “stabilizzare” economia e vita politica – che le voci libere tunisine esprimono preoccupazione per la deriva autoritaria intrapresa dalla culla della Primavera democratica araba.

Nelle ultime settimane, però, i toni sono cambiati. La lista di intellettuali, insegnanti, reporter, figure istituzionali o semplici funzionari dello Stato arrestati, intimiditi con provvedimenti restrittivi della libertà o licenziati dalle proprie funzioni continua ad allungarsi. Parimenti, cresce la comunità all’estero, nutrita da donne e uomini di tutti gli schieramenti socio-politici. Persone che in comune hanno un punto nodale: l’aver criticato il regime, in toni accesi oppure blandi, poco importa. Ora sono invisi alla cerchia del presidente Saied. Processati senza le adeguate tutele della legge, su di loro pendono pene anche a 30 anni di prigione.

Bochra Bel Hadj Hamid, avvocata, membro del Parlamento, presidentessa dell’Associazione delle donne democratiche, insignita nel 2018 dal presidente della Repubblica Béji Caid Essebsi dell’onorificenza di Comandante dell’Ordine della Repubblica Tunisina per il suo contributo al Rapporto sulle libertà dei cittadini, vive nascosta in Francia da quasi due anni, a causa di una condanna per terrorismo. 35 anni di detenzione, la pena che dovrebbe scontare. La vicenda di Bochra rientra in un’odissea giudiziaria più ampia, che le principali organizzazioni internazionali per la difesa dei diritti umani definiscono i casi “Complotto 1” e “Complotto 2”: centinaia di cittadine e cittadini tunisini indagati per attentato alla sicurezza del Paese, terrorismo, diffamazione nei confronti della presidenza della Repubblica, attentato all’onorabilità della nazione e via dicendo. Hamida, di formazione politica liberale, non cessa di fare sentire la propria voce, scrivendo lettere e articoli pubblicati da siti informativi che resistono alle pressioni governative.

Si intitola La Tunisia dopo il colpo di Stato del 25 luglio 2021 il rapporto del Centro per gli studi dell’Islam e la democrazia (CSID) che inquadra lo scenario post golpe nella repubblica nordafricana, a partire dall’accentramento definito “senza precedenti” di tutti i poteri nelle mani del raìs, in virtù della nuova Carta costituzionale entrata in vigore un anno dopo il putsch. Il testo attribuisce al raìs potere di “proposta” legislativa (le due Camere lavorano su progetti di legge di formulazione presidenziale), esecutivo (il governo, secondo la Costituzione, “assiste” il presidente) e giudiziario (i giudici sono “suggeriti” al loro Consiglio dal potere politico, la Corte costituzionale è ormai uno spettro).

Un copione già visto nei diversi contesti autoritari, si dirà. Ma un tratto differente che merita di essere notato è il particolare accanimento nei confronti delle donne.

Abir Moussi, avvocata, presidente del Partito Desturiano libero, nostalgico dell’ancien régime di Zine al-Abidine Ben Ali, è in carcere per aver criticato la svolta totalitarista: dall’ottobre del 2023, la sua pena iniziale è stata più volte estesa con l’aggiunta di nuove accuse.

È in prigione dal dicembre 2024 anche Salwa Ghrissa, accademica in pensione, direttrice dell’Associazione per la promozione del diritto alla differenza, un’Ong nota per l’impegno a difesa dei diritti dei migranti, in particolare subsahariani. Ma non è un buon momento per un’attività del genere: la campagna nazionalista della presidenza tunisina poggia sulla teoria che un complotto internazionale punti a sostituire la popolazione arabo-tunisina con quella afro-nera. Nell’aprile di quest’anno, il titolare del dicastero degli Interni Khaled Ennouri ha dichiarato che il governo è pronto a fare fronte a “qualsiasi progetto di alterazione della composizione demografica della popolazione tunisina”. Sono in carcere, sempre per il loro impegno antirazzista, anche Sherifa Riahi e Saadia Mosbah.

Quest’ultima, presidentessa dell’associazione Mnemty (letteralmente, “Il mio sogno”), ha criticato il discorso presidenziale sulle “orde di clandestini pronti a invadere la Tunisia” e l’agire della polizia nei confronti dei cittadini di origine subsahariana, discriminati nella quotidianità.

La repressione nei confronti degli operatori umanitari, dei politici apertamente critici, degli avvocati e dei magistrati si serve della legge 26 anti-terrorismo del 2015, emendata e indurita.

Alla base della maggior parte degli arresti di giornalisti e blogger nell’ultimo triennio vi è il decreto numero 54, incentrato sulla lotta a informazioni e comunicazioni false, con pene che possono giungere fino a dieci anni.

Una decina di articoli del Codice penale tunisino sono stati modificati e sono regolarmente applicati a “reati d’opinione”.

Nel frattempo, resta in carcere l’84enne Rached Ghannouchi, presidente del Parlamento e leader del partito Ennahda: complotto contro la stabilità dello Stato e riciclaggio di denaro sono le accuse nei suoi confronti e nei confronti di tutte le figure apicali della formazione islamista. Ghannouchi dovrà scontare una pena senza precedenti di oltre quarant’anni di carcere ed è malato di Parkinson.

Vive in Francia Moncef Marzouki, già presidente della Repubblica fra il 2011 e il 2014, che dall’estero avrebbe attentato alla sicurezza dello Stato, finendo per accumulare oltre 30 anni di pene detentive. Marzouki, 80enne, è il più agguerrito degli oppositori di Kais Saied.

Sono stati condannati per riciclaggio, tradimento o attentato alla sicurezza ex primi ministri come Youssef Chahed (modernista liberale del defunto partito Nidaa Tounès), Hamadi Jebali (già segretario generale di Ennahdha), Hicham Mechichi (nominato da Saied stesso, che poi lo ha defenestrato nel luglio 2021), Ali Larayedh.

La lista nera include ex ministri, presidenti degli ordini degli avvocati, dei giudici, dei giornalisti; professoresse e professori universitari; economisti e imprenditori di spicco. Tutti traditori della patria e della “vera rivoluzione”, secondo la retorica introdotta dall’inquilino del palazzo di Cartagine, che si pone come paladino del popolo contro corruzione e malaffare.

 

 

Immagine di copertina: alcune manifestanti reggono un cartellone con la scritta: “Rilasciate Sonia Dahmani” e una sua immagine, il 25 aprile 2025 nel corso di una protesta contro la detenzione del legale Ahmed Souab. (Foto di Chedly Ben Ibrahim / NurPhoto via AFP)

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