Taybeh: ora anche i cristiani di Terra Santa sotto la minaccia dei coloni

Gli sconvolgimenti che riguardano l’area che noi chiamiamo Terra Santa, e cioè il luogo dove ha predicato Gesù e che oggi si articola tra Israele e Territori palestinesi, non possono che coinvolgere anche i cristiani che lì vivono. Per capirne la portata è utile partire da un francescano, appassionato studioso di ebraismo poi divenuto Custode di Terra Santa e quindi patriarca latino di Gerusalemme, primo patriarca a divenire cardinale, Pierbattista Pizzaballa. Si può tentare di definirlo? Sì, usando la formula da lui scelta quando è stato eletto nel 2020: il “patriarca del restare”. La usò nella sua prima omelia, visto che restava in Terra Santa dopo dodici anni vissuti da custode, “per camminare tra voi e con voi, […] per testimoniare e imparare il primato di Dio e dei Suoi tempi, la pazienza della semina, l’attesa colma di speranza e certa dei frutti dello Spirito”. Definì il verbo “restare” come il verbo della pazienza matura, dell’attesa vigile, della fedeltà quotidiana e seria, non sentimentale e passeggera. Figlio del Concilio Vaticano II e della Dichiarazione Nostra Aetate, del rapporto fraterno tra cattolici ed ebrei e del dialogo da figli d’Abramo con l’islam, oggi vede davanti a sé sfide terribili. Così tutti i giornali hanno citato le sue iniziative.

Ebbe molto risalto il 17 ottobre 2023, pochi giorni dopo l’assalto terrorista di Hamas del 7 ottobre, la sua affermazione durante un collegamento online: “Sono pronto ad offrirmi come ostaggio al gruppo Hamas se questo potrà portare alla liberazione di tutti gli ostaggi sia israeliani, che stranieri rapiti e trattenuti a Gaza”.

Ora è tornato all’attenzione di molti media dopo che la tensione tra l’unico villaggio interamente cristiano della Cisgiordania, Taybeh, e i coloni israeliani ha subito un’impennata, che prosegue drammatica, dal 7 luglio, deflagrando in incendi che hanno coinvolto una delle chiese più antiche dei territori palestinesi, San Giorgio. Taybeh è stata visitata il 14 luglio dai patriarchi di Gerusalemme, Teofilo III e Pizzaballa. I capi cristiani hanno firmato una dichiarazione letta pubblicamente dal patriarca greco-ortodosso. Nel testo si ricostruiscono gli avvenimenti recenti e si ricorda un cartellone sul quale era scritto “non c’è futuro qui per te”. Il cardinale Pizzaballa ha fatto notare che a Taybeh c’era anche un funzionario della Santa Sede, che ha predisposto un rapporto dettagliatissimo e poi ha denunciato il far west dei Territori occupati: “In tutta la West Bank, e non solo qui, l’unica legge a prevalere ora è quella del potere, di chi ha la forza e non il diritto. Dobbiamo lavorare perché la legge ritorni anche qui, in questa parte del Paese”.

Il 22 luglio il patriarca Pizzaballa, rientrando da Gaza dopo aver visitato insieme a Teofilo III la parrocchia della Sacra Famiglia colpita dall’artiglieria israeliana causando tre morti e alcuni feriti, ha rilasciato una dichiarazione: “L’abbiamo visto: uomini che resistono al sole per ore nella speranza di un semplice pasto. È un’umiliazione difficile da sopportare quando la si vede con i propri occhi. È moralmente inaccettabile e ingiustificabile”. Molto citata è stata anche questa sua affermazione: “Cristo non è assente da Gaza. È lì, crocifisso nei feriti, sepolto sotto le macerie, presente in ogni gesto di misericordia, in ogni mano che consola, in ogni candela accesa nel buio”.

Poi, il 28 luglio, si è recato anche a Jenin e Nablus, dove altri scontri molto gravi e violenti sono in corso da tempo. Qui, ascoltati i racconti e il dolore per l’isolamento sociale e la vulnerabilità economica, ha sottolineato che “la silenziosa perseveranza riflette il perenne spirito di testimonianza cristiana in Terra Santa”.

Questi momenti drammatici si intrecciano con discussioni legislative sul futuro.

Il 24 luglio il Parlamento israeliano, la Knesset, ha approvato una raccomandazione sull’annessione della Cisgiordania. Una raccomandazione non è vincolante, in quanto tale non è stata commentata ufficialmente ma nel 2020, quando era sul tavolo l’annessione di parte della Cisgiordania, il Segretario di Stato Vaticano, cardinale Pietro Parolin, chiese di evitare atti unilaterali nel corso di un incontro ufficiale con gli ambasciatori di Israele e Stati Uniti.  Nel testo si afferma che Giudea e Samaria (i nomi biblici dell’odierna Cisgiordania), sono “parte inseparabile della Terra d’Israele, patria storica, culturale e spirituale del popolo ebraico” e si ribadisce che Israele “ha il diritto naturale, storico e legale su tutti i territori della Terra d’Israele”. Quindi si invita il governo ad “applicare la sovranità, la legge, la giurisdizione e l’amministrazione israeliane su tutte le aree di insediamento ebraico”: per terrasanta.net si tratta di “un segnale politico di non poco conto e un ulteriore passo nella direzione di una possibile annessione formale di parte o della totalità dei Territori occupati nel 1967”.

Questo discorso va considerato a partire dal varo nel 2018 della legge che fa di Israele “la casa nazionale del popolo ebraico”, facendo prevalere la dimensione ebraica rispetto a quella democratica. È stato questo il punto delle obiezioni dell’allora presidente della repubblica, Reuven Rivlin, preoccupato per i diritti delle minoranze, e tra tanti altri del deputato Benny Begin, figure molto rilevanti nella storia della destra israeliana. Israele infatti ha una minoranza della propria popolazione di origine arabo-palestinese. Pizzaballa disse al riguardo: “questa legge farebbe sentire i cittadini arabi di Israele sempre più ospiti a casa loro. Come dire che hanno diritti ma non sono uguali agli altri”. Secondo Pizzaballa “si tratta, comunque, di una legge molto discussa anche all’interno del mondo ebraico e ci sono forti pressioni per cambiarla. Questa proposta fa parte delle dinamiche cui stiamo assistendo in questo periodo segnato da grandi lacerazioni e divisioni interne a Israele. Come Chiese locali seguiamo da vicino l’evoluzione della vicenda. Non vogliamo intervenire troppo per non suscitare polemiche di cui non si sente il bisogno, ma siamo preoccupati per i diritti delle minoranze”.

Tutto questo ha effetti sui luoghi santi, che richiedono una comunità che li renda vivi. Nel 2017, il successore di Pizzaballa alla guida della custodia di Terra Santa, padre Francesco Patton, intervenendo a un incontro ad Assisi ha affermato: “Custodire i luoghi poi significa anche prendersi cura delle persone. Perché attorno ai luoghi santi c’è quasi sempre anche una piccola comunità cristiana, che ha bisogno di essere sostenuta per poter vivere la propria fede. Nei principali luoghi santi c’è anche un’esperienza di convivenza, di incontro e di dialogo ecumenico, che lungo la storia ha conosciuto anche momenti di tensione e di scontro, ma che nella fase attuale conosce soprattutto un tempo di collaborazione sempre più fraterna, come è stato dimostrato durante i lavori di restauro e consolidamento proprio dell’edicola del Santo Sepolcro”. La scelta dei patriarchi Pizzaballa e Teofilo di agire insieme nei frangenti appena citati va chiaramente a rafforzare questa “unione”. Ma resta l’esigenza di una comunità non solo di ordinati, monaci, suore e religiosi, ma anche di fedeli, di uomini e donne. Un discorso che si inserisce nella questione nazionale.

La questione nazionale ha riguardato ovviamente le Chiese e proprio la nomina del cardinale Pizzaballa a patriarca ha segnato l’interruzione della stagione dei patriarchi palestinesi, prima Michel Sabbah e poi Fouad Tawal. Nominato patriarca da Giovanni Paolo II nel 1987, cioè in piena intifada, e rimasto in carica fino al 2008, Sabbah è stato il patriarca della questione nazionale. Dopo la nomina del suo successore ha pubblicato un testo che è ancora un riferimento per molti, Kairos Palestine, dove si legge: “Dio ci ha messo qui come due popoli, e Dio ci dà la capacità, se abbiamo la volontà, di vivere insieme e di stabilire in essa la giustizia e la pace, rendendola in realtà la terra di Dio: ‘La terra è del Signore e tutto ciò che è in essa, il mondo e coloro che lo abitano’ (Sal 24, 1). La nostra presenza in questa terra, come palestinesi cristiani e musulmani, non è casuale, ma piuttosto profondamente radicata nella storia e nella geografia di questa terra, in risonanza con il legame di qualsiasi altro popolo con la terra in cui vive. È stata un’ingiustizia quando siamo stati cacciati. L’Occidente ha cercato di riparare a ciò che gli ebrei avevano subito nei Paesi europei, ma ha riparato a causa nostra e nella nostra terra. Hanno cercato di correggere un’ingiustizia e il risultato è stato una nuova ingiustizia”.

Pizzaballa, dopo la lunga stagione vissuta alla guida della Custodia di Terra Santa, ha portato quale patriarca una nuova visione, o priorità? Si potrebbe forse parlare di una Chiesa-ponte, strumento di comprensione tra i popoli, dopo l’affermazione della questione nazionale. Con attenzione a tutta la regione e a quanto di terribile vi è accaduto negli anni trascorsi, sovente contro i cristiani, nel 2016 ha detto dei leader islamici: “Io ho parlato di reazioni timide. E sì, sono state molto timide. Certamente non tutti, visto che ci sono state lodevoli eccezioni, che in qualche modo danno speranza. Ma bisogna riconoscere che se è vero che le narrative sono diverse e ognuno legge gli eventi in maniera diversa, allo stesso tempo è oggettivo che i leader islamici del medio oriente sono stati molto timidi nel denunciare l’abominio che è in corso”.

Pizzaballa, che da giovane frate scelse lo studio dell’ebraico, è sempre stato attento all’ebraismo, pienamente calato nello spirito della Dichiarazione conciliare Nostra Aetate. Per i rapporti con l’ebraismo, il dicastero per l’unità dei cristiani sottolinea che Nostra Aetate “capovolge poi due millenni di predicazione e di insegnamento quando afferma che la responsabilità per la morte di Gesù non deve essere ascritta a tutti gli ebrei”. E Pizzaballa negli anni trascorsi alla custodia ha fatto tradurre in ebraico i testi della liturgia latina, per la piccola comunità cattolica aveva studiato nelle scuole israeliane.

Questo bagaglio lo ha accompagnato nei lunghi anni in cui è stato Custode di Terra Santa, dal 2004 al 2016, anno in cui è diventato amministratore apostolico del patriarcato prima di divenire patriarca e ora si prova a dover mantenere in piedi la sua visione dopo il pogrom del 7 ottobre. Un anno dopo, nel 2024, ha indetto una giornata di preghiera, digiuno e penitenza   affermando che l’attacco terroristico di Hamas ha fatto “precipitare la Terra Santa, e non solo, in un vortice di violenza e di odio mai visto e mai sperimentato prima”. Una situazione gravissima per tutti, a cominciare dai moderati. Se in Israele si osserva il peso crescente del sionismo religioso, che fa riferimento ai “confini biblici” di Israele, dall’altra parte la percezione degli umori dell’opinione pubblica potrebbe trovarsi nel successo registrato nel 2024 dai Fratelli Musulmani – forza cardine del cosiddetto islam politico – nelle elezioni giordane, dove molti cittadini hanno origini palestinesi. Da allora hanno la maggioranza relativa nel Parlamento giordano.

È lecito temere che la Terra Santa di domani possa diventare incubatrice di un cristianesimo marcatamente pre-conciliare perché portato dal contesto a chiudersi? È un rischio concreto? Certo, la Santa Sede manterrà il potere di nomina dei vertici ecclesiastici ma la sfida per il patriarca della Chiesa-ponte resta. È bene ricordare che la Dichiarazione Nostra Aetate non fu conquista facile. Gariwo ha ricordato che “le novità del Vaticano II erano contrastate, tanto che uno dei principali promotori di esse, il cardinale Bea, subiva dalla destra curiale l’accusa di cripto ebraismo; tanto che, circa l’antisemitismo, l’originaria versione conciliare che lo condannava si sviliva per compromesso a ‘deplorarlo’”. Ci si riferisce a Nostra Aetate, 4, dove si legge: “La Chiesa inoltre, che esecra tutte le persecuzioni contro qualsiasi uomo, memore del patrimonio che essa ha in comune con gli ebrei, e spinta non da motivi politici, ma da religiosa carità evangelica, deplora gli odi, le persecuzioni e tutte le manifestazioni dell’antisemitismo dirette contro gli ebrei in ogni tempo e da chiunque”.

Nostra Aetate ha avviato anche il dialogo con l’islam: “La Chiesa guarda anche con stima i musulmani che adorano l’unico Dio, vivente e sussistente, misericordioso e onnipotente, creatore del cielo e della terra, che ha parlato agli uomini. Essi cercano di sottomettersi con tutto il cuore ai decreti di Dio anche nascosti, come vi si è sottomesso anche Abramo, a cui la fede islamica volentieri si riferisce”. Su questo versante, padre Paolo Dall’Oglio, fondatore della Comunità di Mar Musa, dedita al dialogo islamo-cristiano, ha invocato il passaggio dall’islamofobia all’islamosofia per evitare nuove “afghanizzazioni”, e ha avvertito che “il fondamentalista” crede che fuori dalla vera fede esistano solo false credenze e quindi una falsa umanità.

Nelle rapide dell’oggi è chiaro che la Terra Santa, la sua realtà, ha e avrà rilievo non solo in Terra Santa.

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