Scuola multietnica, da Roma a Cuneo
qui si costruisce l’Italia di domani

Da Reset-Dialogues on Civilizations

Chi non ha figli e non lavora nel mondo della scuola difficilmente può avere un’idea di quanto sia cambiato lo scenario scolastico rispetto a vent’anni fa. La scuola italiana di oggi è il regno del pluralismo culturale, il cuore dell’incontro tra le diversità tanto ambito in altri ambienti e tanto naturale per chi è nato negli anni zero.
Secondo i dati del Ministero dell’Istruzione (anno scolastico 2012/2013), gli alunni con cittadinanza non italiana sono 800 mila (400 mila solo nelle scuole di Roma), di cui il 47,2% sono nati in Italia (seconde generazioni). Nelle scuole dell’infanzia i bambini di origine straniera nati in Italia possono raggiungere l’80% (8 su 10), nelle scuole romane addirittura l’82%. È esemplare il caso della scuola primaria e dell’infanzia Carlo Pisacane di Roma dove quasi la totalità delle classi è formata da bambini di origine straniera. Le principali provenienze nazionali sono: Romania, Albania, Marocco, Cina, Moldavia, mentre nelle scuole di Roma: Romania, Filippine, Perù, Cina, Equador.

Entrare in una classe multiculturale, dunque, significa imbattersi in primo luogo nello stupore di assistere a uno scambio armonioso e fruttuoso tra allievi o tra studenti italiani e di origini diverse. Per loro non esistono parole come accoglienza, integrazione, xenofobia, eurocentrismo. La diversità è normalità e, spesso, anche elemento di fascino, attrazione, curiosità. Eppure, in secondo luogo emerge subito la problematica più complessa vissuta soprattutto nelle classi in cui sono molti gli alunni con cittadinanza non italiana appena arrivati nelle nostre scuole senza conoscere l’italiano (quasi il 4%). In questo segmento si è riscontrato l’aumento più significativo, in particolare nelle scuole secondarie di secondo grado con quasi 180.000 studenti, in gran parte iscritti negli istituti tecnici e professionali.

“Il primo termine da usare quando si comincia a parlare di multiculturalità è il verbo distinguere” sottolinea Vinicio Ongini, maestro per vent’anni, oggi dipendente dell’Ufficio integrazione Alunni stranieri della Direzione generale per lo studente del Ministero dell’Istruzione. “Purtroppo viene etichettato “alunno straniero” sia chi è nato in Italia, e parla bene l’italiano, sia chi è appena arrivato e naturalmente non ha ancora appreso la lingua, spiega Ongini. Quest’ultimo segmento è quello più delicato. Noi lo chiamiamo NAI (nuovi arrivati in Italia), prendendo spunto dalla Francia che definisce in non francofoni NAF. Per i francesi non contano più i bambini stranieri, ma quelli che non parlano il francese”.

La prima distinzione da fare è tra G2, seconde generazioni e NAI. “Chi arriva in Italia senza conoscere l’italiano parte da zero, dunque ha bisogno di supporto e di una programmazione differenziata – sottolinea Cira Rivieccio, insegnante in una scuola romana – ma noi, maestri e professori, spesso siamo abbandonati a noi stessi ed è un peccato perché la multiculturalità è un aspetto della scuola di oggi che dovrebbe essere stimolante ma invece si rivela problematico”.

Proprio per sopperire a questo disagio il Ministero dell’Istruzione ha fatto partire quest’anno un’azione nazionale destinata all’insegnamento dell’italiano. Il progetto è stato destinato a 75 scuole dove è concentrato il maggior numero di nuovi arrivati iscritti in terza media che vengono da Paesi non latini. “Ovviamente il progetto mira a un piano più ampio destinato a tutte le scuole che ne abbiano bisogno, ma per mancanza di fondi è partito solo per il segmento di maggior difficoltà, ossia quegli alunni che vengono da un alfabeto e un sistema linguistico molto diverso dall’italiano e che si trovano in terza media e che quindi dovranno sostenere l’esame e scegliere come proseguire gli studi” spiega Ongini, anche autore del libro Noi domani. Un viaggio nella scuola multiculturale (Laterza, 2011).

I finanziamenti per il sostegno all’apprendimento dell’italiano, dunque, sono andati per ora alle scuole dove c’è una maggiore concentrazione di alunni cinesi, indiani, arabi. “L’Italia è un Paese molto variegato e va usato il termine distinguere anche geograficamente – aggiunge Ongini – I problemi vanno affrontati in maniera diversa in base a dove ci troviamo e che tipo di servizi ci sono nei luoghi. Bisogna valutare se siamo in un paese, in città, in periferia o al centro. In una terza media in montagna, a Barge, provincia di Cuneo, si sono iscritti 18 allievi cinesi, figli di scalpellini. Visto l’elevato numero è stato previsto un doppio finanziamento”.

Non sempre, però, le difficoltà linguistiche vengono superate efficacemente. Quasi 2 alunni stranieri su 10 sono in ritardo nella scuola primaria, più di 4 su 10 nella scuola di primo grado. L’8% degli alunni stranieri viene bocciato nel primo anno della scuola di primo grado, il 12% è bocciato nel primo anno della scuola di secondo grado.

I problemi più grandi si hanno sembrano esserci nel rapportarsi con alunni di origine rom. Su molti fronti “bisogna ammettere il fallimento delle strategie d’inclusione dei rom nella scuola. Sviluppa bene il tema la ricerca di Giorgia Peano (“Bambini rom, alunni rom”, CISU, 2013)” aggiunge Ongini che sottolinea anche quanto siano imprecisi i dati su questo segmento. Secondo un rapporto del MIUR gli alunni rom, sinti e camminanti sono 11.899 e si trovano principalmente a Roma, Milano e Torino. Si registra un calo d’iscritti nella scuola primaria e in quella dell’infanzia e una lieve crescita nelle scuole secondarie di primo grado, ma normalmente nel passaggio dalla primaria alla secondaria solo la metà prosegue gli studi pur essendo nella fascia d’obbligo d’istruzione.

“Quando mi sono iscritto a scuola a Maccarese mi è sembrata così diversa dalla scuola in India. Nessuno si alzava in piedi quando il professore entrava e tutti urlavano in classe. Mi sono sentito smarrito, ma oggi sto bene e il mio migliore amico è un italiano” racconta Ranjit, arrivato dal Punjab a 14 anni, che ha imparato l’italiano grazie alle ore di sostegno in classe. “È stato difficile apprendere la lingua. All’inizio imparavo tutte le materie a memoria. Solo così riuscivo a prendere buoni voti”, racconta, invece, Claudia, arrivata dalla Romania a 8 anni e oggi iscritta all’Istituto Alberghiero di Fiumicino. “Solo molto tempo dopo ho cominciato a studiare capendo quello che leggevo”.

Nonostante le problematiche, bambini e ragazzi provenienti da altri Paesi dimostrano presto di avere una marcia in più perché parlano diverse lingue. Proprio questo grande patrimonio di idiomi entrato nella quotidianità italiana è una delle grandi ricchezze portate dall’immigrazione. Secondo l’Istat, su 194 stati del Mondo, in Italia sono presenti 189 diverse provenienze. C’è anche la Birmania con 12 studenti, di cui 4 presenti a Roma. Per celebrare le diversità e la bellezza dell’incontro e dell’inclusione, la scuola Pisacane di Roma ha organizzato una festa di fine anno venerdì 6 giugno alle 16.30, nel giardino di via Policastro, nel quartiere di Tor Pignattara.

“La presenza di tante lingue è un vero tesoro, uno dei tanti vantaggi della scuola multiculturale – specifica Ongini – per questo il Ministero sta censendo le lingue presenti sul territorio. Il bilinguismo di molti studenti è un’opportunità per gli italiani. Ricordo di un bambino filippino che non parlava italiano, ma era stupito dal fatto che i suoi compagni non riuscivano a comunicare con lui in inglese. A riguardo stiamo sperimentando il progetto “peer education”: l’aiuto reciproco che possono darsi gli alunni. In particolare i ragazzi più esperti, quelli nati in Italia, diventano dei tutor dei nuovi arrivati maturando responsabilità che aiuta anche loro stessi”.

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  1. Sì, ricchezza non valorizzata, lo ricordo bene, quando, 40 anni fa, in una scuola primaria c’era una bambina argentina ed io proponevo che fosse docente della sua lingua alle compagne italiane. Ora si fa. Che meraviglia!

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