Il mio miglior nemico. Storia delle relazioni tra Stati Uniti e Medio Oriente

Forse non tutti sanno che, alla fine del XVIII secolo, la guerra di corsa tra i pirati nordafricani e le flotte commerciali europee imperversava ancora nel Mediterraneo. Ma nel 1801, il pascià di Tripoli, opulenta regione di un Impero Ottomano già in crisi, dichiarò guerra agli Stati Uniti, giovane potenza in ascesa le cui imbarcazioni solcavano anche il mare nostrum.  Washington aveva osato ribellarsi a quei trattati di pace che gli Stati barbareschi avevano già imposto alle potenze europee. L’incontro-scontro tra i due “migliori nemici” di oggi, gli Stati Uniti e i paesi arabo-islamici, si palesò non come uno scontro di civiltà bensì come una vera e propria guerra commerciale, combattuta a suon di rapimenti, blocchi navali e bombardamenti. Condotta da doppiogiochisti americani e tribù arabe rivali, si trasformò ben presto nel primo tentativo messo in atto da Washington di rovesciare il governo di un paese ostile.

L’episodio qui accennato è forse il meno conosciuto dei tanti aneddoti che compongono Il Mio Miglior Nemico. Storia delle relazioni tra Stati Uniti e Medio Oriente  di Jean-Pierre Filiu e David B., una trilogia il cui primo volume, che dal 1783 arriva al 1953, è stato di recente pubblicato in Italia da Rizzoli Lizard.  L’impresa, definita “multimediale” nella prefazione all’edizione italiana, è uno dei più riusciti ed originali esperimenti narrativi di raccontare la Storia a fumetti, frutto dell’incontro tra l’arabista ed ex diplomatico francese Jean-Pierre Filiu e il disegnatore francese David B., noto in Francia e all’estero.

L’esigenza di capire e raccontare come si fosse arrivati alla Guerra del Golfo del 2003, evento tra i più controversi delle relazioni internazionali degli ultimi anni, è stato il punto di partenza da cui gli autori hanno cominciato a lavorare. Il risultato è un’opera che tenta di evidenziare non solo le linee di frattura del rapporto Stati Uniti – Medio Oriente, la genesi e le conseguenze, ma anche le somiglianze tra i due universi, nel tentativo di riportare alla luce i corsi e i ricorsi di una lunga storia in comune.

È così che il primo volume si apre con un episodio dell’epica sumerica risalente a 4400 anni fa, i cui protagonisti, Gilgamesh ed Enkidu, alle prese con la loro guerra preventiva contro il demone Humbaba, vengono accostati a George W. Bush e a Donald Rumsfeld durante la Guerra in Iraq del 2003. “Le crudeltà comunicano nel tempo”, scrivono gli autori. È  un parallelo duro, che spiazza il lettore, ma che alla fine convince e getta le basi di un discorso i cui fili verranno riannodati al termine del terzo volume.

Si prosegue poi tra episodi noti e altri meno conosciuti della Storia, passando dalle guerre corsare, alla dottrina del Destino Manifesto, fino ad arrivare alla corsa al petrolio saudita e iraniano della prima metà del ‘900, con cui si conclude il primo volume.

La rigorosità del lavoro storiografico viene mitigata dal tono irriverente e sardonico con cui l’illustratore ritrae vizi e virtù dei protagonisti storici. Il tratto di David B. non è quello rigoroso e dettagliato del graphic-journalism alla Joe Sacco in Gaza 1956, né somiglia alla linea arrotondata e orientalistica di Craig Thompson in Habibi, volendo citare altre due recenti monumentali opere a fumetti. La matita di David B. è invece originale e sofisticata, il gioco di bianchi e neri sempre puntuale e vigoroso, l’occhio pronto ad individuare la giusta connessione tra immagine e racconto storico. Il suo linguaggio è surreale, pieno di metafore e simboli universalmente comprensibili, frutto di un lavoro e di una ricerca iconografica molto accurati.

Attraverso le illustrazioni, la Storia prende vita davanti agli occhi dei lettori, che vedono troneggiare sulle teste dei pascià ottomani enormi turbanti -ispirati alle miniature orientali- che simboleggiano il loro modo di pensare di fronte al nuovo ami-nemico americano. Ad inizio Novecento invece, la Gran Bretagna diventa un ufficiale dai tre volti che rappresentano i tre tavoli su cui, tra promesse non mantenute e appetiti coloniali, si compì il destino della Palestina. La collusione tra lo shah, il generale Zahedi e l’ambasciata americana che cercano di rovesciare il governo di Mossàdeq diventa invece un enorme mostro mitologico a quattro zampe.

La seconda parte della trilogia, che si apre con la Guerra dei Sei Giorni e arriva al 1979, e il terzo e conclusivo episodio della saga, che racconta le due Guerre del Golfo, usciranno nei prossimi due anni. Nel frattempo, Jean-Pierre Filiu sta lavorando, con un altro disegnatore, ad un’opera a fumetti sulle primavere arabe. In un mondo sempre più interculturale ed interconnesso, ma ancora dominato dalla logica binaria, conflittuale ed asfittica post-11 settembre, un graphic novel in bianco e nero aiuta a sfatare qualche pregiudizio e a restituire ricchezza e molteplicità di colori ai rapporti tra Stati Uniti e Medio Oriente.

Se gestire la diversità culturale è divenuta una delle principale sfide della politica mondiale del XXI secolo, è più che mai necessario raccontare la storia delle relazioni politiche, sociali, economiche ed umane di due universi che la contemporaneità vorrebbe in perenne lotta tra loro, impegnati in un supposto scontro di civiltà dettato da logiche culturali e religiose immaginate in antitesi.

Relazioni che forse devono la loro ragion d’essere al pragmatismo della politica, più che a uno scontro di civiltà culturalmente fondato.


Titolo: Il mio migliore nemico. Storia delle relazioni tra Stati Uniti e Medio Oriente. Prima parte 1783-1953

Autore: Jean-Pierre Filiu e David B.

Editore: Rizzoli Lizard

Pagine: 127

Prezzo: 18 €

Anno di pubblicazione: 2012



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