COSE DELL'ALTRO MONDO

Riccardo Cristiano

Giornalista e scrittore

Civiltà Cattolica su Gerusalemme mi fa pensare a Bruxelles

A differenza di turchi e spagnoli, gli europei hanno avuto la buona idea di non incrociare le diagonali sulla cartina geografica del vecchio continente e costruire lì, nel punto dove si intersecano, la capitale dell’Europa unita. Bruxelles esisteva già, ma non essendo capitale di una grande potenza poteva essere la capitale di tutti. Mancava però una cultura, una valenza culturale. Così, leggendo il bellissimo numero dedicato a Gerusalemme di “Accènti”, il nuovo supplemento monografico de La Civiltà Cattolica, si può pensare che lo statuto di corpus separatum invocato per tanti anni dalla Santa Sede per la città santa sia stato oggi conferito alla capitale UE. Una capitale separata dalle profonde pulsioni europee. Qui emerge un limite della vecchia proposta vaticana per la Città Santa: quale ebreo al mondo avrebbe mai potuto immaginare che il suo paese fosse un corpo separato dalla sua città? Leggendo le accurate ricostruzioni delle posizioni vaticane sulla questione di Gerusalemme si arriva a pensare che se il vecchio continente non poteva scegliere la sua vera città-simbolo, Auschwitz, come sede degli uffici della commissione e del Parlamento europeo visti i tempi dell’adesione polacca, almeno doveva trovare la forza di porre qualche effige di Aristotele, Erodoto, Sofocle, sulle sue banconote. Troppo anche questo? No, l’Europa è senza volto, senza storia, come sarebbe stata percepita una Gerusalemme corpus separatum, avulsa dal suo contesto prima che dalla sua storia. Vivere insieme non è vivere uno accanto all’altro, e così leggendo il bel volume di Civiltà Cattolica si capisce come con l’evolversi del pensiero Vaticano sia passato a vedere Gerusalemme come una città con garanzie internazionali e sovranità nazionali aperte, dove garantire i luoghi di culto vuol dire garantire le comunità che intorno a quei luoghi vivono. Nel maggio 2014 Papa Francesco, il quarto Papa dei tempi moderni a recarsi a Gerusalemme, lo ha detto così: «Sono lieto di poterLa nuovamente incontrare qui a Gerusalemme, città che custodisce i Luoghi Santi cari alle tre grandi religioni che adorano il Dio che chiamò Abramo. I Luoghi Santi non sono musei o monumenti per turisti, ma luoghi dove le comunità dei credenti vivono la loro fede, la loro cultura, le loro iniziative caritative. Perciò vanno perpetuamente salvaguardati nella loro sacralità, tutelando così non solo l’eredità del passato ma anche le persone che li frequentano oggi e li frequenteranno in futuro».

Ma la Santa Sede è stata l’unica a procedere, sognando però di farlo insieme con gli altri, riconoscendo il diritto alla sovranità nazionale di israeliani e palestinesi sulla città, ma con garanzie per tutti. Ricordo il compianto nunzio apostolico Sambi immaginare percorsi affascinanti, ma che non chiudevano gli occhi davanti alle richieste altrui. Per lui occorreva fantasia e duttilità per fare dei simboli non degli steccati, ma dei luoghi d’incontro delle reciproche necessità. Forse lui è stato l’uomo che è andato più vicino a offrire un’idea su come fare di Gerusalemme un luogo d’incontro di sovranità.

Leggendo il saggio scritto negli anni ‘50 dal gesuita Antonio Messineo, che è riprodotto nel volume odierno, si capisce quanto sia stato lungo il cammino solitario della Santa Sede: perché la Chiesa conciliare ha scelto il dialogo, il Medio Oriente purtroppo quando ci ha provato non c’è riuscito, e oggi arretra. Anche la Chiese, o le Chiese, non riescono soltanto ad andare avanti, risentendo del clima locale. Le liti tra custodi o i loro ritrovati sodalizi solo su fatti di loro pertinenza lo indica. Ma seguire il racconto cattolico aiuta a capire perché Gerusalemme non abbia sperimentato il sapore della pace, almeno sin qui. E Bruxelles? Città di servizi, di uffici, di burocrati, Bruxelles poteva diventare la capitale del vivere insieme europeo? Se Gerusalemme si è andata vieppiù caricando di significati identitari per il persistere della guerra, caricandosi di desideri di possesso, poteva Bruxelles trovare le energie per divenire la capitale del vivere insieme di un’Europa di popoli che hanno fatto una scelta accantonando vecchie narrative? Non poteva. Il sovraccarico identitario, prima che religioso, di Gerusalemme in tutte le narrative dimostra quanto questo punto sia stato sottovalutato nel continente che pretende o ha preteso di esportare civiltà, pace, dialogo, diritti umani. Ma cosa parla di popolarità europea nella capitale europea? Senza una cultura l’Europa va svaporando, non certo perché c’è lo spread, ma perché le narrative populiste ci inducono a caricare di valore identitario, di stereotipi che speravamo sepolti, nazisti o scrocconi, quello che senza capirci non riusciremo più ad aggiustare. Come sperimentato in termini molto più alti a Gerusalemme. Queste due storie si intrecciano perché le guerre di religioni come le guerre nazionali coprono altre guerre, di cui meno si parla.

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