Il punto sull’Ucraina dopo Minsk
Tregua in bilico, pace ancora lontana

Da Reset-Dialogues on Civilizartions

Il rapporto del 14 settembre redatto dagli osservatori Osce (Organization for Security and Cooperation in Europe) della Special Monitoring Mission to Ukraine (SMM), racconta di un bombardamento nel mercato Putilovka, distretto di Kievsky, città di Donetsk. Ogni giorno viene compilato un resoconto della giornata, come previsto dagli accordi di Minsk siglati dieci giorni fa: si inquadra la situazione generale nel Donbass, l’arrivo di aiuti, lo stato degli abitanti, la presenza di movimenti di truppe e mezzi sul territorio, e di eventuali azioni militari. Il giorno prima, il 13, è stato registrato l’arrivo di 220 veicoli russi in territorio ucraino, entrati nella regione di Donetsk e certificati dal Ministero Russo per le Emergenze come veicoli da trasporto per aiuti umanitari alle popolazioni. Il convoglio, 193 cargo e 27 veicoli di supporto, secondo quanto riportato, è stato diviso in sei gruppi, e solo il primo formato da 40 camion è stato ispezionato dalle guardie russe poste al confine. Gli altri sono passati senza alcun tipo di controllo.

Ogni giorno chiari segnali fanno dubitare della validità del cessate il fuoco e dell’effettiva volontà di una tregua che alimenti un vero processo di pace, in grado di salvaguardare il diritto all’integrità di un paese, l’Ucraina, che in meno di un anno si è ritrovato ad assumere un ruolo chiave nella geopolitica globale.

Se da un lato si percepisce un piccolo miglioramento della situazione, almeno a Luhansk, con la riapertura di qualche attività commerciale e una maggiore capacità di movimento degli abitanti, dall’altro si capisce come una normalizzazione sia ancora un miraggio, dove continuano a formarsi code per la distribuzione dell’acqua, del cibo e dei medicinali, in quartieri in cui la rete elettrica è ancora un ricordo. Da Mariupol arrivano notizie di resistenza da parte della popolazione civile ai tentativi di occupazione dei separatisti, ed è lì che gli uomini dell’Osce hanno recentemente incontrato il governatore della regione di Donetsk. A loro Serhiy Taruta ha parlato di due tentativi di assalto della città in una settimana, messi in atto dai “ribelli”, e ha ribadito che le forze regolari russe continuano ad essere una potenza trainante nell’area, anche se ora si sono concentrate oltre il confine di Bezimenne, a circa 30 km da Mariupol. Perché il controllo di quel porto, insieme alle due principali città del Donbass, ora “capitali” delle autoproclamate repubbliche, resta un obiettivo strategico, il più vicino al confine russo, e potrebbe aumentare il peso politico dei separatisti nei negoziati, dopo aver già ottenuto l’immunità fra i punti di accordo per i firmatari “locali” del documento del 5 settembre.

Tra l’altro non è un caso che le firme siano quelle non solo dei rappresentanti di Donetsk e Luhansk Alexander Zakarchenko e Igor Plotnisky, nonché del delegato Osce Heidi Tagliavini, ma anche quelle dall’ambasciatore russo in Ucraina Mikhail Zurabov – e non quella di Putin – e di Leonid Kuchma, ex presidente ucraino – e non quella di Poroshenko. Per Putin la firma avrebbe significato l’ammissione di un coinvolgimento diretto del conflitto, mentre da parte Ucraina la scelta dell’ex presidente, in carica dal 1994 al 2005, rappresenta una sorta di garanzia pubblica della volontà di mediazione con l’Est del paese, e di fatto con la Russia. In un’intervista rilasciata il 13 aprile scorso e pubblicata da Radio Free Europe, Kuchma aveva dichiarato già a proposito della Crimea che Kiev non aveva nessuna possibilità di negoziare con la Russia che non ne riconosceva l’attuale governo, e che comunque avrebbe avuto bisogno della mediazione di Europa e Stati Uniti.

Ci sono voluti dei mesi solo per rendere pubblico il ruolo della Russia nel conflitto, inizialmente declassato a guerra civile, a una spinta indipendentista interna, salvo poi ammettere la presenza di combattenti che difficilmente potevano passare per gente del posto. Dall’arrivo del battaglione Vostok ceceno dei primi di giugno fino alla presenza di truppe regolari dell’esercito russo successivamente.

Sta di fatto che la situazione continua a mutare velocemente. Allo stato dell’arte c’è un accordo in dodici punti che prevede:

1 –  Cessate il fuoco immediato e bilaterale
2 –  Monitoraggio Osce e verifica del cessate il fuoco
3 –  Decentramento del potere nel Donbass, con l’impegno del presidente ucraino di presentare un disegno di legge al Parlamento per la concessione di maggiore autonomia alle due regioni, che comunque continuerebbero a fare parte del paese.
4 – Individuazione di una “zona cuscinetto” fra Russia e Ucraina con il monitoraggio dell’Osce
5 – Rilascio dei prigionieri, da entrambi i fronti
6 – Amnistia del governo ucraino per i cittadini dell’est coinvolti nei combattimenti
7 – Dialogo fra governo e separatisti allo scopo di includere le spinte indipendentiste in un discorso nazionale
8 – Invio di aiuti umanitari nelle zone di conflitto
9 – Elezioni locali anticipate ai sensi della legge sull’autogoverno che Poroshenko si è impegnato a presentare in Parlamento
10 – Ritiro dei gruppi di combattenti illegali presenti nel Donbass
11 – Programma di ricostruzione economica per l’Ucraina Orientale
12 – Garanzie di sicurezza per i rappresentanti degli indipendentisti al tavolo delle trattative, ossia immunità per Zakarchenko e Plotnisky

Se il monitoraggio Osce è in corso, il cessate il fuoco di certo non è stato totalmente rispettato, anche se il numero delle vittime è calato, e almeno 3 mila soldati russi, secondo quanto ha riferito lo stesso Poroshenko, hanno lasciato il territorio ucraino. Restano poi le incognite degli aiuti umanitari, che senza efficaci controlli potrebbero potenzialmente rivelare altri flussi di carico, e del ritiro dei combattenti illegali, particolarmente difficile da monitorare.

Tutto il resto è mediazione politica: la legge che il presidente si è impegnato a portare davanti alla Rada dovrebbe ribadire la legittimità dell’uso della lingua russa (che si parla – insieme all’ucraino – anche nel resto del paese), dare maggiore autonomia alla rappresentanza locale e introdurre un regime economico speciale per il Donbass. Un percorso semplice in linea teorica, ma complicato nella pratica, in un’area dove parte delle istituzioni sono state sostituite con le armi e senza un adeguato programma politico e di governo: alcune sedi istituzionali, come i municipi di Donetsk, hanno continuato a lavorare, e dunque a ricevere gli stipendi dal governo di Kiev, mentre altre sono state bloccate, occupate e completamente saccheggiate, come il palazzo della Regione diventato il cuore della nuova “repubblica”. In un’area si è così creata attualmente una sovrapposizione di competenze pari almeno alla mancanza di riferimenti istituzionali chiari, in cui impiegati amministrativi e forze di polizia non sanno a chi fare riferimento. Con le elezioni politiche alle porte, il prossimo 26 ottobre.

Leggi il reportage “Donetsk, Ucraina, capoluogo di provincia. Donetsk, capitale della Repubblica Popolare” di Ilaria Romano

Vai a www.resetdoc.org

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *