Renzi stravince con il 68 per cento. Alle primarie votano in 2 milioni e mezzo.

La Repubblica. “Il trionfo di Renzi: cambio subito il Pd. Vince le primarie con il 68 per cento, al voto in 3 milioni. Letta: lavoriamo assieme per il Paese”. “Cuperlo si ferma al 18 per cento, Civati al 14. Il sindaco: non finisce la sinistra ma un gruppo dirigente. Prodi: fare squadra. La sfida di Berlusconi: pronti a un esecutivo con M5S e Sel”. A fondo pagina: “Ucraina, la rivoluzione per l’Europa. Abbatte la statua di Lenin”.

 

Il Corriere della Sera: “Il trionfo di Renzi: adesso tocca a noi”. “Oltre due milioni e mezzo alle primari, il sindaco nuovo leder del Pd con il 68 per cento”. “Partecipazione al di là delle previsioni. Cuperlo al 18, Civati al 14. ‘Non finisce la sinistra, ma una vecchia classe dirigente’”. A centro la protesta dei “Forconi”. “Il Viminale ordina il sequestro dei mezzo in caso di blocchi”.

 

La Stampa: “’Ora mi gioco tutto in due mesi’. Renzi conquista il Pd con quasi il 70 per cento dei voti: ‘Non abbiamo cambiato campo, ma giocatori’. ‘Si illude chi pensa di poter tornare al proporzionale’. Letta: lavoreremo insieme e faremo squadra”. A centro pagina: “La primavera ucraina abbatte anche Lenin”.

 

L’Unità. “Pd, il trionfo di Renzi”. “Grande successo del sindaco, che sfiora il 70 per cento. Cuperlo e Civati fermi al 18 e al 14. Affluenza oltre ogni previsione: 2,5 milioni. Il vincitore: è la fine di un gruppo dirigente, non della sinistra. Basta correnti”. A fondo pagina: “A tu per tu con Letta: oggi il primo chiarimento”. “Voci di un faccia a faccia prima della fiducia”.

 

Il Giornale: “Renzi sgomina il Pd. Stravince le primarie. E’ un avviso di sfratto a Letta: o si fa quel che dice lui, o tutti a casa”. “Berlusconi lancia i club ‘Forza Silvio’: al voto per prendere il 51 per cento”. A centro pagina, con foto: “Ascoltiamo i forconi anti-governo. Oggi il Paese rischia la paralisi. Ma qualche ragione chi protesta ce l’ha”, di Magdi Cristiano Allam.

 

Renzi

 

L’inviato de La Repubblica a Firenze raccoglie le dichiarazioni di Renzi intorno alle 22.30, quando già i dati sulla vittoria sono solidi. “Tocca a una nuova generazione – dice Renzi. “Coinvolgeremo gli anziani, ma tocca a noi che andavamo alle medie quando cadeva il muro di Berlino”, “questa non è la fine della sinistra, è la fine di un gruppo dirigente della sinistra. Quei giocatori hanno giocato tanto e ora gli diamo il cambio”. Ringrazia Civati: “Caro Pippo, non l’avremmo mai detto che solo in tre anni la Leopolda sarebbe stata la maggioranza nel Pd”. Ringrazia Cuperlo: “Se c’è una persona con cui ho voglia di dialogare dentro il Pd è proprio Cuperlo”, “abbiamo avuto questi voti per scardinare un sistema. Non può bastare essere iscritto al club degli amici per amici per avere un ruolo, non sostituiremo un gruppo dirigente con un altro”. “Non c’è amicizia più grande di chi dice le cose in faccia”, “il Pd da domani mattina metterà tutto il proprio onore nel corretto gioco tra destra e sinistra, nel tagliare un miliardo di euro ai costi della politica, così lo spieghiamo a quelli del Vaffa day”, “non serve avere una tessera di partito per avere una buona idea”, “in un Paese civile non può bastare l’iscrizione al sindacato per fare carriera. Il sindacato deve cambiare con noi”.

Poco più avanti, sullo stesso quotidiano, in un riquadro dal titolo: “E ora la partita con la Cgil avversaria di sempre”, si fa notare che non c’è neanche un renziano nel direttivo della Cgil: è la prima volta che il leader del partito erede anche della tradizione comunista non ha alcun riferimento tra i dirigenti del più grande sindacato italiano.

La Stampa offre alcune delle “frasi del discorso della vittoria” di Renzi e un colloquio con il vincitore, ieri, mentre arrivavano i risultati. Sul governo: “Io patti con Enrico non ne ho. Magari li faremo. Ma per ora non ne ho. E le dico di più: avrei fatto un accordo accordo per andare anche oltre il 2015, ma non capisco lui che vuol fare, cosa ha in testa, e se non capisco, mi spiace, io patti non faccio”. Tra le frasi: “Se mi avete dato la fascia di capitano di questa squadra, mi sento di promettervi che non passerebbe giorno senza lottare su ogni pallone”. “Ai teorici dell’inciucio diciamo: ‘vi è andata male, il bipolarismo è salvo’”.

Su L’Unità i primi dati di un sondaggio commissionato tra il 6 e il 7 dicembre da Tgcom 24 secondo il quale solo il 70 per cento di coloro che votavano per le primarie era rappresentato da elettori che alle politiche dello scorso febbraio avevano votato Pd: il 30 per cento arrivava invece da altri partiti o dall’astensione.

 

Il Corriere della Sera racconta “la resa degli ex Pci”, occupandosi di Cuperlo che, secondo il quotidiano, “è stato portato a picco soprattutto da un apparato ingombrante che lo ha trascinato a fondo, e quindi la sconfitta di Cuperlo è anche la sconfitta del vecchio Pci. Sulla stessa pagina uno scambio di battute con Massimo D’Alema, che in questa intensa campagna non ha lesinato energie, tenendo incontri ovunque, nel suo collegio pugliese. Ma malgrado questo, D’Alema è stato battuto a Foggia dal capolista renziano Ivan Scalfarotto. C’è il rischio scissione? “No, non ci sarà nessuna scissione”, ma “se sarà necessario, se dovessero crearsi determinati presupposti, siamo pronti a dare battaglia”.

Su Il Giornale: “La ‘Ditta’ è ormai chiusa. Addio al Partito comunista. La vittoria di Renzi, leader fuori dalla tradizione, chiude definitivamente la storia Pci. L’ira degli ex: non ci faremo rottamare da lui, la sinistra deve continuare ad avere voce”.

Si cita dunque l’opinione di quello che viene considerato il mentore del candidato della ditta Cuperlo, ovvero Alfredo Reichlin: “Il banco di prova del nuovo segretario del Pd sta nella necsssità di mettere in piedi un partito e non solo una organizzazione elettorale, un partito società, un luogo dove si forma una nuova classe dirigente e dove si possa elaborare un disegno etico e ideale”.

Il tesoriere Sposetti dice: “Mi dicono che Renzi farà una segreteria monocratica, tutta di amici suoi. Ma si ricordi che noi lo consideriamo un osso duro, ma lo siamo anche noi”. Un arcinemico di Renzi, il governatore della Toscana Rossi, sprona alla riscossa: i comitati per Cuperlo ora devono organizzarsi come componente organizzata del Pd perché la sinistra di questo partito deve avere la sua voce e non ci sta ad essere rottamata.

Su La Repubblica: “La ‘Ditta’ degli ex Pci nell’angolo. Bersani: Matteo ti prego non strafare”, “i vecchi dirigenti ‘piallati’. Scalfarotto batte D’Alema”.

Si apprende che anche il capoluogo emiliano ha voltato le spalle all’ex segretario Bersani, trasformandosi in terra di conquista renziana con un impressionante 70 per cento. Dice Bersani: “Ci aspettavamo di più, ma sarò leale”. Anche Sposetti ammette: “Va bene, pensavamo che Cuperlo prendesse di più, ma tra gli iscritti è stata un’altra storia”.

La Repubblica intervista anche Rosy Bindi, che è stata a lungo presidente dell’Assemblea nazionale del Pd. Non si sente “rottamata” e spiega che decidendo di non schierarsi ha scelto di riconoscersi “nel segretario che il popolo delle primarie avrebbe eletto”. Dice ancora: “Renzi dovrà riuscire a tenere unito il partito senza farsi condizionare, non sfugge a nessuno che questo risultato è frutto di una voglia di cambiamento, ma il sindaco di Firenze ha comunque avuto l’appoggio di figure nazionali e locali che non sono espressione di una classe dirigente che nasce oggi. Il suo successo è stato determinato anche dalla capacità di molti di riciclarsi”.

Il Corriere della Sera racconta la “rivoluzione” che ha in mente Renzi per il partito. Innanzitutto ha annunciato che la sua sarà “una segreteria a costo zero” perché chi ne farà parte non prenderà indennità o rimborsi dal partito, ma si accontenterà del proprio stipendio. Coordinatore di questo organismo sarà il fido Luca Lotti. Poi ci saranno molte donne, tra cui la deputata Silvia Fregolent e Deborah Serracchiani, cui dovrebbero andare gli enti locali, a meno che, alla fine, non si preferisca affidarle la presidenza della Assemblea Nazionale (il ruolo che fu di Rosy Bindi). Resterà in segreteria Antonio Funiciello. “Sulla segreteria, comunque, non tratto con nessuno”, ha avvertito Renzi. Il neosegretario intende smantellare i forum e gli innumerevoli dipartimenti messi in piedi da Bersani, con relativi stipendi e segreterie. Gli iscritti verranno consultati sulle questioni principali. “Sennò – dice Renzi – per quale motivo lo abbiamo fatto a fare l’albo degli elettori? Almeno lo usiamo”.

Secondo La Stampa, invece, alla presidenza della Assemblea nazionale, Renzi non esclude possa andare Afredo Reichlin: “Il punto è che deve essere rappresentata al vertice la sinistra – spiega – però certo potrei anche rappresentarla con Scalfarotto… Vediamo”.

 

Secondo La Repubblica stasera Renzi dovrebbe incontrare il premier, e sul piatto ci sarà la legge elettorale. Ma su questo tema il neosegretario è convinto che il governo debba restare fuori. E a leggere un retroscena, Letta non la ostacolerà e ribadirà al neosegretario la sua fede bipolarista. Quanto alla fine del bicameralismo perfetto e alla riduzione del numero dei parlamentari, altre due priorità renziane, il governo avrebbe pronto un testo da portare subito in Consiglio dei ministri. E’ vero, secondo il quotidiano, che la strada della convinvenza non sarà in discesa, e tuttavia la chiusura della finestra elettorale di primavera impone ai due un qualche accordo di reciproco vantaggio.

Su L’Unità Pietro Spataro: “E’ cominciata un’altra epoca”. Dove si legge: “In queste settimane il sindaco ha dato più volte l’impressione di voler segare la seggiola di Letta. Gli è servito per raccogliere i consensi di chi (e non sono pochi) mal sopporta la convivenza forzata anche con un centrodestra depurato da Berlusconi”. E’ giusto che il Pd detti l’agenda, avendo però a cuore “che Letta porti a compimento la sua missione”, consentendo al Parlamento di approvare “le grandi riforme che servono”.

Il Corriere della Sera raccoglie le parole di Enrico Letta dopo la vittoria di Renzi: “Faremo squadra, vedrete”. Il premier sarebbe pronto al confronto su una agenda fino al 2015. Sullo stesso quotidiano si raccolgono ancora le parole del neosegretario Renzi: “Dobbiamo arrivare alle europee di maggio avendo approvato alla Camera la riforma elettorale, e questo è affar nostro, non dell’esecutivo. Quindi bisognerà approvare un pacchetto di tagli ai costi della politica, anche quello prima delle europee, e, sempre per quella scadenza, l’abolizione del Senato dovrà essere passata in prima lettura sia alla Camera che a Palazzo Madama. E non sto parlando di quel fumoso progetto di Quagliariello, ma di trasformare il Senato nella Camera delle autonomie locali, con i presidenti delle Regioni e i sindaci che non prendono nessuna indennità”. Prima di quella data il segretario vuole anche che venga presentato un “piano rivoluzionario per il lavoro” che si occupi “dei sette milioni di non garantiti”.

 

E’ tornato nel suo seggio di Bologna a votare per le primarie Romano Prodi ed ha dichiarato: “le primarie sono il momento dello scontro democratico, quello che io raccomando è che sia il vincitore sia quelli che perderanno abbiano l’obiettivo di fare una squadra diretta da chi ha vinto ma con gli equilibri e le mediazioni che rendono forte un partito politico”. E per Civati, come riferisce la Repubblica, la cosa migliore di queste primarie è “il ritorno di Prodi”.

 

Berlusconi

 

Su Il Giornale i resoconti dalla manifestazione con cui il Cavaliere ha dato il via ai Club “Forza Silvio”: “Dobbiamo convincere almeno la metà degli italiani a dare il loro voto a Forza Italia”, ha detto. Ma poiché l’attuale legge elettorale non garantisce, secondo Berlusconi, un risultato capace di dare un governo stabile ed è stata dichiarata illegittima dalla Corte Costituzionale, Berlusconi, dimostrandosi realista, afferma: “Serve un governo con tutte le forze politiche, anche Sel e Movimento 5 Stelle, per fare una legge elettorale che dia un esito certo delle elezioni e che rispetti il bipolarismo che noi riteniamo il sistema migliore”. Il quotidiano spiega anche che il deus ex machina dell’operazione per il lancio dei primi 1000 club di Forza Italia è il braccio destro dell’ex capo della Protezione civile Bertolaso, Marcello Fiori. Il Cavaliere ha poi auspicato “un voto a maggio, assieme alle elezioni europee”. Nella pagina di fianco: “Contropatto del Cav a Renzi per tornare ai seggi a maggio”. Secondo il quotidiano, peraltro, l’idea di lanciare i club Forza Silvio invitando i big del partito a restarsene a casa non fa dormire sonni tranquilli alla dirigenza.

Un racconto della assemblea di ieri con Berlusconi compare anche su La Stampa, che parla di come sia andata in scena “l’autocelebrazione del leader”: perché il kit distribuito non era quello di Forza Italia, ma quello di “Forza Silvio”, poiché i sondaggi indicano che Forza Silvio è molto più gradito di Forza Italia. Berlusconi ha parlato dei “quattro colpi di Stato” organizzati dalla sinistra per farlo fuori: il primo fu l’invito a comparire inviatogli a Napoli, il secondo i brogli delle elezioni del 2006, il terzo la congiura europea che portò al governo dei tecnici, e l’ultimo la condanna in Cassazione e la decadenza da senatore.

Anche sul Corriere della Sera. “Berlusconi vuole 12 mila club, governo anche con M5S e Sel”. Perché quello attuale “ci pare superato, non piace ai sindacati, agli imprenditori, non ha combinato nulla, ha disdetto tutte le promesse nei nostri confronti”. Sulla stessa pagina Gian Antonio Stella scrive che il delfino incoronato ieri, Marcello Fiori, neo-responsabile della macchina organizzativa, è coinvolto in una inchiesta per abuso d’ufficio continuato legata al suo incarico di commissario straordinario a Pompei. Ci sarebbero all’origine spese “stupefacenti” come una enorme partita di bottiglie di vino comprata a carissimo prezzo, spedite in giro per ambasciate e consolati italiani nel mondo e per due terzi lasciate in un magazzino dove sarebbero state trovate nell’ottobre 2010 dalla nuova Soprintendente. Poi una campagna contro i cani randagi a Pompei.

 

Proseguono poi le polemiche sulla legittimità o meno delle Camere, dopo la sentenza della Corte Costituzionale. Ieri i presidenti emeriti della Consulta Zagrebelsky ed Onida hanno sottolineato che il Parlamento eletto a febbraio “resta nel pieno delle funzioni”, e ieri, come fa sapere il Corriere, il capo dello Stato ha detto di aver apprezzato molto le risposte di questi due giuristi. “Napolitano: le Camere sono legittime. Ma Grillo lo attacca: ‘lui incostituzionale’. Asse con gli azzurri”. Parole di Grillo riferite a Napolitano: “Lui che è stato eletto due volte con il Porcellum è un presidente incostituzionale al quadrato”. Anche su La Repubblica si scrive che Forza Italia e 5Stelle attaccano Napolitano, e si riferiscono le parole del capogruppo FI Brunetta: “Napolitano sta scardinando la Costituzione, a furia di compensare e sopperire”, Napolitano non ha “i poteri e le competenze” per decidere sulla legittimità delle Camere.

 

Sul Giornale: “Napolitano fa la vittima, ma pretese da Cossiga le dimissioni dal Colle”, “oggi si sente sotto attacco, però nel 1991 l’allora leader dei ‘miglioristi’ Pds accusò il Capo dello Stato di “comportamenti abnormi” e non la spuntò.

 

Internazionale: Iran, Ucraina, Europa

 

Su L’Unità Umberto De Giovannangeli si occupa della presa di posizione del Presidente israeliano Peres, sui rapporti con l’Iran. Nel corso di un forum economico, a chi gli chiedeva se fosse disponibile ad incontrare il presidente iraniano Rohani, ha risposto: “Perché no? Io non ho nemici”. “Non ho nemici e non è una questione personale, ma di politiche. Noi vogliamo fare in modo che i nostri nemici diventino amici, e c’è stato un tempo in cui non ci incontravamo, ad esempio, con Arafat”. Allo stesso tempo, Peres ha sottolineato però che l’influenza del Presidente iraniano è “limitata”, perché in Iran ci sono altre “strutture” radicali che potrebbero non sostenere l’apertura di Teheran all’occidente. Pronta la risposta dei falchi, come il ministro degli esteri Lieberman, che ha rilanciato un aut-aut: sanzioni o attacco militare all’Iran. Dietro le aperture di Peres, si spiega, c’è la presa d’atto che l’Iran è divenuto un soggetto imprescindibile per la politica di stabilizzazione nel Grande Medio Oriente. Non è un caso che Teheran stia diventando il crocevia della diplomazia regionale. Ieri, ad esempio, a Teheran è sbarcato il presidente afghano Karzai, in tensione in questi giorni con Washington sulla firma di un accordo che consenta alle truppe Nato di restare in Afghanistan oltre il prossimo anno.

Sul Corriere: “Peres ottimista sull’Iran . Cosa sperano gli israeliani. Netanyahu: col nucleare niente pace con i palestinesi”. Il quotidiano dà notizia di un sondaggio condotto tre settimane fa dal quotidiano Yisrael Hayom, il cui editore è Sheldon Adelson, un amico di Netanyahu, secondo il quale il 65,5 per cento è contrario all’accordo (allora in definizione) conl’Iran.

 

La folla in piazza Maidan, in Ucraina, ha travolto, come racconta La Repubblica, la statua di Lenin: un gruppo di giovani incappucciati avvolti nelle bandiere giallo-blu del partito nazionalista Svoboda ha cacciato a urla e spintonate i pochi poliziotti che la sorvegliavano. Cavi d’acciaio e un camion hanno abbattuto il monumento in pochi minuti. Poi una furiosa demolizione con spranghe e martelli , minacce, “il prossimo sarà Yanukovich”. La piazza è sempre più affollata e incontrollabile. Il quotidiano intervista l’ex presidente ucraino protagonista della rivoluzione arancione Viktor Yushenko: “Il popolo vuole l’Ue, il presidente non può ignorarlo”. Scrive che il caso della ex leader dell’opposizione Tymoshenko è “un falso problema che ha monopolizzato e rallentato la trattativa europea”. L’inchiesta contro di lei “è stata confezionata ad arte sulle attuali leggi ucraine. Continuare a sbatterci la testa non serve a niente. Il problema è politico. Solo l’associazione alla Ue e l’inizio di un processo di democratizzazione potranno portare alla correzione di questa ingiustizia e di tante altre”. L’errore è stato invece porre il problema come una sorta di ricatto reciproco: “voi la liberate e noi vi associamo alla Ue”.

 

Sullo stesso quotidiano una analisi di Lucio Caracciolo, che ammonisce a non identificare la piazza che reclama le dimissioni del Presidente Yanukovich con gli ultranazionalisti di Svoboda o con i giovanotti in passamontagna nero che esprimono l’ala violenta del Movimento: “E’ una protesta diffusa, spontanea, talvolta contraddittoria”, che gli stessi partiti di opposizione, indeboliti dai narcisismi dei capi, faticano ad orientare. Il vero collante che tiene insieme la protesta è il rifiuto della Russia, perché l’idea nazionale ucraina si definisce in opposizione alla Mosca imperiale.

 

Su La Stampa: “Kiev, il gigante Klitschko abbatte Lenin”, “Il pugile campione guida un milione di manifestanti. La folla decapita la statua simbolo dell’Urss”. Di Anna Zafesova. Si scrive anche che in settimana a Kiev arriverà l’Alto rappresentante della politica estera Ue Catherine Ashton. E sulla stessa pagina, Mimmo Candito racconta “quando la piazza in rivolta manda in frantumi la storia”, “Da Stalin a Saddam, un rito delle rivoluzioni”.

Il Corriere della Sera scrive che si è trattato della più grande manifestazione dai tempi della Rivoluzione arancione. Ma anche che il presidente tedesco Joachin Guack ha annunciato che non assisterà ai giochi olimpionici di Sochi di febbraio, cui il presidente russo Putin tiene molto, tanto da passare in questa cittadina moltissimo tempo. Dalla presidenza federale tedesca si sono affrettati a precisare che “non andare” non significa automaticamente “boicottare”, ma -scrive il quotidiano- sono in pochi a pensare che Gauck non abbia voluto prendere posizione sulla legislazione anti-gay russa con un gesto forte. Un gesto in contrasto con la posizione della cancelliera Merkel, che si era espressa contro il boicottaggio.

 

Su La Repubblica una intervista all’ambasciatore tedesco Reinhard Schafers. Parla del nuovo accordo di coalizione tra Cdu ed Spd e dice che non influirà più di tanto nella politica europea. “La Germania non cambierà rotta”. Spiega anche che una idea tedesca è quella di “accordi contrattuali” dell’Europa con i singoli Paesi sulle riforme: “Gli accordi contrattuali non sono che una nuova dimensione della politica europea. Gli elementi veramente determinanti sono già stati decisi. Il six pack o il two pack sono stati approvati in passato”, “oggi stiamo parlando di un modo di attuare quanto è stato già deciso, ed è una attuazione in parte su base volontaria”. Insomma, “è uno strumento per fare pressione su alcuni Paesi, soprattutto per fare progressi più rapidi. Un modo per accelerare le riforme”. Questo naturalmente riguarda anche l’Italia: “Gli italiani stessi sono i primi a parlarne, non siamo noi. Tutto questo ovviamente non riguarda solo l’Italia, ma l’Italia è un candidato”. Riconosce che l’Italia ha già compiuto il primo passo dei due necessari: “Ha messo in ordine i conti pubblici. I saldi della finanza pubblica italiana sono a posto come quelli tedeschi, a confronto di tanti altri”. L’altra faccia della medaglia sono “le riforme strutturali del sistema produttivo e istituzionale”. Quali incentivi o aiuti finanziari si prevedono in contropartita ai programmi di questi contratti? “E’ un po’ presto per dirlo. Della dimensione finanziaria degli accordi si parlerà questo mese al vertice europeo. La Germania è aperta a suggerimenti. Non abbiamo una idea già prefissata”.

Su La Stampa, una lunga intervista al premier spagnolo Rajoy: “Ora crescita e integrazione per il futuro dell’Europa”, “sono certo che anche Berlino lavorerà in questa direzione. Da due mesi disoccupazione in calo, i sacrifici hanno avuto senso”. Sulle riforme strutturali: “ne abbiamo già fatte molte, dal lavoro alla pubblica amministrazione. Bisogna continuare”, “ciò ha prodotto più flessibilità, più competitività della nostra economia”.

 

E poi

 

Dal Corriere della Sera un caso che riguarda Londra: l’Autorità indipendente Ipsa, incaricato di stabilire gli stipendi dei deputati, ha decretato un aumento dell’11 per cento, ma i diretti interessati si sono ribellati promettendo di non accettare l’incremento. Danny Alexander, sottosegretario al tesoro LibDem dichiara che la decisione dell’Ipsa è “completamente incomprensibile” e spiega che “non è il momento” ricordando che gli altri dipendenti pubblici possono avvalersi di un incremento massimo dell’1 per cento. Il laburista Ed Balls definisce l’aumento “assurdo”, conservatore Hammond, ministro della difesa, precisa che non accetterà le 7600 sterline annue in più alle quali avrà diritto a partire dal maggio 2015 e si dice certo che tutto il consiglio dei ministri agirà come lui: “Il premier David Cameron vorrà una presa di posizione forte e decisa su questo argomento”. Fuori dal coro il laburista Straw, che non si candiderà alle prossime elezioni: “la realtà è che se vogliamo che la politica attiri gente da tutti i settori e tutte le classi sociali dobbiamo assicurarci che offra uno stipendio dignitoso anche per chi non ha alle spalle una famiglia ricca, un conto in banca e una tenuta in campagna”, afferma, riferendosi chiaramente al premier Cameron o al Cancelliere dello Scacchiere Osborne. L’aspetto paradossale della vicenda è che l’Ipsa era stata creata dopo lo scandalo delle spese parlamentari di qualche anno fa per evitare conflitti di interessi.

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