L’Egitto colpisce l’Isis mentre si aspetta l’Onu

Il Corriere della Sera: “Pioggia di bombe egiziane sull’Isis”. “Raid in Libia dopo la strage di copti”. “Renzi frena: non è tempo di interventi militari”. “Hollande: si riunisca l’Onu”. “Il premier di Tripoli: agite o avrete i terroristi in Italia”. “Il Viminale: migranti usati come armi”.
In evidenza a centro pagina: “L’idea di Prodi come mediatore”. “La candidatura alle NAzioni Unite”.
E, quanto alla linea del governo italiano: “La linea del premier: ‘L’intervento soltanto con il sì di Obama e Putin'”.
“La maschera del nemico” è il titolo dell’editoriale di Sergio Romano.
A centro pagina: “La Grecia boccia l’offerta europea. L’ultimatum: decida entro venerdì”.
Accanto: “Falso in bilancio. Nel nuovo patto sparite le soglie”.
A fondo pagina i dati sulle iscrizioni nelle scuole: “Scientifico batte classico. Cinque a uno. In otto anni il liceo Umanistico ha perso la metà degli iscritti. Impennata del Linguistico”.

La Repubblica: “Tripoli: ‘Agite o l’Is arriva a Roma’. Renzi frena sull’intervento militare”. “La Francia chiede la riunione del Consiglio di sicurezza Onu”. “Raid egiziani sulla Libia”.
Di spalla: “Le porte aperte del Quirinale sul barocco di Papi e re”.
A centro pagina: “Dietro front sulle frequenze tv. Resta lo scontro tra Rai e Mediaset”.
Accanto: “Atene rifiuta il piano Ue. Ultimatum da Bruxelles”.
In evidenza in prima anche una intervista alla Presidente della Camera: “Boldrini: basta tagliola, non si fanno riforme in un’aula semivuota”.
A fondo pagina una lettera di Umberto Veronesi: “L’importanza di dire ‘io non sono il mio tumore”.
La Stampa: “Intervento in Libia, Renzi frena”, “’Niente isterismi, aspettiamo l’Onu’. Primi raid egiziani contro le basi dell’Is”, “Forse domani la riunione del Consiglio di Sicurezza. Il premier libico: fate presto, la minaccia all’Italia è seria”.
La grande foto che campeggia sotto questo titolo ha immortalato la disperazione di un parente di uno dei 21 egiziani copti decapitati dall’Is.
A sinistra l’editoriale del direttore Mario Calabresi: “L’illusione che non ci riguardi” (“Viviamo circondati dalle crisi, facciamo finta che non ci siano”, scrive, riferendosi tanto alla crisi ucraina che alla Libia, che “ci è venuta addosso” con tutto “il suo carico di pericoli e destabilizzazione”).
A centro pagina: “La Grecia rompe con l’Europa”, “’Proposte assurde’. L’ultimatum di Bruxelles: decida entro venerdì”, “Nulla di fatto alla riunione sul piano di salvataggio. Varoufakis: alla fine ci sarà un’intesa”.
A destra: “C’è la prova: Yara salì sul furgone di Bossetti”.
E il richiamo ad un’intervista della manager che ha creato il servizio Uber: “’Io, manager Uber, da mesi sotto scorta’”, “E oggi a Torino protesta di 2000 tassisti italiani contro il servizio di driver”.

Il Fatto: “La retromarcia su Tripoli”, “renzi più prudente gela le fregole interventiste di Gentiloni e Pinotti: ‘Senza l’Onu non si fa nulla’. L’Egitto vendica i 21 cristiani decapitati e bombarda le postazioni del Califfato. Il governo libico a Roma: ‘Aiutateci o il jihad arriva in Italia’”.
Al tema è dedicato l’editoriale di Antonio Padellaro, dal titolo “Armiamoci e partite” (“che l’Italia si trovi in primissima linea è un dato di fatto”, sia perché un missile Scud potrebbe essere lanciato dal Golfo della Sirte verso Lampedusa, sia perché 200mila migranti potrebbero sbarcare sulle nostre coste: “come al solito, invece di convocare un gabinetto di guerra, perché nel pieno di una guerra ci troviamo, il consueto teatrino italiano mette in scena la solita pochade: armiamoci e partite”).
Una foto in prima per il premier greco sotto il titolo: “Grecia-Europa, Tsipras se ne va? (pure dall’euro?)”, “La Grecia rompe le trattative con l’Eurogruppo: le proposte di Bruxelles sono inaccettabili. Ultimatum: due giorni per scegliere tra troika e default”.
In taglio basso: “Molise, mai più senza la metro da 24 milioni”, “La rete stradale è un groviera, ma la giunta dà l’ok al collegamento fra Matrice (1.071 abitanti) a Bojano (7.946). ‘E’ indispensabile’ certifica lo studio Proter dell’arch. Frattura e dell’ing. Pilarella, rispettivamente presidente e direttore generale della Regione”.
Sulla politica italiana: “Oggi al Quirinale salgono Vendola e Brunetta (solo)”, “Il premier incassa l’isolamento del ‘falco’ di FI e medita di poter riallacciare il dialogo con il Caimano. Nessuno sconto alla sinistra del Pd”. Sul tema delle riforme costituzionali, il richiamo a un’intervista del quotidiano a Paolo Maddalena, ex giudice costituzionale, che dice: “Riforme sballate, lo Statuto albertino era meglio”.
E il direttore Marco Travaglio firma l’editoriale dal titolo “Lo spirito prostituente”.

Il Giornale: “Arriva l’Isis, armiamoci”. “Basta col pacifismo”. “Sos da Tripoli, ma Renzi ora frena: ‘Non è tempo di intervenire'”. “Per forza, abbiamo smantellato la Difesa”.
“Berlusconi: sulla Libia noi responsabili, attaccare Gheddafi fu un errore”.
In prima un articolo dello storico Giordano Bruno Guerri: “L’Africa, l’Ucraina, la Grecia: sono gli stessi fronti del ’45”.
A centro pagina, con foto, una intervista a Franco Zeffirelli: “Io, odiato dai comunisti e scampato a un attentato”.
Di spalla: “Neonati morti e soccorsi ai vip: così Crocetta umilia la Sicilia”. “Regione allo sbando”.
Ancora a centro pagina: “Falso in bilancio, la giravolta del premier. Il governo vira a sinistra. Annunciato il cambio della norma: cancellate le soglie di non punibilità”.

Il Sole 24 Ore: “L’Europa gela Atene. Ultimatum sul piano Ue”. “‘La risposta della Grecia deve arrivare entro giovedì'”. Di spalla: “Libia, raid egiziani contro l’Isis”. “Renzi frena: aspettiamo l’Onu”. “Riunione al Viminale, massima allerta ma non c’è emergenza”. “La Francia chiede una decisione del Consiglio di sicurezza”.
A centro pagina: “Falso in bilancio, via le soglie”. “Le sanzioni saranno graduate in base al volume d’affari delle società”. “Pronto l’emendamento del governo”. “Si allungano i termini di prescrizione su concussione e corruzione”.
In alto: “Mattarella apre il Quirinale, si potrà visitare tutti i giorni”. E poi: “Renzi, dialogo sulle riforme ma niente veti”, ovvero le parole del premier dopo la Direzione Pd di ieri.

Libia, Isis, Italia

Il Fatto, pagina 2: “Il Califfo può attendere, Renzi frena sulla Libia”, “Nella direzione Pd il presidente del Consiglio smentisce i suoi ministri: senza l’ombrello dell’Onu non si va da nessuna parte. Meglio trattare”. Venerdì -scrive il quotidiano- “aveva mandato avanti Paolo Gentiloni, ministro degli Esteri. Che a Sky aveva detto ‘Siamo pronti a combattere con l’Onu’. Poi, lo stesso premier, sabato al Tg1 era partito in quarta: ‘Non si può dormire’ rispetto alla situazione in Libia. Roberta Pinotti, ministro della Difesa, così diceva in un’intervista a Il Messaggero domenica: ‘L’Italia è pronta a guidare una missione Onu, mandando almeno 5.000 uomini’. E il ministro Alfano, ieri a Repubblica: ‘Non c’è più tempo da perdere, il califfato è alle porte di casa, l’Onu si muova’”. Ma ieri in direzione Pd il presidente e segretario ha spiegato: in Libia “non sono arrivate le colonne dell’Isis, ma è accaduto che alcune milizie hanno voluto fare dell’Isis il proprio punto di riferimento perché affascinate dalla sua comunicazione”. Vicini e meno vicini al premier “insistono sul fatto che Renzi in realtà non ha mai detto nulla di diverso rispetto alla necessità di agire sotto l’egida dell’Onu”: secondo Il Fatto “il premier, dopo aver mandato avanti i suoi ministri con le minacce, ha corretto il tiro, nel tentativo di fare pressione su Onu e Europa”.
Su La Stampa: “Libia, Renzi stoppa i suoi ministri: ‘Non è tempo di fare la guerra’”, “’Aspettare che l’Onu lavori un po’ più convintamente sul tema della Libia’. Il leader leghista attacca: ‘Un governo di incapaci’. Domani Gentiolini alla Camera”.
E alla pagina seguente il “retroscena” di Fabio Martini sottolinea che “il governo ha giocato d’anticipo per far parte del gruppo di testa”. Il Consiglio di Sicurezza Onu, spiega Martini, sarà investito nei prossimi giorni da una risoluzione Egitto-Francia per dare una veste internazionale all’intervento armato in Libia: “con un ruolo di primo piano per la Francia nostra concorrente (sul petrolio) perché la caccia anti-Isis non si limiterà alla Libia ma investirà anche aree dove i francesi sono già presenti”. Se il Consiglio, Russia permettendo, darà il via libera, a quel punto saranno aperte le “iscrizioni” per partecipare alla missione, e per Roma si tratterà non del “se” partecipare, ma del “come”. E in vista delle future sfere di influenza, l’Italia potrà rivendicare di far parte del gruppo di testa che ha promosso la missione, visto che “l’intuito e la velocità di Renzi si sono rivelate ‘armi pesanti’”, anche grazie alle informazioni provenienti dai nostri servizi, che in Libia sono ancora i più informati.
Sul Corriere il “retroscena” è firmato da Maria Teresa Meli. A Renzi premerebbe chiarire che “l’Italia non è un Paese interventista”, nel senso che “da soli non ci muoviamo”, e che non servono “avventure militari improvvisate”
Il Fatto intervista Pietro Batacchi, direttore della Rivista italiana Difesa: sottolinea che i ranghi dell’Is in Libia sono costituiti da bande locali attirate dal marchio, ma anche da scissionisti della forte e numerosa Lybian Shield, -ovvero la milizia ombrello legata alla Fratellanza musulmana e a realtà salafite, che sotiene il governo di Tripoli- e da consiglieri del nucleo originario jihadista infiltratisi dalla Cirenaica. Di quali armi dispongono? Dal materiale video disponibile, sembrerebbero in possesso di pick-up con mitragliatrici, razzi RPG, qualche mortaio e lanciarazzo. Non sembrano avere armi più pesanti come carri armati e blindati. Ma su Twitter hanno assicurato di avere missili Scud. Batacchi: “E’ propaganda per alzare la posta. Gli Scud di cui disponeva la Libia di Gheddafi sono stati smantellati nell’ambito dell’accordo trilaterale con Usa e Regno Unito tra il 2004 e il 2009 e ciò che restava dell’arsenale è stato distrutto nei raid Nato del 2011”.
Perché è così difficile per le forze libiche fedeli al governo riconosciuto internazionalmente fermare l’Isis? “Il problema -spiega Batacchi- è che le forze del governo legittimo di Tobruk devono combattere anche i miliziani e i soldati del governo di Tripoli, quello non riconosciuto dalla comunità internazionale. Per questo la comunità internazionale non è intervenuta”.
Alla pagina seguente, ancora su Il Fatto: “Il Colle non mette l’elmetto. Per adesso ‘occorre tempo’”, “Napolitano appoggiò la coalizione di volenterosi che bombardò il rais anche contro il parere dell’allora premier Berlusconi. Oggi la situazione è diversa”, “Dal Colle parlano di ‘attesa vigilante’. Mattarella già confessò la propria ‘sofferenza di cattolico’ dopo la missione in Kosovo”.
Su La Repubblica si spiega che non è “realisticamente” più possibile un intervento militare a tutto campo in Libia, perché “sarebbe un rischio insostenibile per le democrazie occidentali, anche a fronte dei pericoli che il paese ci pone. Un’azione possibile con finalità di peace-keeping o anche di peace-enforcing (mantenere la pace oppure imporre la pace) doveva essere annunciata nel 2011 alla fine dell’operazione Nato. Oggi è impossibile per questi motivi: le milizie, e non solo i gruppi terroristici, non accetterebbero di sottomettersi a una forza militare, anche targata Onu. Ci sarebbero atti di ritorsione contro i militari stranieri, che costringerebbero in pochi mesi i governi intervenuti a ritirare le loro truppe (è avvenuto in un contesto molto meno pericoloso in Somalia)”.
Sul Sole 24 Ore Alberto Negri si chiede se “possiamo fare a meno della Libia”, o meglio se “la Libia può fare a meno di noi”, e ricorda che “persino per i jihadisti affiliati al Califfato potrebbe risultare difficile fare in Libia quello che all’Isil è riuscito in Siria, mettendo sotto controllo i pozzi dell’Est ed esportando l’oro nero con i tubi clandestini in Turchia e Iraq”. Negri scrive che oggi “la Francia, facendo di nuovo appello all’Onu, si schiera con l’Egitto, appoggiato da Mosca, nella guerra in Cirenaica dove la Total ha i maggiori investimenti energetici”. Negri cita Kissinger, secondo cui “le nazioni non hanno amici o nemici permanenti ma soltanto interessi. I nostri, con una spartizione in sfere di influenza, li stanno decidendo i nostri “amici”: dell’ex Libia, se va bene, ci resterà la Tripolitania”.
La Repubblica intervista il vicario aposticoli Giovanni Vincenzo Martinelli: “Resto, da da 40 anni mai così difficile”. Dice che tuttavia “il Paese può risorgere”.
Anche sul Corriere: “Il vescovo di Tripoli: ‘Che mi taglino pure la testa’”.
Su Il Giornale un articolo di Gian Micalessin: “‘Arriva l’Isis’. E l’Italia aspetta l’Onu”. “Il premier libico dà l’allarme, ma non possiamo agire senza un piano. Così ci affidiamo alle mosse di Hollande”.
Su Il Corriere Paolo Valentino scrive che il premier italiano sarebbe puntando – come “game changer” – sulla figura di Romano Prodi, nome che il governo vorrebbe “spendere nella partita libica. Anche se al momento si tratta solo di un’ipotesi, sia pure largamente discussa, ci sono indicazioni diverse e concordanti che sia l’ex presidente del Consiglio la personalità su cui punterà l’Italia, per affiancare il mediatore in carica delle Nazioni Unite, Bernardino León”, di cui il governo italiano sarebbe “insoddisfatto”. “A favore di Prodi, che ha di fatto già espresso la sua disponibilità a un eventuale incarico, giocano non solo la grande esperienza internazionale, la perfetta conoscenza del complicato dossier nordafricano e il prestigio di cui gode, ma anche il fatto che la scorsa estate furono proprio le fazioni libiche a indicarlo come mediatore gradito e ascoltato”, scrive Paolo Valentino sul quotidiano. Inoltre tra Renzi e Prodi “dopo mesi di gelo” sarebbe “tornato il sereno”.

Isis ed Egitto

Il Corriere intervista l’ambasciatore egiziano in Italia Amr Helmy, che spera che il Consiglio di sicurezza Onu decida la costruzione di una coalizione internazionale, “una forza di intervento”. Per le truppe di terra in Libia comunque “bisogna aspettare”, “non penso che manderemo mai truppe di terra”, ma “i bombardamenti” dal cielo “non bastano”.
La Stampa dedica le sue prime tre pagine alla crisi libica. “L’Egitto vendica i copti decapitati, bombe sull’Isis a Bengasi e Sirte”, titola a pagina 2 il quotidiano parlando del “primo blitz di un Paese straniero. Il premier Al Thani: la minaccia per l’Italia è reale. Rappresaglia di terroristi, rapiti altri 35 cristiani. Duecentomila pronti a fuggire”. Scrive Guido Ruotolo che si tende a dimenticare che è in corso il tentativo del delegato straordinario Onu Bernardino Leon, di trovare un possibile accordo per una tregua, per un governo di riconciliazione nazionale. E sempre più concreto è il rischio di una contaminazione terroristica di tutto il Maghreb: “il precipitare della situazione sta spingendo le diverse milizie a esplorare la strada del dialogo”. E sulla stessa pagina, da segnalare, un’intervista dello stesso Ruotolo al leader della fazione di Zintan (una delle più forti del Paese, con il maggior numero di uomini e meglio armata). La fazione controllava l’aeroporto di Tripoli ed è alleata con il generale lealista Haftar e il Parlamento di Tobruk. Si chiama Mustafa El Barouni e sottolinea che è difficile fare una stima di quanti siano i miliziani Isis (“i nostri confini non sono pattugliati, chiunque può entrare in Libia”). Si lavora ad una tregua tra le fazioni di Zintan e Misurata e El Barouni dice “Zintan non ha mai avuto un nemico. E’ stata costretta a difendersi dagli attacchi di Misurata”. Cosa pensa della ipotesi di un intervento militare sotto la bandiera Onu? “Un intervento militare di terra sarebbe sbagliato”, “firmiamo una tregua fra di noi” e “ci pensiamo noi a sconfiggere il terrorismo. La comunità internazionale ci dia le armi”.
Alla pagina seguente, un ampio retroscena di Maurizio Molinari, corrispondente da Gerusalemme sul ruolo dell’Egitto: “Così Al Sisi si candida a guidare la grande coalizione anti-jihad”, “Mosca pronta a dare il consenso. Il via libera dell’Onu in tempi rapidi”. Il presidente egiziano, spiega Molinari, ha letto la decapitazione dei 21 copti come una minaccia diretta alla sicurezza nazionale e, nell’arco di 24 ore, è passato al contrattacco sul fronte diplomatico e militare: “il timore di Al Sisi è un Egitto accerchiato da guerriglie jihadiste – Ansar Al sharia in Libia e Bayyt al Maqdis in Sinai- entrambe agli ordini del Califfo”. Molinari scrive poi che “dietro Al sisi c’è il nuovo re saudita Salman che, in qualità di ministro della Difesa, è stato fra i registi politici della coalizione anti-Isis impegnata in Siria e in Iraq. Ed ora vuole estenderla alle aree del Maghreb dove i jihadisti sono più pericolosi, ovvero la Libia e il Nord Mali”. Si tratterebbe di costruire attorno all’intesa tra Francia ed Egitto una coalizione di Paesi europei ed arabi. Quanto agli Emirati arabi uniti, la rapidità con cui il presidente bin Zayed al-Nahayan ha espresso sostegno ad Al Sisi per “sradicare la minaccia terroristica” lascia intendere che i suoi jet già affianchino quelli egiziani. Per Al Sisi, che non partecipa all’iniziativa militare anti-Isis in Iraq e Siria, significa secondo Molinari ritagliarsi il ruolo di Paese guida del fronte occidentale della guerra al Califfo jihadista.

Grecia

“La Grecia rompe con l’Europa. Venerdì ultima chiamata”, “Atene:proposte assurde. Ma poi Varoufakis frena:troveremo un accordo. E Lagarde avverte: senza il completamento del piano niente fondi dal Fmi”. titola La Stampa. Scrive il corrispondente a Bruxelles Marco Zatterin che il premier Tsipras “al termine della terza ripresa” è finito “nell’angolo del ring europeo”: “il suo ministro delle Finanze, Yanis Varoufakis, ha rifiutato la mediazione e ha rotto con i colleghi dell’Eurogruppo. Ora, se non ha in serbo un colpo segreto, per la Grecia restano solo due strade. Tirare dritto, fare scadere il 28 febbraio il piano di salvataggio internazionale, rimanere senza soldi e sperare in una soluzione che scongiuri la bancarotta. Oppure può accogliere l’invito di Bruxelles , chiedere un’altra riunione in casa Eurolandia, negoziare l’estensione flessibile ma condizionata del programma d’aiuti, così da guadagnare tempo per l’avvio di una nuova fase”.
In basso, sulla stessa pagina, un’analisi dello stesso Zatterin racconta che “i peggiori nemici di Tsipras sono Irlanda, Spagna e Portogallo”, “I Paesi ‘salvati’ dalla Troika: stiamo perdendo la pazienza”.
Secondo Daniel Gros, su Il Sole 24 Ore, “senza la troika sarebbe peggio” e ricorda che “il problema di Atene “ora non è la sostenibilità di un debito che matura in 20-30 anni e porta a tassi di interesse molto bassi; la questione reale riguarda i pochi pagamenti al Fmi e alla Bce che scadono quest’anno – pagamenti che il nuovo governo ha promesso di estinguere. Tuttavia per mantenere questa promessa (e assumere più lavoratori), la Grecia avrà bisogno di un maggiore supporto finanziario dai Paesi dell’Eurozona”.
Sullo stesso quotidiano, alle “colpe della Germania”, è dedicato un articolo di Vincenzo Visco, che ricorda come storicamente da una parte gli interessi dei creditori sono stati storicamente ben rappresentati” e “i debitori dal canto loro hanno sempre aspirato alla cancellazione o all’alleggerimento dei loro debiti sostenuti spesso (fin dai tempi di Roma o di Atene) da politici “democratici” o populisti in cerca di consenso”, e invoca un superamento del “perbenismo europeista che paralizza l’autonoma iniziativa degli Stati appiattendo i governi sugli interessi tedeschi che non sono oggi quelli dell’intera Europa”.
“Ma è già troppo tardi, economia greca da due mesi al punto di non ritorno”, scrive Federico Fubini su La Repubblica, dove si citano i dati di The Economist, secondo le quali le entrate fiscali di Atene sono già crollate del 20 per cento, le banche hanno perso oltre 20 miliardi andati all’estero e la Grecia è già in “profondo rosso”.
Il Messaggero intervista Giacomo Vaciago: “‘Congeliamo il debito e aiutiamoli a crescere'”. Vaciago propone di “consolidare” il debito, di “congelarlo” per almeno venti anni e concentrarsi sulle “questioni serie”, “imponendo” ad Atene di “diventare un Paese normale”.

Danimarca

Francesca Paci, inviata de La Stampa in Danimarca, racconta di come la città di Aarhus abbia avviato un tentativo di anti-radicalizzazione per recuperare i giovani che sentono l’appello del jihad in Siria. Dice uno dei volontari di questi centri: “Lavoro con chi torna dalla Siria ma anche chi vuole andare, sono quasi sempre studenti superiori convinti di trovare nella causa siriana la missione di un bravo musulmano, li aiuto a fare i compiti, spiego loro che restare qui non significa tradire il Corano”.
Sul Corriere si cita Barak Tzfanya, della comunità ebraica di Copenhagen, che dice: “‘In questi ultimi due anni ho scritto lettere su lettere per spiegare a tutti che noi ebrei non ci sentiamo al sicuro, che abbiamo paura e che certi comportamenti e certe parole portano odio'”.
Sullo stesso quotidiano si racconta dei “fiori in ricordo dell’assassino che dividono gli islamici”, e si cita l’imam della moschea di Copenhagen che “da dovuto prendere le distanze”.
Su Il Giornale si legge che “la Danimarca non vede il pericolo” per via dei mazzi di fiori lasciati nel luogo in cui la polizia ha ucciso Omar El Hussein.
Su La Repubblica parla Kurt Westergaard, l’autore danese delle vignette su Maometto “che fecero infuriare il mondo arabo”. “L’intera Danimarca ha paura. Ma alla paura sono abituato. Semmai sono arrabbiato. Furibondo”. “Il titolo: “La satira non si fermerà”.

Politica italiana

La Repubblica intervista la Presidente della Camera Boldrini, “dopo le giornate convulse della discussione sulle riforme”. Boldrini lancia un “appello”: “Il premier si adoperi per abbassare il livello di scontro”.
Sullo stesso quotidiano Goffredo De MArchis racconta il “pressing di Matteo” su Forza Italia: “Difficile trattare con Berlusconi, ormai è isolato”. In vista del voto definitivo sulla riforma costituzionale il Pd vuole evitare l’Aula del Senato mezza vuota.
Il Sole spiega che in una testo ancora non definitivo il governo sarebbe orientato a far cadere le “soglie di non punibilità” sul falso in bilancio: “viene introdotta una differenziazione legata al volume d’affari della società con un doppio binario di punibilità: da 2 a 6 anni al di sopra di un certo volume d’affari e da 1 a 3 anni al di sotto. Questi – a quanto si apprende – i contenuti essenziali dell’emendamento del governo, in dirittura d’arrivo”. Si sta ancora riflettendo sul volume di affari “a cui legare il doppio binario sanzionatorio. Una cifra di riferimento, sempre a quanto si apprende, sarebbe quella di 600mila euro, ma un approfondimento è ancora in corso”. Il testo, quando sarà pronto, sarà presentato in Commissione giustizia del Senato dove si sta discutendo il ddl anticorruzione.

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