La Cassazione condanna Berlusconi.

 

La Repubblica: “Berlusconi, la condanna è definitiva. La Cassazione: correggere solo l’interdizione. Il Cavaliere ai domiciliari o ai servizi sociali. Colpevole di frode fiscale, confermati i 4 anni di detenzione. La Corte d’Appello dovrà ricalcolare il divieto di cariche pubbliche. Ma per la legge decade da senatore ed è incandidabile” A centro pagina: “L’arringa tv contro i giudici: resto in campo. Il Pdl dichiara di non voler far cadere il governo, poi il videomessaggio dell’ex premier”. L’analisi di Claudio Tito è titolata “Quel proclama eversivo”, l’editoriale di Ezio Mauro “Le conseguenze della verità”.

 

Il Corriere della Sera: “Berlusconi condannato: ma resto in campo. Non è più candidabile e un voto al Senato potrebbe farlo decadere da parlamentare. Il Cavaliere reagisce: violenza terribile, mi tolgono la libertà, avanti con Forza Italia”. A centro pagina: “Epifani: eseguire la sentenza. Il governo ora è a rischio”.

 

La Stampa: “Berlusconi condannato: non lascio”. “Processo Mediaset: perderà il titolo di Cavaliere, tempi lunghi prima che decada da senatore”. “Il segretario Pd: ‘Eseguire la sentenza senza risse’”.

A centro pagina: “Snowden, asilo da Putin”.

 

Il Sole 24 Ore: “Berlusconi condannato, interdizione da ridefinire. Il Cavaliere: accanimento, resto in campo. Napolitano: ora riforma della giustizia. Letta: prevalga interesse Paese”. “La Cassazione conferma la pena di 4 anni per frode fiscale e rinvia alla Corte d’Appello di Milano la decisione sugli anni di esclusione dai pubblici uffici. I legali: ricorso in Europa”.

 

Europa: “Condannato per sempre. La Cassazione conferma la colpevolezza e la pena detentiva”.

 

Il Fatto quotidiano: “Condannato il delinquente. Il governo ormai è un morto che cammina”.

 

L’Unità: “Condannato”. In prima anche un richiamo alla situazione parlamentare del Cavaliere: “Berlusconi può decadere subito. La legge anticorruzione prevede l’incandidabilità sopravvenuta”. A centro pagina: “Il Pd: rispettare la legge, no a forzature Pdl”.

 

Il Foglio: “Accanimento ad personam e viltà in una sola sentenza”. “Il verdetto sarà rispettato ma è politicamente e civilmente nullo”.

 

Il Giornale: “Berlusconi, non è finita. Confermata la condanna a 4 anni. Sentenza politica. Il Cav: ‘Non ci sto. Rifaccio Forza Italia’. Il Pdl è unito, i ministri non lasciano. Il Pd minaccia il governo. Sibillino messaggio di Napolitano ai giudici. Tradito anche lui?”.

A fondo pagina una “intervista esclusiva”: “La Shalabayeva: ‘Mio marito è vittima di una vendetta’”.

 

Libero: “Risorgerò”. Uno degli articoli richiamati in prima pagina parla del Pdl e dell’esecutivo: “Silvio: ‘State calmi, state calmi’. Ore drammatiche per il governo”.

 

Berlusconi

 

Il Corriere della Sera parla delle “conseguenze” della sentenza, e spiega che “alle prossime elezioni, in qualunque data si tengano, il capo del Pdl non potrà candidarsi: l’articolo 1 del decreto legislativo 31 dicembre 2012 varato dal governo Monti come testo unico sulla incandidalità prevede infatti che ‘non possono essere candidati e non possono comunque ricoprire la carica di deputato e di senatore coloro che hanno riportato condanne definitive a pene superiori a due anni di reclusione per delitti non colposi consumati o tentati, per i quali sia prevista le pena della reclusione non inferiore a quattro anni’, e la frode fiscale è tra questi”. Questa incandidabilità opera “indipendentemente” dalla pena accessoria della interdizione temporanea dai pubblici uffici. Questa incandidabilità dura almeno sei anni. Inoltre, spiega il quotidiano, la legge Monti prevede che dopo la condanna la Camera di appartenenza del parlamentare delibera si sensi dell’articolo 66 della Costituzione, quello in base al quale ciascuna Camera giudica dei titoli di ammissione dei suoi componenti. Insomma: appena il pm comunicherà la condanna definitiva al Senato, questo potrà fare decadere da parlamentare Berlusconi. Infine, Berlusconi dovrà restituire il suo passaporto, anche quello diplomatico, di cui dispone come ex premier.

 

La Stampa scrive che appena verrà notificata al Parlamento la sentenza della Cassazione, il senatore del centrodestra Augello, relatore sulla questione incandidabilità per Berlusconi, dovrà integrare questa sua relazione con la “sopravvenuta incandidabilità”. In Giunta verrà esaminato il caso, il relatore farà la sua proposta, e sarà la Giunta a determinare la decadenza da Senatore: ma a questo punto inizia una fase che è chiamata di “contestazione”, durante la quale Berlusconi può presentare memorie e chiedere di essere ascoltato. Al termine di questa fase la giunta vota una proposta che viene presentata all’Aula. Inizierà quindi il dibattito in Senato, se 20 senatori lo chiedono ci sarà un voto segreto. Il Presidente della Giunta delle elezioni Dario Stefano, di Sel, sostiene che nell’arco di un mese dalla notifica della Cassazione si potrà arrivare ad una decisione, ma La Stampa ricorda che, ad esempio, nel caso Previti, la procedura per dichiararlo decaduto durò ben nove mesi, malgrado ci fosse una maggioranza di centrosinistra.

 

Su La Repubblica Ezio Mauro firma un editoriale dal titolo: “Le conseguenze della verità”. L’incipit: “Il falso miracolo imprenditoriale che nella leggenda di comodo aveva generato e continuamente rigenerava l’avventura politica di Silvio Berlusconi ieri ha rivelato la sua natura fraudolenta, trascinando nella rovina venti anni di storia politica travagliata del nostro Paese”. Poi, più avanti, Mauro scrive che “il crimine è accertato, e tutto il mondo oggi sa che che Berlusconi ha frodato il fisco, la sua azienda, gli altri azionisti e il mercato, per costruirsi una provvista illecita di fondi esteri da usare per alterare un altro mercato, quello delicatissimo della politica”.

Berlusconi “proverà a trasferire la sua tragedia personale dentro la maggioranza e nelle istituzioni”, e Mauro invita la sinistra a non nascondere “la testa dentro la sabbia”. “Non è la destra che deve decidere se può restare al governo dopo questa sentenza. E’ la sinistra. Perché la pronuncia della Cassazione non è politica. Ma il quadro che rivela è politicamente devastante. Per questo chi pensa di ignorarlo, per sopravvivere, avrà una vita breve e senz’anima”.

 

Su L’Unità il direttore Claudio Sardo scrive che “il destino del governo Letta, checchè ne dicano i sostenitori di Berlusconi, è anzitutto nelle mani del Pdl. Dipenderà dalle reazioni istituzionali (la ripetizione di atti eversivi, come la marcia verso il tribunale di Milano, o la richiesta di sospensione dei lavori parlamentari, sarebbe intollerabile)”. Sardo sottolinea poi: “Il governo Letta però non può vivere a tutti i costi. Può vivere solo se viene ripristinata una divisione dei poteri. Per questo, la decadenza di Berlusconi da senatore (per incompatibilità sopravvenuta) deve scattare senza valutazioni di opportunità ma solo sulla base del diritto”.

 

I quotidiani registrano la reazione del segretario Pd Epifani, che La Repubblica sintetizza così: “’Le sentenze di applicano, niente forzature o salta tutto’”. Ha detto Epifani: “La condanna di Berlusconi è un atto di grande rilevanza. Per quanto ci riguarda questa sentenza va non solo, come è naturale, rispettata, ma va eseguita e resa applicabile”. Cosa significa, si chiede La Repubblica? Che il Pd è pronto a votare in Parlamento l’incandidabilità di Berlusconi, visto che Epifani ha spiegato che questo avverrebbe “nel caso in cui ce ne fosse bisogno” e “a questo si uniformeranno i nostri gruppi parlamentari”. Sulla stessa pagina, una intervista a Pippo Civati: “Una alleanza ormai insostenibile. Legge elettorale e poi subito al voto”.

Anche sul Corriere della Sera: “Epifani non fa sconti: eseguire la sentenza. Ora il Pd apre la pratica incandidabilità”.

 

Antonio Padellaro, direttore de Il Fatto, firma l’editoriale dal titolo “Larghe intese con uno così?”, e scrive: “Un necrologio lo merita anche il governo del Letta nipote che, al di là delle frasi di circostanza sulla tenuta della maggioranza chiamata ad affrontare i problemi del Paese eccetera eccetera, assomiglia molto a un morto che cammina. Già nella primavera prossima in coincidenza con le elezioni Europee si potrebbe tornare alle urne. Una deriva che neppure la riforma della giustizia ‘allo studio’ offerta da Napolitano al leader pregiudicato (proprio la persona giusta) servirà ad evitare. Bisognava pensarci prima: si sapeva dall’inizio che le questioni giudiziarie del miliardario di Arcore erano come una bomba ad orologeria”.

 

Sul Corriere della Sera Antonio Polito scrive che la condanna di Berlusconi “obbligherà il Pd a fronteggiare un nuovo attacco del partito giustizialista, il quale pretende che sia Epifani a rendere esecutiva la sentenza, aprendo una crisi di governo”. Ma proprio chi ha strillato che la giustizia deve essere indipendente dalla politica e viceversa, dovrebbe oggi dimostrare coerenza accettando il principio della separazione dei poteri”, e l’unico modo di ammortizzare “il colpo micidiale subito ieri dal sistema politico italiano sarebbe quello di seguire l’invito rivoltogli dal Capo dello Stato” a mettere un punto e a capo e a ripartire, anche affrontando, “finalmente, il grande problema della amministrazione della giustizia”. “D’altra parte chi propone soluzioni diverse avrebbe il dovere di spiegare anche cosa ci si guadagnerebbe oggi da dove ripartimmo diciannove anni fa. Avrebbe il dovere di dimostrare anche a chi o a che cosa servirebbe una crisi di governo”.

 

Su La Stampa il direttore Mario Calabresi ammonisce in un editoriale: “Ma il conto non lo paghi il Paese”. “Gli italiani assistono, la gran parte come spettatori, a questo finale. Guardano da fuori chi ha in mano il loro futuro, e scrutano per vedere se verrà appiccato l’incendio. Sono convinto, scrive Calabresi, che quelli che lo auspicano siano una minoranza. Non perché la maggioranza ami l’idea di un governo di larghe intese, ma perché prevale lo sfinimento e la nausea verso la guerra totale”.

 

Su Il Foglio il direttore Giuliano Ferrara scrive che la sentenza, “di fronte a quel che conta, storia e sovranità popolare, è politicamente e civilmente nulla”: una parte del Paese “giudica Berlusconi un reo”, e per loro “la sentenza arriva con venti anni di ritardo”. Se Berlusconi fosse stato assolto- scrive ancora Ferrara – non uno di questi compatrioti avrebbe cambiato idea su di lui e sul senso della sua parabola”. Poi c’è un’altra parte del Paese che lo ha seguito e votato e considerato “per quello che era: una persona dotata di un carisma personale importante, di un linguaggio nuovo sulla scena pubblica”, denunciando come ingiusto, speciale e sinistro, “anticostituzionale”, il trattamento giudiziario al quale è stato sottoposto in decine di processi, molti dei quali si sono conclusi con plateali assoluzioni. “Questa Italia ha votato Berlusconi malgrado gli accanimenti e le persecuzioni, consentendogli di vincere tre volte le elezioni politiche e di determinare con le ultime una situazione in cui, con il patrocinio politico del Capo dello Stato, si è costituito un governo di larga coalizione come unica soluzione possibile nel rispetto del principio di realtà”.

 

Su Il Giornale Alessandro Sallusti scrive: “Napolitano dice che la giustizia ora la si puiò anche riformare. Uno scambio di prigionieri: la testa di Berlusconi, condannato ieri in via definitiva a quattro anni di carcere e a una non ancora definita sospensione dai pubblici uffici, in cambio di una aggiustatina, chissà quando e chissà come, al cancro della giustizia che sta divorando il Paese”. Scrive ancora Sallusti: “Napolitano aveva giocato la sua ricandidatura assicurando una pacificazione nazionale sul cui presupposto è nato il governo delle larghe intese. Ora, o il Capo dello Stato ha preso in giro il Pdl e i suoi elettori, oppure è stato a sua volta preso per i fondelli”. “Nei prossimi giorni capiremo quale delle due versioni è quella giusta, perché nessuna sentenza, neppure della Cassazione, è irrevocabile”.

 

Libero pubblica il testo del videomessaggio di Berlusconi (“Forza Italia, resto in campo”), e in uno degli articoli spiega che “a Berlusconi ormai restano due strade”. Il Cavaliere potrebbe candidare “la figlia primogenita e provare a rivincere le elezioni”, oppure “affidarsi a Napolitano sperando nella grazia”. Maurizio Belpietro, direttore del quotidiano, spiega le ipotesi in campo, ovvero le elezioni o la grazia: “Nel primo caso il Cavaliere sarebbe incandidabile (per effetto della legge Monti) e agli arresti, ma paradossalmente sarebbe forte della ingiustizia subita ma, mettendo in lista la figlia Marina, avrebbe la possibilità di spuntarla. Nel secondo dovrebbe affidarsi al Presidente Napolitano, accettando di star buono e di non dare fuoco alle polveri, e aspettare il provvedimento di clemenza che il Capo dello Stato ha ventilato. Controindicazioni: nella prima il centrodestra si troverebbe a dover battere non Bersani o Epifani, ma Renzi, e non è detto che gli riesca. Nella seconda il Cavaliere dovrebbe accettare di farsi da parte, ritirandosi in cambio della grazia, misura che gli consentirebbe di evitare la condanna di ieri, ma non quelle future, come i sette anni che incombono per il caso Ruby”.

 

Per L’Unità “Napolitano blinda letta: ‘Serve coesione. Il Parlamento riformi la giustizia’”. Il quotidiano riproduce una ampia sintesi della nota diffusa ieri dal Quirinale dopo la sentenza: “Attorno al processo in Cassazione sul caso Mediaset e all’attesa della sentenza, il clima è stato più rispettoso e disteso che in occasione di altri procedimenti in cui era coinvolto l’onorevole Berlusconi. Penso che ciò sia stato positivo per tutti. Ritengo ed auspico che possano ora aprirsi condizioni più favorevoli per l’esame, in Parlamento, di quei problemi relativi alla amministrazione della giustizia già efficacemente prospettati nella relazione del gruppo di lavoro da me istituito il 30 marzo scorso”. Infine, quello che per L’Unità è un monito di Napolitano ai partiti: “Per uscire dalla crisi in cui si trova e per darsi una nuova prospettiva di sviluppo, il Paese ha bisogno di ritrovare serenità e coesione su temi istituzionali di cruciale importanza che lo hanno visto per troppi anni aspramente diviso e impotente a riformarsi”, ha scritto il Capo dello Stato.

Il Corriere della Sera precisa però che la nota del Quirinale sarebbe stata scritta prima della sentenza, e diffusa poco dopo la lettura della sentenza stessa: ha ascoltato il verdetto in tv, il testo gli è parso adeguato e lo ha dettato.

 

Internazionale

 

Scrive il Corriere della Sera che Edward Snowden, l’ex programmatore della agenzia per la sicurezza Usa, ha ottenuto asilo politico in Russia per un anno ed ha lasciato l’aeroporto di Mosca. E’ probabile – scrive il Corriere – che se Snowden rimarrà in Russia Obama cancellerà la visita a Mosca in programma per i primi di settembre. Il portavoce del Presidente Usa ha detto che l’Amministrazione sta valutando il da farsi ed ha aggiunto: “Siamo estremamente delusi per la decisione presa. Snowden non è un dissidente, ma è accusato di aver diffuso informazioni segrete. Il quotidiano ricorda che il presidente russo Putin aveva subordinato la concessione dell’asilo al fatto che Snowden cessasse di danneggiare i partner americane. Lui lo ha promesso, ma proprio l’altroieri il britannico Guardian ha pubblicato nuove rivelazioni che, ha spiegato, aveva ricevuto in precedenza. Snowden ieri ha ringraziato la Russia, ed ha accusato l’Amministrazione Obama di “non aver mostrato alcun rispetto per la legge internazionale” e per quella nazionale.

La Stampa scrive che in Russia crescono i sostenitori di Snowden: Pavel Durov, il fondatore di V Kontakte, il Facebook russo che ha oltre 100 milioni di utenti, gli ha offerto un lavoro nella società.

La Repubblica scrive che dal punto di vista legale Snowden può andare dove vuole, a patto di rimanere entro i confini russi: “Più realisticamente, è sotto costante controllo dei servizi segreti russi che lo seguono fin dal suo arrivo ad Hong Kong, e che sono ufficialmente responsabili della sua sicurezza”. E poco pare credibile al quotidiano la versione del suo avvocato russo Kutcherena, che il quotidiano descrive come “buon amico dei vertici delle forze dell’ordine”: il legale ha sostenuto che a Snowden è stato consegnato il visto, “lui ha fatto la valigia. Ha passato i controlli e poi ha preso un taxi al parcheggio. Non so dove sia andato”. La caccia al nascondiglio della “talpa” sarà lunga e “con poche speranze”, scrive La Repubblica: “di certo avrà dovuto accettare alcune condizioni e, tra queste, quella di tenere un profilo basso”. Ma “nessuno, nemmeno l’avvocato Kutcherena, può credere che dopo tanti giorni (39), Snowden non abbia mai rivelato segreti importanti ai suoi angeli custodi dell’aeroporto di Mosca”. Il quotidiano intervista il filosofo liberal americano Michael Wazer che, alla domanda se si possa considerare Snowden un traditore, nega assolutamente questa definizione: “ha compiuto un atto di disobbedienza civile”, “come me la pensa anche la maggioranza degli americani interpellati dai sondaggi. Snowden è un ‘whistleblower’, uno che ‘spiffera’ la verità: non un criminale. Ha compiuto un atto coraggioso: ha divulgato informazioni che avrebbero diovuto essere di dominio pubblico. Chi si comporta così, sa che lo aspetta una punizione. Ma il governo ha minacciato una condanna a tal punto eccessiva, che Snowden ha fatto bene a fuggire”. Lei si aspettava l’intransigenza del presidente Obama? Walzer: “Obama è meno ‘trasparente’ rispetto alle sue promesse. Però, nell’euforia della sua elezione, nel 2008, molti gli hanno costruito un’immagine più ‘liberal’ di quanto egli sia. In realtà Obama è un centrista: un uomo politico estremamente cauto”. Quale è a suo avviso il contributo di Snowden? “Dopo l’approvazione del Patriot Act in seguito agli attentati del 2001, né la gente né il Congresso sapevano appieno cosa fosse stato concordato. Gran parte degli americani non ha mai conosciuto una privazione delle libertà. Perciò le rivelazioni dell’ex analista della NSA hanno provocato tanto sconcerto. Sono state il primo segnale che viviamo sotto un governo diverso rispetto a quello che immaginavamo. Snowden ha innescato un dibattito, ha cambiato l’atmosfera, da tempo il governo non era stato messo alla prova della disobbedienza civile. I primi a farlo sono stati lui e il soldato Manning”. Anche Manning per Walzer “ha commesso un atto di disobbedienza civile, per certi versi puù grave perché non ha selezionato bene i documenti da pubblicare. Alcune carte a mio avviso dovevano rimanere segrete”. Snowden, Manning, Assange, sono una nuova generazione di whistelblowers? “Io, francamente, toglierei Assange dal trio. Lui sembra professare una ‘trasparenza’ senza limiti, una sorta di anarchia”.

 

Sul caso Ablyazov e Shalabayeva segnaliamo un articolo dell’inviato in Francia de La Repubblica che parla di una trappola studiata nei minimi dettagli per descrivere quella che si è chiusa intorno a Mukhtar Ablyazov: le autorità francesi che hanno arrestato l’oppositore kazako hanno infatti eseguito il mandato Interpol su richiesta dell’Ucraina, e non quella di Kazakstan o Russia, che pure ieri ha ribadito di voler avviare la sua richiesta. E’ un punto cruciale. La Francia ha infatti firmato accordi di estradizione, con una trentina di Paesi. Tra questi c’è anche il Kazakstan. Insomma, il rischio che Ablyazov possa essere rispedito in Kazakstan via Kiev è reale. L’unica speranza per i difensori è individuare una serie di eccezioni in quel trattato firmato tra Francia e Ucraina, facendo leva sullo statuto di rifugiato politico concesso ad Ablyazov.

Il quotidiano intervista il filosofo francese Gluksmann, che dice: la Franciua non deve estradare Ablyazov. Il nostro Paese ha una lunga tradizione nella difesa dei diritti umani”, “io sono per difendere e dare protezione a tutti quelli che lottano contro l’autoritarismo. Non conosco Ablyazov, so poco anche della sua storia. La mia è una posizione di principio”.

Alma Shalabayeva, la moglie arrestata a Roma con un blitz ed estradata in Kazakhstan, viene intervistata per Il Giornale da Fausto Biloslavo: “Mio marito rischia la vita se verrà estradato, ed è in pericolo tutta l’opposizione”. Definisce “una bugia” l’accusa di appropriazione indebita di sei miliardi di dollari da parte di Ablyazov: “In questo Paese fanno la guerra a chi la pensa diversamente”. Ma è coinvolto nel crollo della BTA, una delle principali banche del Paese: “La banca l’ha fondata lui, da zero. Era il suo istituto privato, ha cominciato da una piccola stanza per arrivare a costruire la più importante banca del Kazakhstan, l’unica che non apparteneva al potere. Poi se la sono presa. L’obiettivo era bloccare la sua attività a favore della opposizione”.

Perché non ha detto subito alla polizia italiana che lei è sua figlia avevate ottenuto asilo politico a Londra? “Era questo che cercavo di spiegare al capo della polizia e alla immigrazione. Continuavo a dire che ho il passaporto diplomatico, l’asilo politico inglese, e che mio marito è il capo della opposizione kazaka”.

 

 

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