Definire la democrazia
di fronte alle sfide globali

Democrazia, rappresentanza, corpo elettorale, partiti politici. Quante volte abbiamo sentito queste parole come passarci attraverso, nell’assenza di solidi riferimenti semantici, teorici, normativi e di una prospettiva evolutiva che si interrogasse sulla direzione verso cui stanno procedendo i nostri regimi politici?

Un bel libro, Lezioni sulla democrazia (Bruno Mondadori, Milano 2016) a cura di Enrico Mannari ha chiamato a raccolta alcuni tra i più autorevoli esperti di teoria politica in Italia a confrontarsi sull’origine, i modelli, le torsioni prospettiche e soprattutto le frontiere future della democrazia intesa quale espressione più bella delle potenzialità della politica. Ecco che le elezioni libere e competitive, i processi di innovazione politica, la partecipazione politica, si riappropriano finalmente del proprio significato di fronte ad una platea più vasta rispetto a quella della sola audience intellettuale, quasi a fini pedagogico-evolutivi, come avrebbe detto John Stuart Mill, giacché la democrazia deve includere via via nuovi ‘dialogatori’ che sappiano di che pasta essa è fatta, quali sono le sue regole e quali prodotti politici (output direbbero Easton e Dahl…) la nostra democrazia può produrre.

Il libro ha, non a caso, intento didascalico nel momento stesso in cui esso prende vita nel corso delle omonime Lezioni di democrazia tenutesi tra il 2014 ed il 2015 a Livorno sotto l’egida organizzativa e strategica della Fondazione Memorie Cooperative che ha affidato i temi ai diversi relatori intervenuti di cui il volume rappresenta una complessa e articolata silloge delle argomentazioni: a Enrico Mannari è stato affidato il tema della relazione della democrazia con l’etica e con la cooperazione (“come può la democrazia farsi buona democrazia?” si domanda l’autore sulla falsariga di grandi intellettuali come Smith, Bentham, Kant e più recentemente Rawls), a Michele Sorice si è chiesto di investigare sulla relazione tra democrazia rappresentativa e innovazione, a Nadia Urbinati di lavorare sul nesso democrazia e modelli di democraticità, Leonardo Morlino si è interrogato sul concetto di “cambiamento”, Marco Almagisti è intervenuto sulla forma partitica e sulle sue evoluzioni pratiche, Giovanni Moro sul tema della cittadinanza attiva e sul relativo miglioramento della qualità democratica, Emiliana De Blasio ha (ri)aperto la strada su un tema inconsueto come la relazione tra cittadinanza politica e ‘corpo’ dei singoli individui associati (quelli che Kant chiamava i ‘maggiorenti’ o ‘contraenti’ in Sopra il detto comune), Giulia Oskian è intervenuta sulla democrazia partecipativa, mentre Donatella Della Porta si è soffermata sulle sfide e prospettive che si presentano innanzi alla democrazia nella fase storica globale in cui mai così numerosi vizi rischiano di tentare la vita stessa di regimi consolidatisi in migliaia di anni nel momento in cui la democrazia si diffonde in tutto il mondo ma al contempo perde speranza proprio in quell’Occidente in cui essa ha primordialmente preso forma.

Il contributo di Almagisti dal titolo La democrazia può fare a meno dei partiti?, in particolare, ha il merito di ricostruire puntualmente il nesso tra l’orizzonte dei valori e quello delle procedure che anima da sempre il dibattito sulla democrazia su una linea di frattura tra Joseph Schumpeter e Robert Dahl: per il primo, democrazia è soprattutto un insieme di procedure che regoli la competizione tra élite al fine di ottenere quote di potere, per il secondo la democrazia si incarna soprattutto in valori inderogabili come il libero confronto tra le opinioni, la libertà di associazione, la necessità che il corpo politico sia prima formato e poi costantemente informato (elementi che a tutti gli statunitensi sono molto cari come in modo molto lungimirante osservava già nel 1835-1840 Tocqueville nel suo La democrazia in America). La sintesi, come Almagisti ben argomenta, tra queste due posizioni che parrebbero antitetiche, è profferta da un maestro della politica come ‘scienza’ come Giovanni Sartori: «Quando parliamo di democrazia si indica un tipo di sistema politico, ma al contempo si indicano una serie di valori, di proiezioni, di desideri… si riflettono dei valori, si riflette un dover essere: quindi non soltanto un piano empirico, si riflette un giudizio di valore positivo…» (p. 43). Su questo orizzonte tra valori e procedure ebbero a muoversi i partiti politici di cui Almagisti rintraccia le origini storiche per poi procedere a soffermarsi sul caso italiano del Secondo Dopoguerra, sottolineando il ruolo dei partiti e del metodo dialogico nell’impedire ritorni autocratici, ma al contempo denunciandone il rischio di autoreferenzialità, di atteggiamento dogmatico, esclusivista e apodittico.

Nondimeno, nonostante le numerose aporie del sistema politico italiano soprattutto della Prima Repubblica, Almagisti riconosce che ex post nessun partito politico in Italia, nonostante le pretese esclusiviste, possa essere politicamente riconosciuto o storicamente riconoscibile senza considerare il proprio rapporto con gli altri principali partiti dello spettro politico: così eloquentemente «Alcide De Gasperi non si può spiegare se non si tiene conto di un altro importante politico come Palmiro Togliatti» (p. 49). E il ruolo dei partiti politici, in forma più o meno istituzionalizzata, a dire di Almagisti, dovrebbe ancora poter animare il libero confronto istituzionale e rappresentativo delle nostre democrazie mature proprio al fine di scongiurare ritorni odiosi ad epoche di stigma sociale, violenza e profili autocratici. Insomma: il modello partitico può ancora saper fungere da difesa e baluardo di dinamiche ispirate a profondi valori riconosciuti da tutti i competitori in gioco: come ha avuto modo di osservare il grande sociologo Alessandro Pizzorno, non a caso, il conflitto regolato fra partiti che si riconoscono come portatori di interessi e visioni differenti della società può ancora risolvere problemi di integrazione e di controllo sociale altrimenti risolvibili per esempio in modo repressivo, così come numerosi esempi anche dal mondo mediterraneo ancor oggi dimostrano, vedi nel caso turco…

Leonardo Morlino, nel suo La qualità della democrazia e il cambiamento politico, si interroga invece sul nesso, o meglio sulla tensione tra libertà ed eguaglianza, ancora una volta ‘grande tema’ caro ai più importanti teorici francesi e americani sin dalle origini della discussione su questo regime politico avvenuta subito dopo le Grandi rivoluzioni (di questo tema dibatterono puntualmente Rousseau e Jefferson). La sintesi che Morlino propone è inedita: «Nel dibattito si è sempre pensato che tra la libertà e l’eguaglianza vi sia un trade-off, cioè se abbiamo più libertà avremo meno uguaglianza. Questa è una concezione normativa totalmente smentita dalla realtà. La realtà […] ci dice che là dove c’è maggiore eguaglianza c’è maggiore libertà, là dove c’è maggiore libertà c’è maggiore eguaglianza. Ho cercato di capire che cosa è più importante: è più importante l’uguaglianza perché la legittimazione democratica dei diritti fa sì che l’uguaglianza renda più effettivo il godimento dei diritti» (p. 39).

Il saggio di Emiliana De Blasio, infine, dal titolo Corpo e democrazia ripercorre l’evoluzione del rapporto tra democrazia e corpo dell’uomo e della donna inteso anche nel suo complesso fisiologico, riprendendo la celebre riflessione foucaultiana secondo cui è sul corpo che si combatte una battaglia di potere politico dal tenore egemonico. È proprio questo saggio a poter tornare assai utile per orientarsi nel vivacissimo dibattito sulla gender theory e sui gradi e le possibilità di ‘normare’ la sessualità (e non solo di ‘normare’ ma anche di ‘normalizzarla’ come qualche ideologo ha a più riprese eccentricamente proposto). De Blasio finisce il suo scritto interrogandosi sulle evoluzioni della rappresentazione della donna nella politica con particolare riguardo per l’immagine della ‘donna-leader’ e soffermandosi su tre esempi illustri e recenti come Angela Merkel, Segolène Royal e Hillary Clinton e sottolineando quanto queste donne abbiano scontato o scontino tuttora notevoli difficoltà sull’arena pubblica per il solo fatto di essere donne e quindi osservate ancor oggi sotto la lente di quegli stereotipi machisti e giudicanti (ma non giudiziosi) che possono ora legittimare, ora delegittimare e solo in nome dell’immagine estetica e di una presenza ‘scenica’ più o meno conformata ai canoni in auge.

Titolo: Lezioni sulla democrazia

Autore: a cura di Enrico Mannari

Editore: Bruno Mondadori

Pagine: 139

Prezzo: 12 €

Anno di pubblicazione: 2016



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