Di nascosto in viaggio con i migranti
per i quali «Italia» significa «vita»

Negli ultimi anni si è diffusa molto nel giornalismo e nell’editoria la cosiddetta “inside story”, una storia in cui il giornalista assume un’identità fittizia per assistere dall’interno ad un avvenimento e raccontarlo con quell’efficacia narrativa che solo l’essere al contempo protagonista e testimone di un evento può dare.

È questo il caso del reportage scritto dal tedesco Wolfgang Bauer, pubblicato in Italia con il titolo Al di là del mare (La nuova frontiera, 2015), in cui il giornalista quarantacinquenne tenta il viaggio dei migranti insieme al fotografo ceco Stanislav Krupar. I due, fingendo di essere insegnanti di inglese profughi dal Caucaso, Varj e Servat, si uniscono ad un gruppo di siriani che dall’Egitto mira a raggiungere l’Europa.

Mosso dal bisogno di documentare e provare sulla propria pelle cosa significhi essere un profugo, Bauer ha ricontattato alcuni siriani di ceto medio fuggiti in Egitto conosciuti quando aveva coperto per il quotidiano Die Zeit la rivolta di piazza contro Assad e l’inizio della guerra civile siriana nel 2011 e ha deciso di raggiungerli, di affiancarli nei preparativi al Cairo e di tentare di partire con loro su un barcone da Alessandria.

Consapevole del «gran privilegio poter tornare indietro» ma anche del grande rischio di essere smascherato e ucciso, il giornalista ha provato con i migranti l’ansia di partire, la rabbia di essere sequestrato, la paura di morire, l’euforia di imbarcarsi, lo shock di essere arrestato, la delusione di un tentativo fallito e ha scoperto con loro la fatica e il dramma di ricominciare tutto da capo.

Sì, perché il viaggio verso l’Europa è lungo, insidioso, suddiviso in diverse tappe in cui ci si trova spesso costretti a dover trattare con nuovi trafficanti, ripagare la propria quota e riformulare l’itinerario, come è successo ad Amar, un imprenditore di Homs; Alaa e Hussan, due fratelli di Damasco; Jihadi, un cameriere di Hama; così come ad alcuni dei siriani seguiti da Bauer che, per confondersi agli altri migranti, non ha adottato travestimenti particolari.

«Mi sono solo fatto crescere la barba lunga – racconta –, ho indossato una tuta, ho nascosto gli occhiali, perché sono troppo occidentali, e sono partito con una vecchia valigia e un vecchio zaino. Nulla più».

La stessa essenzialità arriva attraverso la scrittura, asciutta e tesa, con cui l’autore racconta la storia di chi è costretto ad affrontare il Mediterraneo, «insieme la culla dell’Europa e il teatro del suo più clamoroso fallimento».

«Il traffico di esseri umani in Eal di là fotogitto ha una struttura non troppo diversa da quella dell’industria turistica – scrive Bauer –. Tutto il paese è disseminato di punti vendita, gestiti dai cosiddetti agenti. Ai clienti danno a intendere di servirsi solo dei migliori scafisti, la verità è che non ne hanno molti a disposizione. La traversata costa intorno ai tremila dollari. Si possono trovare offerte migliori o peggiori, ma alla fine non c’è differenza tra prima e seconda classe, si finisce tutti nello stesso barcone».

Uno snodo cruciale del libro si ha dopo l’interruzione del viaggio a opera della polizia di Alessandria, proprio quando il gruppo pensa di esser finalmente salito sulla barca che lo porterà in Italia, una parola chiave e densa di significato per chi decide di partire. Italia, come specifica l’autore, per i migranti vuol dire “vita”, “conforto”. Tutti sognano di raggiungere l’Italia, anche se poi non vogliono rimanerci e preferiscono arrivare in Svezia o in Germania.

Una volta arrestato e rinviato a casa, Bauer segue a distanza i suoi compagni di viaggio e ci racconta le diverse peripezie vissute da ognuno di loro che, nonostante la nostalgia e la pena per la Siria, non smettono mai di sognare di cambiare vita e conquistare libertà e diritti.

«Sono ancora in contatto con la maggior parte dei ragazzi del nostro gruppo centrale – spiega Bauer –. Alcuni sono in Svezia e stanno imparando lo svedese. Amar e la sua famiglia si sono riuniti a Francoforte. Anche Bissan, la ragazza con il diabete, è in Germania. Ha guadagnato peso e recentemente ha fatto un intervento chirurgico per un problema all’occhio causato dal diabete».

Da loro il giornalista dice di aver imparato cosa significano «amicizia, onore e dignità». Alcuni li ha rincontrati in Europa e li ha aiutati a proseguire il viaggio compiendo un atto di amicizia, «umanitario ma illegale: il trasporto di clandestini oltre frontiera».bauer 1

In questo reportage Bauer, che nel 2007 partì da cronista embedded per l’Afghanistan con i soldati americani per poi denunciarne gli abusi, non ha provato soltanto a mostrare l’orrore dei viaggi dei migranti di oggi e l’enorme giro di soldi che vi ruota intorno, ma ha voluto evidenziare «l’indifferenza e l’ipocrisia dell’Europa» di fronte alla Siria trasformatasi in un «enorme mattatoio umano».

«Mentre la gente moriva, l’Europa, in particolare il governo tedesco, ha proseguito una politica di non intromissione, una politica dell’attesa, la politica dello spettatore» scrive denunciando il governo Merkel e cercando di scuotere le coscienze dei lettori.

«Quello che è accaduto non si può cambiare, ma possiamo almeno aiutare chi ha subito le conseguenze delle nostre scelte politiche. Possiamo compiere un atto di misericordia» aggiunge l’autore che al momento si trova a Yola, in Nigeria, per completare un libro su Boko Haram e sulle studentesse rapite nel 2014.

Non azzarda previsioni per il futuro dell’Europa, ma sottolinea che «la sospensione di Schengen non serve a nulla perché i rifugiati – afferma – continueranno a venire. Chi fugge dalla guerra in Siria e dall’Iraq è troppo disperato per essere fermato da muri e recinzioni. Nuove frontiere all’interno dell’Europa non fermeranno neanche i terroristi. La maggior parte di loro non viene dall’estero, ma è dentro. Non ha alcun bisogno di entrare perché è già qui».

Titolo: Al di là del mare

Autore: Wolfgang Bauer

Editore: La nuova frontiera

Pagine: 160

Prezzo: 12 €

Anno di pubblicazione: 2015



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