“Viva la libertà”, e se dicessimo che è Veltroni?

Per noi è Veltroni. Sembra che sia d’obbligo, di fronte a Viva la libertà, il film che Roberto Andò ha tratto dal suo romanzo d’esordio Il trono vuoto uscito l’anno scorso per Bompiani e premiato col Campiello opera prima, dire che il segretario del principale partito d’opposizione lì ritratto è uno ed è tutti, è “il” segretario ma anche “un” segretario, chiunque si sia trovato o si trovi a guidare il partito nato sulle ceneri del Pci. E invece quello “è” Walter Veltroni. Quanti indizi vogliamo? Mettiamo insieme quelli che fornisce il film che da oggi è nelle sale:  qui, sullo schermo, il leader politico svela una passione giovanile ma persistente per il cinema; a un certo punto appare un Fellini che evoca la campagna veltroniana contro gli spot nei film trasmessi in tv; mentre l’accusa che viene mossa al segretario dalla contestatrice che fa deflagrare la vicenda è, in sostanza, di essere un grande comunicatore che non ha nulla da dire (si può condividere o meno il giudizio, ma non siamo di sicuro fuori tema). Mettiamocene un altro, di indizio, fornito dal romanzo: sulla pagina l’eminenza grigia del segretario, Bottini, che nel film ha la sagoma svelta di Valerio Mastandrea, è un uomo paffuto…

Individuare in un leader specifico il modello di quello del film riduce la potenza metaforica della storia? No, semplicemente diamo per assodato che ce n’è stato uno, di segretario, che ha meglio interpretato lo zeitgeist del Pds-Ds-Pd e che, dunque, ha esercitato un’impressione maggiore nella mente di chi, di quel partito, ha fatto prima romanzo e poi pellicola.

La vicenda – come la narra il film sceneggiato da Andò con Angelo Pasquini – è questa: Enrico Oliveri in campagna elettorale si trova all’improvviso attaccato su due fronti, i sondaggi danno il suo partito in caduta libera al 16% e una elettrice, nel corso di un incontro col pubblico, lo contesta con violenza; cosa fa Oliveri? Scompare.  Prende una macchina con autista e arriva a Parigi, dove si rifugia da una donna che è stata sua amica in gioventù.  Di qua, è il panico: Bottini trova un succinto messaggio che quello ha lasciato in casa alla moglie, per il resto naviga nel buio. Ma ecco la soluzione: Oliveri ha un fratello gemello che non vede da 25 anni, da poco rilasciato dall’ospedale psichiatrico. E’ una pazzia, la sua, che può essere tenuta a freno con i farmaci, e quest’altro Oliveri, che ama nascondersi sotto il nome di Giovanni Ernani per prendere le distanze dal fratello, è poeta e filosofo. E insomma, giocando il tutto per tutto si azzarda la sostituzione.

Merito della sceneggiatura è, da qui in poi, far procedere le due storie in parallelo: Oliveri in Francia entra nella vita della donna che, un quarto di secolo prima, era innamorata di suo fratello e che ora è sposata con un maestro orientale del cinema e ha una bambina; smette di “comunicare” e impara a lavorare con le braccia, come aiuto-attrezzista sul set, e a cucinarsi una frittata; Ernani, nei panni del segretario, fa tutto quello che un leader di partito deve fare, riunioni e incontri, ma con juicio, con i suoi tempi, perché se c’è il sole è meglio andare al mare e, se i vecchi compagni di manicomio organizzano una festa danzante, non si può mancare.  Però tale è la sapiente naïveté che mette nel suo comunicare, tale è la “passione” – parola fondamentale in questo film – che i sondaggi cominciano a risalire, vanno addirittura in tilt, il 66%!

E dunque, eccoci al comizio cruciale. Che, chissà se volutamente, ripropone il succo della scena madre del Grande dittatore: lì il finto Hitler che regalava al mondo parole di pace e di armonia, qui il finto (o il vero?) Oliveri che ridà alla sua base e ai suoi elettori quel quid – la Passione – che sapeva dargli Berlinguer (di cui è a un certo punto apparsa una gigantografia).

Viva la libertà” è un film d’attore. E di attori.  Toni Servillo è magnifico nel doppio ruolo dei due gemelli, una cupezza a individuare il segretario vero e una rigidità del collo a segnare, appena, il “matto”; e sono bravi e benissimo diretti tutti, Valeria Bruni Tedeschi , Michela Cescon, Anna Buonaiuto, Mastandrea. Così come Gianrico Tedeschi nei panni di un anziano politico e intellettuale, forse sulla falsariga di Vittorio Foa. Ma l’estetica gelida, marmorea e labirintica, di molte scene – che non era nel libro – è ormai un flusso che sembra emanare da Servillo stesso, com’era nelle Conseguenze dell’amore o nel Divo.

Viva la libertà è una commedia, ma molto scespiriana. Per il tema del fool e del sovrano che in quello si specchia, e perché, quando si parla di Potere, il tragico c’è sempre, anche se si dissimula.

 

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