“Vi spiego il buco alla sanità del Lazio fatto da Storace”

«Sulla Sanità nel Lazio Storace ne fa un fatto molto personale. Ha minacciato querele ogni volta che usciva una notizia sull’argomento. Perché lui ha sempre sostenuto: “Il debito non l’ho prodotto tutto io”. Personalmente ho sempre preferito usare l’espressione “abbiamo ereditato dalla Giunta precedente”, perché non c’è dubbio che qualcosa si è anche trascinato nel corso degli anni, dalle gestioni passate, però è chiaro che la prima cosa che bisogna dire è che nel corso degli anni della sua Giunta le Asl non hanno mai presentato un solo bilancio».
Chi parla è Luigi Nieri, già assessore al Bilancio della Giunta Marrazzo, succeduta nel 2005 a quella Storace. Oggi è consigliere di Sel alla Pisana, sede del consiglio regionale, e candidato primo cittadino per la formazione di Nichi Vendola nella Capitale. Quello della Sanità è uno dei settori più controversi, non solo nel Lazio. Territorio di lobbies, terra di scorribande di interessi intrecciati, pubblici, privati, di industrie del settore farmaceutico, un sistema ormai incancrenito e il cui bubbone è diventato difficile da estirpare. L’accusa che è sempre stata rivolta al leader della Destra è quella di esser riuscito «nel miracolo di svendere la Sanità pubblica e di aumentare il deficit» come ebbe a dire Rosy Bindi il 16 dicembre 2004. Sei mesi più tardi l’ex presidente della Regione Lazio si guadagna la nomina del premier Berlusconi nientemeno che a Ministro della salute.

Nieri, cosa significa nel concreto che Storace «ha prodotto la voragine» della Sanità nella Regione Lazio?
Quando siamo arrivati a via Cristoforo Colombo abbiamo trovato questa situazione: da due, tre anni – e in alcune Asl anche da quattro – le Aziende sanitarie locali del Lazio non presentavano i propri bilanci. Così questi non entravano in quello generale della Regione.

Qual era il vantaggio, se c’era? Non c’è intanto anche un aspetto illegale in questo modo di agire?
Sicuramente c’è, perché i bilanci vanno presentati annualmente, tant’è che noi appena approdati in Regione abbiamo presentato una legge in base alla quale il bilancio non può più essere approvato se non contiene anche i bilanci preventivi delle Asl. E sapendo che c’era molta confusione, molti fornitori si lamentavano per i ritardi nei pagamenti delle fatture da parte della Regione nella sanità, a dicembre 2005 – le elezioni sono state a maggio siamo entrati a metà giugno – eravamo già pronti ad attuare la prima transazione di tutte le fatture non pagate.

Un modo per chiudere e sistemare il pregresso, immagino, e azzerare la partita.
Esattamente. E io mi sono dato da fare – in genere le transazioni precedenti sono sempre state fatte ad hoc, direttamente con le Associazioni di categoria – per favorire anche il singolo fornitore in modo che potesse transare anche da sé, direttamente con la Regione senza intermediazione.

Cos’era la transazione?
Sostanzialmente avveniva con la banca per ottenere il pagamento della fattura. Naturalmente abbiamo dato a ciò la massima pubblicità possibile, sui giornali e anche sugli altri mass media: venite in Regione con le vostre fatture pregresse e noi ve le paghiamo, era il messaggio.

Il “pregresso” oggi è sicuramente ben altra cosa, vero?
Questa è un’altra questione, ma poi ci arriviamo. Il punto è che dapprima, forse ingenuamente, ho pensato che con questo modo di fare, chiamando a raccolta i creditori più o meno avemmo risolto la questione. Saremmo ripartiti da zero, perché la cosa che non mi piaceva era lasciare dei sospesi. Ci avevano infatti detto che la Giunta precedente aveva maturato più o meno un disavanzo di 800 milioni di euro, eredità anche delle passate gestioni.

Invece non era così? Cosa avete scoperto?
Scoprimmo che si trattava di 2 miliardi e 200 milioni per quell’anno, il 2005. Se il valore era quello, è chiaro che in 5 anni raggiungi una cifra consistente, i famosi dieci milioni e passa euro.

Torniamo un passo indietro. Stavamo parlando dei creditori. Con la vostra azione avete saldato tutti i creditori?
Lo pensavamo. O lo speravamo. Invece qualche mese dopo cominciano ad arrivarmi alcuni segnali per farmi capire che qualcuno, non meglio precisato, aveva in mano ancora delle fatture da riscuotere. Benissimo, dico, si faccia avanti, anche se però mi era sembrato un po’ strano che non si fosse fatto vivo fino ad allora a esigere il pagamento. Che motivo c’era di tenersi in mano delle fatture – pure consistenti – che possono rischiare di non essere onorate?

Ha trovato la risposta?
Certo. Anche se prima di arrivarci ho dovuto lanciare degli ami. Richiamo gli uffici, sollecito delle verifiche e dei rendiconti e capisco che qualcosa non quadra.

Ma di che fatture si trattava?
Fatture classiche: beni e servizi. La ditta X che ha fornito centomila euro di siringhe, per fare un esempio.

Allora cosa ha fatto? Come li ha individuati questi “creditori fantasma”?
Ho chiamato un gruppo di super esperti, mi sono chiuso con loro in un bunker delle Regione, senza che nessuno lo venisse a sapere, come si fa classicamente nelle operazioni di intelligence e dico loro: signori, prendiamo e rintracciamo tutte le fatture in circolazione e facciamo una verifica su eventuali sospesi di pagamento.

A quel punto?
A quel punto cominciano ad arrivare notizie davvero molto inquietanti.

Lei ordina una verifica sui movimenti di “carico” e “scarico” delle merci o dei prodotti sanitari e le relative fatture?
Esattamente.

E cosa scopre passando al setaccio nuovamente la contabilità?
Diciamo che scopro il trucco: la fattura veniva pagata una prima volta e poi anche una seconda.

Due pagamenti diversi per la stessa fattura e per lo stesso importo?
È così. Ma tra quelle emesse e quelle già transate comincia ad essercene anche qualcuna che non torna. Dico a supertecnici di concentrarsi su quest’aspetto. Cerchiamo di capire a quanto ammontano i “creditori fantasma” e quant’è l’importo complessivo di queste fatture.

Ma perché non si erano palesati subito, l’ha poi capito?
Sì. Mentre impartisco queste direttive generali, mi arriva un’altra notizia secondo la quale risulterebbe che c’è un creditore che ha in mano una fattura per l’importo di un milione di euro. Possibile? Mi rivolgo a qualche esperto che mi racconta che se uno ha delle fatture “in pancia” ci guadagna il 10%.

Può esser preciso.
Guadagna il 10% di interessi, interessi da usura, stiamo lì. E questo per legge nazionale. Se un Ente pubblico non paga, dalla data di scadenza scatta automaticamente il calcolo di una serie di interessi.

Quindi alla fine uno ha pure un vantaggio a non farsi pagare la fattura.
Sì, perché somma, somma, somma, per farla breve alla fine il conto ci porta a dire che ci sono 3 miliardi e 700 milioni di fatture non pagate. E scopro l’inghippo, nel senso che ci sono delle vere e proprie Società di factoring che sono andate in giro negli anni dai singoli fornitori e si sono prese in carico le loro fatture, riscattandole e pagandole anche al 95-97% del loro importo, così c’hanno guadagnato in partenza già un 3 o un 5%, che aggiunto poi al 10 sulla somma complessiva porta il guadagno al 13 o 15%.

Cioè società che si sono fatte collettrici del credito per poi esigerlo in blocco.
Non nascondo che quando ho capito questa cosa mi sono molto, ma molto preoccupato, così per un po’ tornando a casa la sera cambiavo sempre strada. Perché il punto qual era? Chi sono quei soggetti imprenditoriali della finanza che hanno la possibilità di tenere bloccato per anni un miliardo, due miliardi? Non sono tanti. Nel senso che, come dice Andreotti, a pensar male si fa peccato ma ci s’azzecca sempre. Gente che ricicla fondi e cose del genere. Tant’è che poi abbiamo fatto bene a pensar male quando abbiamo individuato i soggetti all’interno di un complesso meccanismo di scatole cinesi.
Allora, per capirci, contemporaneamente a questo conteggio, abbiamo anche iniziato a tirar fuori i vari bilanci, compresi quelli delle Asl, per cui alla fine si somma un debito di “fuori bilancio” – inclusi questi 3,7 miliardi – di complessivi 10 miliardi.

Storace da allora è stato ribattezzato “Mr. 10 miliardi”.
Ovviamente quando glielo si dice va su tutte le furie, ma questa è la storia. Oltretutto, succede anche che quando noi ci rendiamo conto di tutto questo, l’unico obiettivo che ci dovevamo dare come Giunta, come amministrazione, era prima di tutto salvare la Regione. Il punto prioritario era questo. Una delle Società di factoring era della famiglia Angelucci, per cui chi deteneva il debito aveva allo stesso tempo anche la soluzione per guadagnarci due, tre volte. Risultato: una Regione indebitata e una pressione della Sanità privata molto forte, per cui l’unica alternativa era dire, vabbé, fate come vi pare.

Ma questo meccanismo, chi l’ha messo in piedi? C’è una regia o s’è costituito nelle pieghe di un modo di fare che è diventato prassi consolidata nel tempo, giunta su giunta?
Io penso di sì, perché quegli anni vengono anche accompagnati dalle vicende delle varie “lady Asl”, cioè dove una parte del cervello della Sanità del Lazio si sposta in una suite dello Sheraton Hotel, tra la via Cristoforo Colombo, piazza dei Navigatori, dove c’è la Regione, e la strada che porta a Fiumicino, e dove si facevano gli affari veri.

Regia pubblica o privata?
All’epoca sono state fatte una serie di inchieste che hanno portato anche ad alcune condanne per una serie di assessorati e assessori, ma è chiaro che una cosa del genere non la si fa se non c’è un substrato, una connivenza o un supporto di uffici e di apporti interni/esterni. Di sicuro, nell’opacità si consumano i peggiori crimini. E infatti in quegli anni uno dei miei obiettivi principali è stato il “bilancio partecipato”, proprio per renderlo più trasparente. Quando sono arrivato ho trovato un bilancio incasinatissimo, dove non si capiva nulla, complicatissimo da leggere. In Regione lo conosceva solo una persona e per il resto ognuno ne sapeva leggere appena un pezzetto, quello che gli competeva. Noi l’abbiamo semplificato, reso trasparente, perché era l’unico modo per uscirne: riportare la legalità, salvare la Sanità. Tra le banche e i soggetti privati, l’unica vera sfida era che ci provassimo noi.

Ma perché la destra è così attaccata al sistema sanitario? Perché ha questa “attenzione”? Costruisce e inaugura ospedali, cliniche, residenze per gli anziani a rotta di collo? Quando poi non sembrerebbe necessario, vero?
È vero, ma solo in parte. Non bisogna fare confusione. Il fondo per l’autosufficienza è stato chiuso con il Governo Berlusconi. Quello di cui c’è bisogno nel Lazio sono le Rsa (residenze sanitarie assistenziali). Bene, noi avevamo stanziato 20 milioni proprio per trasformare piccoli ospedali, piccole strutture ospedaliere in Rsa, che sono poi quelle che servono, perché è inutile tenere tutta la macchina dell’ospedale, se poi c’è semplicemente bisogno di accogliere gli anziani, fare riabilitazione. Nei piccoli centri come a Roma. La Polverini ha azzerato i 20 milioni stanziati e non ha fatto una sola trasformazione in Rsa.

Ma i 10 miliardi di debito fatti da Storace sono veri o sono un’invenzione propagandistica del centrosinistra?
Purtroppo sono veri e sono certificati dall’Advisor e dal Mef, il Ministero dell’Economia e Finanza, anche perché noi come amministrazione di centrosinistra, arrivati dopo Storace, non avremmo potuto sopportare quell’ammanco. Essendo un debito “fuori bilancio” non è che potevamo andare da una banca e farci accendere un prestito o un mutuo, perché non lo si può fare. Attualmente c’è un prestito in corso da parte del Ministero dell’Economia e Finanza che ogni anno viene restituito con una rata pari a 310 milioni di euro. Capisce adesso? Per cui il buco c’era e rispetto a tutti gli altri interessi, c’è – in aggiunta – pure questo. Diciamo che, purtroppo, non ci sono invenzioni perché c’è la “rata” del prestito che certifica il buco.
Lì chi sbagliò fu anche il ministro Tommaso Padoa Schioppa, che ipotizzò un piano di rientro dal debito di circa 2 miliardi in tre anni, un piano che non avrebbe ipotizzato nemmeno la Thatcher. Davanti all’obiettivo irraggiungibile posto dal piano di rientro, l’unica soluzione possibile paradossalmente sarebbe stata quella di chiudere uno dei 5 policlinici. Tutto questo, però, ci ha condizionato molto in quegli anni. Noi abbiamo governato cinque anni con lo Stato che ci doveva trasferire 5 miliardi, nostri, delle tasse dei cittadini, e invece ci veniva opposta resistenza: “il piano di rientro non va bene”, “qui manca una virgola”, lì un punto e virgola. Dilazioni strumentali. Fummo strozzati. Facile governare come ha fatto Storace, perché lui i 2 miliardi e 200 milioni di disavanzo non li contabilizzava. Un modo scelerato di governare.

Cosa bisognerebbe fare per la Sanità nel Lazio?
In verità bisognerebbe fare una cosa. Noi abbiamo chiuso il San Giacomo, in centro, tra via del Corso e via di Ripetta, e lì non ci ha attaccato il “proletariato urbano” ma personalità di un certo rilievo, i parlamentari, alta borghesia che abita in zona o confina con le mura del San Giacomo. Ci hanno letteralmente steso. Ma ci sono anche certi paesini del Lazio che la Sanità non ce l’hanno proprio, e si devono fare minimo mezz’ora per raggiungere il presidio più vicino. Siccome le cose sono costruite bene in Italia, accade che a Rieti ci sono un sacco di cliniche private – come nella zona che confina con l’Abruzzo o l’Umbria – è chiaro che quelli che stanno lì nei comuni limitrofi fanno prima a “scavallare” che andare all’ospedale laziale. Così quando si dice “chiudiamo l’ospedale”, come quello di Acquapendente vicino a Viterbo, la gente va in Umbria direttamente. È normale. Noi per esempio siamo riusciti a ridurre di molto il gap tra mobilità attiva e passiva. Con 5 Policlinici, l’eccellenza romana dovrebbe essere in grado di accogliere tutti i cittadini, anche quelli provenienti dalle altre regioni, capaci di portare anche molti soldi.

Invece?
Invece noi avevamo la mobilità passiva più alta. Cioè c’era più gente del Lazio che andava a curarsi fuori, e dove non si sa. Per avere un’idea delle storture, quando noi siamo arrivati al governo della Regione nel Lazio si facevano oltre 500 mila risonanze magnetiche. Ma come è possibile? Cadono tutti? Il terremoto. Nel pubblico, oltre 60 laboratori di analisi al Policlinico. Ogni reparto il suo laboratorio d’analisi. Poi dici taglio qui, taglio là, ma se poi tocchi il Policlinico l’apparato statale che sta dietro al Policlinico fa muro. Dietro il Policlinico c’è di tutto.

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